Capitolo 18. - Parte III

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Nella casa delle bambole

Daniela Lanzieri non aveva taciuto un attimo.
Aveva tessuto un'interminabile ragnatela di racconti, descrizioni elaborate e inutili aneddoti, da quando si erano accomodati sul divanetto. Sembrava volesse stordirli, intossicarli con una mole di informazioni che sarebbero rimaste evanescenti.
Le mirabolanti gesta sue, del marito e delle rispettive famiglie di provenienza, non aggiungevano nulla all'idea che si erano già fatti su di loro: pomposi, ricchi ed egocentrici. Bastava un'occhiata alla casa, per quello.

Alla fine, Lorenzo si era spazientito: «E cosa ci dice di suo figlio? Ci parli dell'infanzia di Martino. Sa, abbiamo bisogno di un po' di dati, per ricostruire il suo profilo per i lettori».

A Giulietta non era sfuggito lo sforzo con cui l'amico provava a mantenere un italiano limpido, reprimendo la propria inflessione. Si era sintonizzato sulla frequenza della padrona di casa. Era un'abitudine, un tratto che Lorenzo aveva acquisito probabilmente da bambino, perché se lo trascinava dietro da anni: quando voleva compiacere, lavorarsi qualcuno, diventava un camaleonte.

Ma la signora Lanzieri non era un'ingenua. Virò abilmente: «Martino ha avuto un'infanzia tra le più fortunate e dorate al mondo. Sapete che abbiamo pensato il giardino proprio per lui? La fontanella che vedete all'entrata prima di lui non esisteva. Infatti, lo scultore per il puttino ha preso a modello proprio lui...»

Giulietta sospettò che quella non fosse una facciata. Le intenzioni del trio le rimanevano oscure – raccogliere informazioni su un anonimo ragazzino, per un lavoro sulle droghe? – ma era evidente dalla frustrazione di Lorenzo che non stessero centrando l'obiettivo. Il punto era, però, che forse Daniela Lanzieri sapeva parlare solo quella lingua, fatta di beni, possedimenti, abbellimenti e fronzoli vari. 

«Ah, che idea!» esplose quella. «Perché non ci ho pensato prima? Vi mostro lo studio di mio marito.»

Come ci fosse arrivata, agli hobby del coniuge, era incomprensibile.
Ma si era già alzata in piedi e con la mano fresca di manicure li invitava a seguirla in fondo al corridoio, quando Giulietta decise di porre un argine a quella deriva.

«Avrei bisogno di un po' d'acqua. Le spiace se ne prendo un bicchiere al volo?»

Lorenzo le indirizzò un'occhiata tra l'allarmato e il rancoroso. Lei non solo lo ignorò, ma riuscì anche a respingere la raffica di gentilezza con cui la signora Lanzieri minacciava di farla servire da una cameriera.

«Vi raggiungo subito nello studio» replicò serena, con un occhiolino all'amico.

La cucina doveva essere la punta di diamante dell'abitazione, dopo il giardinetto.
Un bianco scintillante – tra pavimento, pareti, soffitto e arredamento – la accecò per un attimo. Ristabilizzatasi, dopo un indugio sul frigorifero di ultima generazione metallizzato con previsioni meteo, Giulietta si concentrò sulla sua ricerca.
Qualsiasi missione animasse Emilia e gli altri, doveva trattarsi di un segreto che i Lanzieri volevano tenere nascosto. E lei sapeva bene dove cercare, per svelare i misteri di una famiglia: la spazzatura.

Nel bidoncino ordinato scoprì un quantitativo incredibile di fazzoletti, carta scottex e involucri di regali. Eppure, con una ricerca approfondita, lo trovò: un blister terminato di pastiglie.

Giulietta lo prelevò con attenzione e lo fece scivolare nella borsetta.
Nel Prozin si era imbattuta raramente, ma sapeva essere un farmaco comune nel trattamento di alterazioni della psiche. Schizofrenia e paranoia erano i termini che le affiorarono alla mente.

«Cos'altro ci nasconde la famigliola perfetta?» bisbigliò alla stanza vuota.

Ed eccola lì. Nascosta sotto al ripiano di un bancone, un'agendina nera in pelle era un livido in quel mare bianco. Come aveva fatto a ignorarla, all'entrata?

La Rosa NeraWhere stories live. Discover now