Capitolo 18. - Parte II

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Nella casa delle bambole


Roberto e Daniela Lanzieri restavano un enigma per lei.
A giudicare dalla villetta a due piani che si erano ricavati su un'altura nella campagna laziale, doveva essere una coppia pretenziosa.
Più a lungo osservava il citofono in ottone, l'affaccio su una distesa sterminata di ulivi che avrebbero iniziato a fiorire tra un paio di mesi, a maggio, più il senso di insofferenza s'impossessava di lei.
Alla fine, Lorenzo spezzò quel silenzio logorante.

«Beh, che aspettiamo? Io suono.»

Come una ragazzina ben istruita, Emilia ripeté le ammonizioni di Valente: «Ricordatevi di non sbottonarvi troppo, altrimenti la copertura salterà in un attimo. Devono essere loro a parlare».

Il ronzio del citofono rimbombò in quel tardo pomeriggio statico.
Prima che i proprietari rispondessero, Emilia si sentì di aggiungere: «Lorenzo, niente comportamenti eccentrici».

«Eccentrici, addirittura» le fece eco lui.

Intervenne anche Luca, divertito dal commento: «Diciamo che non sei il migliore nel mantenere i segreti».

«Ci puoi giurare.»

Una quarta voce si era inserita nella conversazione. Qualcuno era alle loro spalle.
Non una persona qualsiasi, ma Giulietta. Stivali al ginocchio, una minigonna di velluto color nocciola sul dolcevita scuro, su cui si apriva il cappotto a quadri: sembrava pronta per un'uscita mondana, non per un'arrampicata in campagna ai Castelli.

Luca anticipò la sorpresa generale con tre semplici parole: «Ci hai seguiti».
La sua deduzione meritò un applauso da parte della ragazza, che disse: «Complimenti. Si vede che non sei tu quello sveglio del gruppo. La mente è di sicuro Emilia. Come al solito». Si picchiettò un'unghia bordeaux sulla tempia. «Sempre stata una cervellona. Sempre un passo più avanti degli altri. E gli altri? Ah, giusto. Chi se ne frega, degli altri.»

Una lametta. Così suonava il discorso dell'amica nel petto di Emilia e, dopotutto, una lametta affondata nella carne avrebbe davvero fatto meno male.
Aveva resuscitato un senso di colpa in lei, che credeva smarrito.
Ma quale colpa? Averla tenuta al sicuro, fuori da realtà parallele, esperimenti umani e scie di uccisioni?

«Giuls, per favore, vai via.»

«Oh, certo. Continua ad allontanarmi, tanto poi vieni a piangere sul latte versato a casa mia.» Giulietta incrociò le braccia al petto, mostrando un mazzo di chiavi, tra cui quelle dell'auto. «Non me ne vado finché non mi dite cosa siete venuti a fare qui.»

Nella testa di Luca si rincorrevano svariate domande – come, perché collaborassero con un detective fallito, se non era in grado neppure di bloccare una ventenne curiosa messasi alle loro calcagna, o perché, se come era probabile, Lorenzo le avesse detto dove sarebbero andati, omettendo il motivo – ma la voce gracchiante del citofono calò su di loro come una mannaia.

Doveva intervenire ora, altrimenti si sarebbero giocati l'unica carta che avevano.

Si schiarì la voce.

«Sì, siamo i ragazzi dell'intervista ai signori Lanzieri sulle dipendenze giovanili. Possiamo entrare?»

Giulietta lo guardò sbalordita, mentre il cancello automatico scattava e concedeva loro l'ingresso nel giardino ben tenuto, completo di una piccola fontana in funzione.
«Dipendenze giovanili

Provarono a non farla entrare, ma persino Luca aveva sottovalutato la forza fisica e la cocciutaggine di Giulietta, che vinceva le loro resistenze senza difficoltà. Continuò a blaterale finché non furono davanti al portone d'ingresso, dove Emilia si mostrò intransigente: «Se vuoi restare, fai pure. Ma non parlare, ti prego. È un'intervista davvero importante, questa, e la situazione è delicatissima».

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