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Un urlo squarciò il silenzio. 

I militari se ne stavano dritti, in piedi di fianco al furgone. Mi voltai senza capire perché nessuno si stesse allarmando. Al mio fianco, sentii Elsie irrigidirsi. 

Due ufficiali stavano trascinando un ragazzo con i capelli biondi e ricci sparati dappertutto. 

Era mingherlino e aveva gli occhi chiusi, si dimenava nelle loro braccia e strisciava i talloni per terra nel tentativo di rallentarli, ma gli ufficiali avanzavano come due forze inarrestabili, senza battere ciglio.

«Vi prego! No, per favore!»

Si trattava di due uomini prestanti e abbronzati che non mi sembrava di aver mai visto. Lo sguardo completamente anestetizzato da qualunque emozione umana. 

«Che succede?» Domandai, rivolta a Elsie. 

La sentii deglutire. Gli occhi erano spalancati in un'espressione di puro terrore.  «Lo portano via.»

La scorta si fermò davanti al furgone. Sollevarono il ragazzo, che ancora strillava come in preda a un dolore atroce, e lo obbligarono nel retro.

Sbatterono le porte con un tonfo, attutendo le grida. 

«Perché?» Sussurrai a fior di pelle.

Morrison, che mi stava guardando, fece un passo avanti. «Perché è l'ultimo della settimana, novellina.» 

Fissai attonita il conducente, anch'esso impassibile, e restai ad ascoltare il rombo del motore che si accendeva. 

Il ragazzo cominciò a prendere a pugni il veicolo dall'interno. «Vi prego! Non mandatemi via! Sarò più bravo, mi allenerò! Mi...» la voce fu rotta dal pianto. 

I singhiozzi erano talmente forti da sovrastare qualsiasi altra cosa. Almeno nella mia testa. 

«Che avete da guardare?» Sghignazzò Morrison. «Non ditemi che provate compassione! Prima o poi ci infileranno uno di voi, là dentro.» 

Il veicolo prese a muoversi, facendo scricchiolare le gomme sull'erba. Si allontanò dalla radura, portandosi dietro le suppliche del ragazzo. Attorno a noi cadde un silenzio pesante.

I militari furono i primi a riprendersi. In realtà, erano gli unici che non avevano nulla da cui riprendersi. Si avviarono verso il limitare degli alberi senza convenevoli, facendo oscillare i fucili legati dietro la schiena. 

«Che c'è, Davis», mi prese in giro Morrison, sulla cui faccia ci sarebbe stato bene un mio pugno. «Sei triste? É così ogni settimana.» 

Lo fissai impassibile. Nella testa sentivo ancora le grida del ragazzo. 

Avrei fatto di tutto per non ritrovarmi nella sua stessa situazione. Essere cacciati dal campo equivaleva a morire. Una condanna a morte lunga tre o quattro anni, in cui eri partecipe dell'evacuazione del mondo senza poterne prendere parte.

Elsie puntò gli occhi a terra, e nessuno disse una parola. 

***

Sgattaiolai nel bagno, lasciandomi le ombre della sera alle spalle. Era ora di cena, ma prima di andare dovevo fare una cosa.

Mi trovai davanti le due file parallele di lavandini che precedevano le turche, nascoste dietro una sfilza di porte nere. 

Marciai verso il lavello più vicino, ignorando lo scroscio rumoroso dello sciacquone. C'era qualcuno, ma non mi importava. Sfilai il pugnale che avevo rubato a Colin la sera prima e mi afferrai i capelli nel pugno, fremendo dall'impazienza. 

Non è la prima volta. Devi tagliarteli. Sono troppo lunghi.

Ci avevo riflettuto tutto il giorno. Alla fine, che importava dell'aspetto fisico? Se era quello che dovevo fare per non essere più afferrata, l'avrei fatto. 

BREATH. Respiro cortoWo Geschichten leben. Entdecke jetzt