2J - Il mondo visto dall'alto

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Essere alti uno e novanta è una benedizione quando si cerca di rimorchiare, non che ne abbia mai avuto bisogno, ma delle volte è una maledizione. Ad esempio, adesso. Vorrei solo raggiungere lo stadio e partecipare all'allenamento, senza dover essere fermato da un'orda di giornalisti dalla vista aguzza che è impossibile ignorare.

L'ennesimo scandalo.

Ma può definirsi colpa mia quando insultano mia madre? No. Posso passare su tutto, sul serio, persino essere etichettato come uno stronzo violento, ma non accetto che tocchino la mia famiglia. Non sono loro che hanno deciso di farmi diventare famoso, si sono limitati a supportare il mio sogno e ad entrare in un mondo del tutto nuovo pur di vedermi soddisfatto della vita. Pertanto, se un maledetto Cowboy non accetta una sconfitta e riversa la frustrazione su di me insultando mia madre, io gli rifilo un cazzotto senza pensarci due volte.

Stuzzicava da tutta la sera lo stronzo. Prima le battutine sui nostri fisici, come se lui non fosse un cazzone pompato di un metro e ottantotto, poi i drink e infine le nostre famiglie. Ecco perché si è beccato un destro anche da Loris e Alex.

Mai toccare i famigliari, idiota.

Ignoro i flash delle macchine fotografiche e raggiungo a fatica gli spogliatoi.

Il Suncorp Stadium, meglio conosciuto come Lang Park, è lo stadio che da anni ci ospita ufficialmente. Lo condividiamo con i Reds, la squadra di rugby a quindici e i Brisbane Roar, la squadra di calcio. Qui respiriamo aria di casa, vinciamo e perdiamo insieme. Certo, preferiamo collezionare vittorie come i nostri predecessori, ma la sconfitta è sempre dietro l'angolo e bisogna prenderne atto. Non si cresce senza affrontare la realtà, un concetto che mi è stato inculcato molto tempo fa.

«Ehi, Baxter, come va la mano?» Vengo accolto da

Alex Weber, al suo fianco, la nostra terza linea, si mette comodo in panchina e sghignazza. «Come vuoi che stia? È una roccia.»

Lascio cadere il borsone ai miei piedi e li guardo, intenti a prepararsi. «Bene, ma i media sono di nuovo esplosi.»

«Il coach ti farà il culo, Baxter» esordisce Filippo Siani, il nostro tallonatore. Alcuni compagni annuiscono, chi divertito, chi un po' meno. E lo capisco, hanno ragione, ma almeno stavolta non è colpa mia.

«Lo avete già visto?» M'informo.

«Ci aspetta in campo» ribatte Loris.

Annuisco e con un sospiro mi affretto a cambiarmi. Ci alleniamo dalle otto alle dieci e poi dalle undici alle dodici. A volte persino dalle sei alle otto di sera, ma solo in vista di avversari più duri. L'allenamento è una parte fondamentale per la squadra, non serve solo a tenere allenate le nostre abilità, ma anche a forgiare legami. Su questo aspetto sono abbastanza carente, tuttavia non è qualcosa che posso mutare su due piedi, è il mio carattere. Gli altri accettano le mie poche parole, lo scarso entusiasmo nel condividere le cose e va a tutti bene così. Dopotutto, non esiterei nemmeno un secondo a difendere un compagno di squadra. E poi, farci la lotta a vicenda è da stupidi. La stagione è appena iniziata, siamo al massimo delle forze e dobbiamo pensare solo a vincere partita dopo partita, allenarci e revisionare filmati, non conta nient'altro. Avere un buon rapporto di squadra sta alla base di tutto ed è per questo che ogni singolo giocatore si impegna a mantenere un clima disteso e gioviale. Certo, non sono compreso nella mischia, ma non istigo nessuno alla violenza. Semplicemente, non sono un giullare come le due coppie di gemelli che abbiamo in squadra.

Paul e Christopher Newman, rispettivamente ala sinistra e destra, seguiti da Benjamin e Samuel Saltzman, centro sinistro e destro, sono dei ragazzi estremamente divertenti e spensierati che respirano rugby, donne e sport. Nonostante Paul e Christopher siano londinesi e pertanto si pensi che non abbiano senso dell'umorismo, basta passarci una singola ora per realizzare che è tutto l'opposto. Devo ammettere che fanno ridere persino me delle volte.

𝐓𝐇𝐄 𝐓𝐑𝐘 𝐙𝐎𝐍𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora