22. Amy

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22.

AMY

Non guidavo così a lungo da così tanto tempo, che mi sembra di essere seduta dietro questo volante da almeno dodici ore, anche se in realtà guido solo da poco meno di tre.

Scott si è rifiutato di guidare e lo ha fatto con una tale convinzione che per un attimo mi sono chiesta se abbia la patente. Ha detto di sì, ma: «L'auto è tua, quindi guida tu».

All'inizio ho creduto che fosse una qualche forma di rispetto, ma dopo ore alla guida, con le gambe che chiedono pietà e un traffico che fa impallidire, ho capito che si è rifiutato di guidare per motivi ben meno nobili.

Infatti, mentre mi pento di non essermi fermata un'ora fa e averlo costretto a un cambio, lui sta guardando video di gatti sul cellulare, con il portatile posizionato sulle gambe, senza preoccuparsi minimamente di far finta che stia facendo qualcosa di serio, come ad esempio prepararsi per l'incontro di lunedì mattina.

«È tutto a posto, non sono affatto stanca», mormoro senza guardarlo, nonostante le mie parole siano dirette a lui. «È molto bello tutto questo traffico, per nulla stressante. E poi, in fondo, manca poco all'arrivo. Niente di che».

«Parli con me?» mi domanda.

Mi volto a guardarlo per un secondo. «No, assolutamente. Non mi permetterei mai di disturbare il tuo duro lavoro da spettatore di video divertenti di gatti».

«Okay» dice stringendosi nelle spalle, senza cogliere il mio tono sarcastico e arrabbiato. Guarda l'orario e sospira chiudendo lo schermo del suo laptop. «Siamo quasi arrivati. Sembra che ci siamo messi in viaggio due minuti fa e invece sono già tre ore».

Stringo forte il volante e suono il clacson in preda a una crisi isterica. Scott sobbalza, allunga la mano e me la poggia su un braccio. «Vuoi che ti dia il cambio?», mi chiede con cautela.

«Sarebbe stato carino se me lo avessi chiesto un'ora fa invece di farlo adesso che manca solo poco più di mezz'ora».

«Avresti potuto dirmi che eri stanca, non leggo mica la mente», prova ad argomentare, ma qualcosa nel mio sguardo lo blocca. Allunga il braccio fino ai sedili posteriori e ci poggia il portatile, poi si slaccia la cintura. «Coraggio, facciamo cambio prima che il traffico riprenda a scorrere».

Siamo fermi da così tanto che inizio a credere che non riprenderemo mai a muoverci, ma faccio più in fretta che posso e, senza scendere dall'auto, aspetto che lui abbia richiuso lo sportello e mi sposto da un sedile all'altro.

Pessima idea! Il mio ginocchio, che va a sbattere contro la leva del cambio, è d'accordo con me.

Mi stiracchio mentre Scott prende posto alla guida. Sistema il sedile in modo da stare comodo, aggiusta lo specchietto retrovisore e poi si allaccia la cintura, giusto qualche secondo prima di ripartire.

Allaccio anche io la mia e, massaggiandomi il ginocchio indolenzito, recupero il telefono per far sapere a Caroline che tra poco sarò a New York.

Volevo farle una sorpresa e presentarmi in clinica senza preavviso, ma so com'è la mia amica e quindi preferisco avvertirla.

Avvio la telefonata e lo squillo si diffonde in tutto l'abitacolo attraverso il vivavoce bluetooth. Caroline risponde quasi subito.

«Dimmi pure, Amelia Rose Grayson», esordisce.

Scott corruga la fronte e mi guarda per un secondo o due. «Amelia?»

«E Rose» dico di rimando.

«Chi ha parlato?», domanda Caroline.

Cheers to thatWhere stories live. Discover now