Capitolo 11

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Stephanie







Apro gli occhi, dopo essermi stiracchiata. Metto a fuoco l'ambiente circostante e mi rendo conto di non trovarmi in camera mia. Devo essermi addormentata nel salotto di Danny, precisamente sul suo divano, mentre aspettavo che mio fratello facesse ritorno da me per riportarci a casa.
Libero uno sbadiglio, portando una mano davanti la bocca, poi decido di alzarmi e andare alla sua ricerca.
In cucina non c'è ombra di nessuno dei cavernicoli, fortunatamente, perciò mi dirigo al piano superiore.
Una porta aperta attira la mia attenzione, una voce che riesco a decifrare troppo tardi, solo quando varco la soglia, arriva alle mie orecchie.
È ancora impastata di sonno e appartiene proprio a Carter, che indossa soltanto un paio di boxer. Sta parlando al telefono con qualcuno, ma quando punta i suoi occhi dentro i miei, riaggancia.
«Cos'hai da guardare, ragazzina?»
Deglutisco. «Niente, cercavo mio fratello.»
«È con Danny da qualche parte» risponde con apatia.
Annuisco e faccio per indietreggiare, ma qualcosa di incosciente, dentro di me, mi trattiene. Perciò gli lancio uno sguardo da sopra la spalla.
«Come... beh, come ti senti?» gli chiedo, mordendomi la lingua subito dopo.
Lui mi mostra il solito ghigno fastidioso, quello che sembra far impazzire qualsiasi ragazza. «Perché? T'importa?»
Aggrotto la fronte, confusa. «Cosa? No, sono soltanto gentile, a differenza tua.»
Si avvicina a me, lentamente, come un cacciatore che fiuta la sua preda. Trattengo il respiro quando me lo ritrovo di fronte, a poca distanza.
«Non mi sei sembrata molto gentile, quando mi hai dato del teppista» precisa, avvicinando il suo naso al mio.
La tensione taglia in due il mio petto, facendo accelerare i battiti del mio cuore. «È quello che sembra, non significa che tu lo sia.»
Il naso sfiora la mia guancia, ne percorre il confine, fino al mio orecchio, lentamente, in una tortura senza precedenti.
«Vuoi sapere chi sono, ragazzina?»
Rimango a bocca asciutta quando il suo fiato accarezza il mio collo, sento un vuoto allargarsi nella mia pancia, qualcosa che non riesco a decifrare. Quasi un calore.
«Sì» riesco a rispondere, ma la mia voce risulta più un lamento.
Un bacio delicato sull'arteria principale mi fa sussultare. «Risposta sbagliata, ragazzina.»
Riapro gli occhi alla realtà, quando si allontana di scatto e mi osserva con quello sguardo da felino. «Non vuoi saperlo.»
E si allontana da me, così, dopo aver compiuto qualcuno dei suoi sporchi giochetti che ancora non conosco.
Scuoto la testa, ancora confusa, e quando raggiungo il corridoio lo trovo lì, in compagnia di tutti gli altri, con lo stesso atteggiamento di sempre. Come se non mi avesse quasi fatto morire d'infarto e di caldo. Maledetto.
«Steph» la voce di Jordan mi risveglia.
Incrocio le braccia al petto con fare severo. «Perché siamo rimasti qui? E dov'eri finito? È tardi, dobbiamo andare a scuola.»
Kevin esplode in una fragorosa risata. «Mamma mia! Ma quanto parli?»
Jordan si avvicina a me e annuisce. «Lo so, si era fatto tardi e non volevo svegliarti. Sono andato a prendere un cambio per te, così puoi lavarti e andiamo.»

Nonostante non mi vada a genio l'idea di spogliarmi dentro un bagno non mio, non ho potuto fare altro che obbedire. Venti minuti più tardi mi ritrovo sulla Jeep, già ricoperta dalla puzza fastidiosa del fumo e in ritardo.
«Ma siete mai lucidi, voi?» domando, senza nascondere la mia irritazione.
«E tu stai mai zitta?» interviene Carter, guadagnando un'occhiataccia da parte mia e scaturendo le risatine degli altri.
Fortunatamente arriviamo a scuola in pochi minuti, dato che Danny vive nel quartiere residenziale che si trova alle spalle dell'istituto.
Quando varco il grande cancello in loro compagnia, sento gli occhi di tutti gli studenti puntati su di me. Mi scrutano e mormorano, probabilmente si stanno domandando chi io sia. Perfino Vanessa Turner mi lancia occhiate ricche di astio.
Per questo, quando adocchio Adeline e Keira, le raggiungo in fretta. Voglio fuggire da tutte queste attenzioni non gradite.
«In compagnia del nemico, eh?» mi prende in giro Keira, mentre scioglie i suoi capelli viola dalla presa dell'elastico.
«Come mai siete arrivati tutti con la Jeep di Carter?» mi chiede Adeline, senza staccare mai gli occhi da quest'ultimo, neppure per un istante.
Mi stringo nelle spalle e cerco di inventare una scusa al volo. Non voglio dire la verità, mio fratello mi ha chiesto di tenere la bocca chiusa e poi non so ancora di chi posso fidarmi.
«Ha offerto un passaggio a mio fratello e io non avevo voglia di camminare a piedi» la getto così.
Lei, allora, incastra i suoi occhi nocciola dentro i miei. «Perché mi sembra che tu stia mentendo?»
Keira colpisce la sua amica con una gomitata scherzosa al fianco. «Perché sei paranoica.»
La conversazione fortunatamente si conclude. Insieme ci dirigiamo verso gli armadietti e la mora viene di nuovo ammaliata dalla figura di Carter. Distoglie però lo sguardo, quando la lingua del sottoscritto si infila dentro la bocca eccitata di Vanessa.
Un'espressione disgustata si dipinge sul volto di colei che credo sia mia amica ma che, lo so, nasconde qualcosa.
Così aspetto di rimanere da sola con lei, quando ci accomodiamo dietro al banco dell'aula di letteratura.
«Ti piace?» le domando, facendola sussultare all'improvviso.
«Chi?»
«Carter Baysen» dico a bassa voce.
Lei mi lancia un'occhiataccia. «No, ma come ti viene in mente?»
Faccio spallucce. «Lo guardi sempre.»
«Che stronzata, Steph» ribatte subito.
«Non ti credo.»
«Dovresti, invece. Un tempo eravamo amici, adesso non più, fine della storia.»
Mi acciglio. «Keira ha detto che ti ha fatto un grande torto.»
«Sì, non è niente. Lascia perdere» risponde bruscamente.
«Ade, se non vuoi parlarne basta dirlo, non serve prendersela tanto» preciso, un po' ferita dalla sua rabbia improvvisa.
«Non voglio, infatti.»
E la lezione comincia, ma il mio pensiero rimane fisso su di lei per tutta l'ora. Perché è ovvio che non mi consideri sua amica, se non riesce ad aprirsi con me. Oppure si tratta di una ferita ancora aperta, che le provoca tanto dolore.
Perciò, mentre la professoressa è distratta, le sussurro: «Mi dispiace, non volevo essere insistente.»

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