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«Perché intanto non vi sistemate nella tua vecchia camera? Gli altri torneranno tra poco, li ho spediti a fare la spesa per stasera. Oh, sarà bene che li avvisi di comprare più roba del previsto!»
Non se la ricordava tanto festosa sua madre, né tanto amorevole, che fosse merito del bellimbusto lì con lui?
Lo studiò di sottecchi mentre quello si spaparanzava sul suo letto: «Cosa credi di fare?»
«Sono un ospite, no? Lo ha detto anche tua madre, non vorrai farmi dormire per terra, vero?», chiese con lacrime da coccodrillo che gli incorniciavano i lati degli occhi.
«Beh, io di sicuro non dormirò sul pavimento», gli ritorse contro, dandogli un calcio per farlo spostare e sdraiandosi di traverso sopra di lui, a formare una croce.
«Cosa stai cercando di fare?» chiese Asahi tra le risate.
«Soffocarti con il mio peso», e prese a saltellare su e giù, sbattendo il fianco e la schiena contro gli addominali dell’altro.
Beh, era stata una mossa del cazzo.
«In palestra sollevo pesi che sono il triplo di te», gli comunicò, lasciandolo divertire neanche fosse un bambino che giocava coi gonfiabili.
«Levati», gracchiò, saltando in piedi sul letto e afferrandogli una caviglia, cercando di spostarlo di forza.
Ovviamente senza produrre alcun effetto.
«Da piccolo dovevi essere proprio un angelo di bambino, compatisco i tuoi genitori», gli disse Asahi quando alla fine si arrese, stendendosi di fianco a lui, la testa appoggiata su uno dei suoi enormi bicipiti.
Yuuta chiuse gli occhi: «Per tua informazione ero uno studente modello e un esempio positivo per i più piccoli».
«Non sapevo andassi a scuola con i diavoli», quello gli fece guadagnare una gomitata sul fianco, proprio tra le costole.
Essere uno studente d’arte e conoscere l’anatomia era utile in più di un senso.
Yuuta lo avrebbe volentieri ucciso se il calore del suo corpo non fosse stato tanto piacevole: era un tepore non troppo forte che partiva da dove i loro fianchi si sfioravano e poi si irradiava per tutto il resto del suo corpo.
«Decidi di dormire con me a tuo rischio e pericolo, sono uno che tira i pugni mentre dorme, sacrifica caprette a Satana e architetta piani diabolici per uccidere i propri nemici», lo avvisò sollevando una palpebra.
«Ma tu guarda, un’altra cosa che abbiamo in comune. Io per terra non ci dormo», Asahi scandì bene le lettere, una per una.
Yuuta non lo degnò neanche di risposta, era in un tale stato di beatitudine che sentiva la coscienza scivolare via, mentre il sole lo avvolgeva per portarlo nel mondo dei sogni.

♤♤♤

Si ridestò che era ormai notte e dal piano di sotto arrivavano schiamazzi e voci concitate.
Controllò l’orologio digitale sul comodino: era ora di cena, perché nessuno era venuto a chiamarlo?
Era appena arrivato e già lo escludevano di nuovo.
Posò i piedi nudi e affusolati sul pavimento in legno e si sgranchì le spalle, Dio come aveva dormito bene, proprio come un bebè.
Si cambiò, indossando qualcosa di meno appariscente, e si sciacquò la faccia.
Tutto pur di rimandare il momento in cui avrebbe dovuto affrontare la sua famiglia al completo.
Si sentiva così fuori posto, sin da quando era nato, e ora che li aveva lasciati lì e loro erano rimasti uniti mentre lui era volato via sentiva che le cose potevano solo peggiorare.
Quanto tempo poteva rimanere senza mangiare?
Forse poteva calarsi dalla finestra e fuggire verso Tokyo.
Il suo stomaco gli ricordò di smettere di sparare cazzate e alla fine lo costrinse a scendere al piano di sotto.
Cercando il coraggio, rimase nella penombra del corridoio, ascoltando i suoni delle bacchette e le risate della famiglia, poi si diede un piccolo schiaffo e aprì.
«Tesoro, finalmente ti sei svegliato!», lo accolse sua madre, invitandolo a sedersi, «Ho preparato i tuoi preferiti: satsuma age ripieni di radici di loto e a parte una bella patata dolce al vapore, vuoi la salsa di soia?»
Yuuta non sapeva cosa dire se non che quelli non erano i suoi piatti preferiti, ma quelli di suo fratello.
Allontanando i piatti con un gesto stizzito disse semplicemente: «Grazie ma non ho fame».
La donna parve rimanerci male, ma il resto della famiglia non esitò un secondo a gettarsi sugli avanzi e a farli sparire in un battito di ciglia.
Suo padre gli fece un cenno col capo: «Sono felice che tu stia bene, non rispondi mai alle nostre foto, il pacco che ti mandiamo ti piace? Vorresti che ci mettessimo altro? Perché domani non vieni a fare una passeggiata con noi? Quanto ti fermi?»
Yuuta si sentiva frastornato e sommerso da quella valanga di parole.
«Papà smettila di sbigottirlo con tutte queste domande, lascialo stare, è arrivato solo oggi», venne in soccorso sua sorella, massaggiandosi la schiena con una mano mentre con l’altra si accarezzava la pancia.
«Però ha ragione, anche io ho delle domande, com’è la vita a Tokyo? Altro giorno un mio ex compagno di classe mi ha detto di aver visto una tua opera d’arte ad un’esposizione», partì alla carica suo fratello.
Yuuta si massaggiò le tempie mentre Asahi si ingozzava contento e quella vista gli diede così fastidio che decise di schiacciargli il piede a tradimento sotto il tavolo.
«Ahi! Si può sapere che vuoi adesso?» gli chiese, saltando sul posto.
Yuuta lo ignorò, riportando la propria attenzione verso suo fratello: «Tra poco ci sarà una mostra e la commissione ha deciso di dedicarmi un’intera stanza, un’aula intera solo per me e per le mie opere».
«Oddio, è una notizia fantastic-ah!», sua sorella si bloccò a metà della frase, tenendosi il pancione e facendo respiri profondi. L’intera famiglia gli fu intorno in men che non si dica.
Che dire, era il degno figlio della madre, ancora non era nato e già sapeva a chi e come rubare il palcoscenico.
«Sto bene, sto bene, era solo una fitta», li tranquillizzò, ricomponendosi, «E c’è qualcuno nella tua vita? Sei single? Troppi pretendenti tra cui scegliere?».
Sua sorella aveva sempre avuto una predisposizione speciale per le domande di merda.
Erano giorni che riusciva a non pensare a Gina-san, che ovviamente gli aveva dato buca per la golden week per passare del tempo con sua moglie, e adesso invece era come se un fiume in piena lo avesse travolto.
Sentì lo sguardo indagatore di Asahi puntare su di lui, mentre continuava a mangiare imperterrito.
«Ecco, ehm, è complicato, tra l’università e tutto il resto non avrei neanche il tempo di gestire una relazione», spiegò con calma.
Asahi quasi si strozzò con un boccone per le troppe risate, beccandosi un colpo fortissimo sulla schiena da parte di Yuuta: «Qui, uccellino, qui, cip cip, guarda in alto e non morire sul mio tavolo».
Ma quello lo fece solo ridere ancora più forte.
Notò i suoi scambiarsi un’occhiata: «Qualunque cosa stiate pensando, no», li frenò sul nascere.
«Tesoro noi non stiamo pensando niente», lo rassicurò sua madre, «Ma dormirete con la porta aperta stanotte, va bene?», ordinò con quel suo solito tono che ti illudeva di avere una scelta e un sorriso glaciale stampato in viso.
Yuuta deglutì mentre Asahi continuava a ridere a crepapelle.

♤♤♤

«Ti ho già detto che io per terra non ci dormo, non sarai certo tu messo a stella marina sul materasso a fermarmi», lo avvisò Asahi, fissandolo dall’alto con le mani sopra i fianchi e gli occhi severi.
«Schiacciami pure, ma poi non lamentarti se quello che ho tra le gambe sembrerà entusiasta di vederti, essere premuto contro il materasso è uno dei miei kink», lo sbeffeggiò, convinto di aver ottenuto la vittoria.
Asahi, invece, afferrò le lenzuola e le tirò, avvolgendolo come in un bozzolo e alla fine lo lanciò contro la parete, prendendosi la porzione più grande del letto.
«Io ti maledico», borbottò cercando di liberarsi da quell’involucro.
«Oh, no, e cosa potrai mai fare? Togliermi la mia fortuna, la mia ricchezza o la mia lussuosa casa?»
Yuuta rise, suo malgrado.
«Si può sapere perché avevi paura di venire a trovare la tua famiglia?», interrogò dopo un po’ Asahi.
Yuuta non rispose, non erano affari suoi in fin dei conti, cosa poteva saperne lui?
Certo, quel giorno erano stati amorevoli ed espansivi ma gli sarebbe bastato pochissimo per tornare alle vecchie buone abitudini di ignorarlo o farlo sentire minuscolo.
Ogni tanto credeva di cercare l’approvazione di critica e pubblico solo perché non aveva mai ricevuto quella dei suoi genitori.
Cosa importa se i tuoi genitori riempiono solo i tuoi fratelli di attenzioni quando tu hai tutto il Giappone a idolatrarti?
Per non parlare di Gina-san.
Quanto era incommensurabile l’amore di una persona sposata che lasciava il proprio partner per te?
Forse non era neanche Gina-san che gli piaceva davvero, ma l’idea della soddisfazione che gli avrebbe dato il momento in cui avesse scelto Yuuta al posto di sua moglie.
«Perché non gli hai detto che in teoria hai una storia con qualcuno?»
Yuuta schioccò le labbra.
«No, noi non faremo questo, non è un pigiama party il nostro. Questo è un furto e violazione di domicilio da parte tua nei confronti del mio letto, quindi taci e lasciami dormire se non vuoi che ti prenda a calci o che ti aggredisca mentre dormi.»
Asahi si girò, dandogli la schiena e non disse più nulla.
Un barlume di senso di colpa si accese dentro Yuuta.
«Non capirebbero, direbbero che sono uno sfascia famiglie, mi giudicherebbero, come chiunque altro, come hai fatto tu», sussurrò con un filo di voce, ancora avvolto nelle coperte.
«Io non ti ho giudicato, ti ho solo detto la verità», spiegò Asahi, girandosi sul lato opposto, e Yuuta si trovò due enormi occhi color ambra ad un soffio dal suo viso.
«Oh, certo, con un tono dolce quanto l’acido.»
«Yuuta», lo chiamò con tono sofferente, «Io ho già visto questa storia, so già come va a finire, e non voglio vederti attraversare tutto quel dolore, perché una cosa così non la lasci mai andare. Continuerà a dirti stronzate, a farti promesse che non manterrà e tu ti alimenterai di speranze false per anni e poi, un giorno, all’improvviso aprirai gli occhi e capirai di aver sprecato metà della tua vita dietro una persona che non ti ha mai voluto davvero. E allora cosa farai? Solo, voluto da nessuno, maltrattato da tutti e senza un lavoro, cosa ti sarà rimasto?»
Yuuta vide gli occhi di Asahi farsi lucidi, il respiro irregolare.
«Asahi, ti senti bene?»
Domandò disincastrando una mano dal bozzolo in cui si trovava, avvicinandola al viso incandescente dell’altro.
Sembrava guardare lontano, oltre l’artista, oltre il presente.
Quello non rispose, si alzò, prese le sigarette e lo informò: «Vado a fumare, il letto è tutto tuo».
«Asahi, aspett-», ma era già andato via.

***Spazio autrice***
Sapete cosa? Oggi regalo per il nuovo anno, nella speranza che vada bene, e poi perché chi pubblica a capodanno pubblica tutto l'anno(?)🤣🤣🤣
Ricordatevi di mettere stelline, commentare, consigliare questa storia ad amici, parenti, sconosciuti e ci vediamo al prossimo capitolo.
Buon anno!

Raspberry Paradox [boyxboy]Where stories live. Discover now