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Mia nonna ci raccontava spesso una storia. Non una fiaba a lieto fine, per farci addormentare. Era una storia che racchiudeva dentro di sé le paure più recondite della mente umana; l'abbandono, la solitudine e la morte ne facevano da sovrani. Ed era dall'unione di queste paure che nacque la figura dell'Orsante: una donna dall'identità celata dietro una maschera, ma che regnava su oscure storie di bambini rapiti.

Nessuno sapeva dove abitasse e perché avesse cominciato quell'arte venatoria.

Quello che tutti sapevamo con certezza era che fosse una leggenda.

E in quanto tale, sbagliammo a non temerla.


La Trottola 

Enea corse per il prato. Sorrise nel sentire il vento sferzargli le guance che andavano a fuoco, come ghiaccio su una ferita, ma il respiro affannato lo costrinse a fermarsi. Si buttò a terra, affondando tra i pochi steli che bucavano la neve non ancora sciolta. Le mani posate sul ventre.

«Già stanco?»

Nel sentire quella vocina accanto a lui, sbuffò. «Non sono più allenato, Nevio.»

Osservò il cielo che lasciava andare il biancore invernale per un azzurrognolo più primaverile. Con quel cambiamento arrivava anche la stagione preferita di entrambi, fatta di capriole, corse e marachelle in giro per la valle che fino in quel momento erano state in letargo come gli orsi.

Il suo fratellino rise divertito e si buttò accanto a lui. «Mi hai comunque battuto.»

«Ho le gambe più lunghe» ribatté con fare burlone. Poi spostò lo sguardo sul corpo esile dell'altro, coperto da abiti e cappotto sgualciti, e si soffermò al pensiero che addirittura un colpo di vento avrebbe potuto portato via. La sciarpa si era allentata e gli lasciava scoperto il pomo d'Adamo. «Dai su, andiamo o ti ammalerai.»

Lo fece alzare, senza dare ascolto alle sue proteste, e gli sistemò la fascia di tessuto al collo. Accarezzò la riccioluta nuca bionda, sorridendo come aveva visto molte volte fare a sua madre.

«Un altro pochino...» Con gli occhioni azzurri sgranati e il labbro inferiore all'infuori, Nevio lo osservò torcendosi le manine guantate.

Enea chiuse gli occhi, sospirando. «Va bene, scendiamo a valle e ti lascio giocare con la trottola.» Il bambino esultò con le braccia all'aria. «Ma ti avverto: al mio ordine andiamo via. Non voglio litigare con mamma e papà a causa tua.»

Uno sbattere d'ali.

Alzando il capo, Enea finì con l'osservare un falco girare in tondo su di loro, con le ali ben spiegate, poi si diresse altrove. Si portò in automatico il fratellino al petto, osservando il rapace finché non sparì oltre cime più lontane. Scacciò l'attenzione sullo strano silenzio calato tutt'intorno, che gli aveva fatto aumentare i battiti del cuore, e corrugò la fronte, dando una leggera spinta a Nevio per farlo incamminare.

I due scesero per il viale che portava al loro paese, superando un grande tratto ghiaioso, per raggiungere la valle abbracciata da montagne e boschi di pioppi e ontani. Si soffermarono a guardare un airone cinerino che beccava la superficie del fiume, poco più in là delle prime case. Quando si girò a guardarli, allarmato, fuggirono ridacchiando tra i paesani che camminavano o chiacchieravano per la via principale.

Cercarono di non farsi scoprire dalla madre, ma quest'ultima si affacciò dalla finestra chiamandoli con modo rimproverante, dopo averli intravisti oltre le tendine ricamate della cucina e aver riconosciuto le loro risate.

Enea corse dietro il fratellino, evitando anche solo di guardarla e far finta di non averla udita. Seguirono il corso del fiume fin dentro i primi alberi, che nascondevano un piccolo laghetto sormontato da una fragorosa cascata.

«Ecco, qui!» Nevio si inginocchiò in uno spiazzo di terra e tirò fuori dal tascone della giacca una trottola di legno.

Cominciò a farla girare, dopo aver sciolto il filo che andava dalla punta di metallo a sopra, elettrizzato. Enea, invece, si sedette sul ceppo di un albero, senza perderlo di vista. La sua aria gioiosa fu contagiosa, e si ritrovò a sorridere a sua volta.

Lo scrosciare dell'acqua in sottofondo, però, era così rilassante che si ritrovò a chiudere gli occhi per qualche istante, prima di riaprirli a uno spostamento strano dell'aria. Si girò di scatto, osservando ogni foglia, ogni tronco e ogni ramoscello che si trovavano alle sue spalle. Non avvertì passi di animale, o li avrebbe riconosciuti all'istante, e i lupi non scendevano così a valle di solito.

Allora cosa stava succedendo?

«Enea, vieni a sfidarmi?» La voce di Nevio lo fece sobbalzare.

Fece un cenno con la mano, senza guardarlo. «Fai un altro giro, arrivo subito. Promesso.» Scese dal ceppo e avanzò di un paio di passi. Si sentiva osservato.

Rabbrividì a causa del freddo che avvertì all'improvviso, e si maledisse per essersi sdraiato sulla neve. Eppure, era quasi sicuro che i peli sulle braccia non si fossero rizzati a causa di quello.

C'era troppo silenzio. Il rumore dell'acqua sembrò ovattarsi; nessun volatile cantava, il vento si era fermato.

Il tempo stesso si ghiacciò.

La sua esperienza in quei boschi, tra un gioco e l'altro con suo fratello e i ragazzi del villaggio, gli ricordarono che quando calava quella calma c'era sempre qualche predatore nei paraggi. Tuttavia, più scrutava il folto del bosco, più non notava nulla di strano.

In tutto quel silenzio, però, una cosa avrebbe continuato ad ascoltare: la trottola sul terriccio.

Con il respiro mozzato, si girò di scatto verso il punto dove aveva lasciato Nevio.

Il giocattolo era a terra, con la corda slegata, e non girava.

Chiamò a gran voce il nome del fratellino, correndo in quel punto preciso dove lui non c'era più. «Nevio!» gridò ancora, con le mani intorno alla bocca. Quella tranquillità, però, inghiottì la sua voce. Scosse la testa, raccogliendo l'oggetto mentre le lacrime cominciavano ad affacciarsi ai suoi occhi, scendendo copiose sulle guance, e il respiro si faceva di nuovo affannoso.

Lo chiamò ancora e ancora, urlando il nome fino a che la gola non gli fece male, ma dentro di lui era certo di una cosa: era ormai sparito nel nulla.

CaleidoscopioWhere stories live. Discover now