Lavai il bracciolo del divano e un po' pure la giacca dell'avvocato.
La ragazza che mi aveva accolta, da cespuglio di ricci con un grosso sorriso era diventata un cespuglio di ricci con gli occhi fuori dalle orbite.
Nella frazione di secondo in cui le gocce di caffè volarono in aria e si posarono su ogni malcapitato, il tempo parve rallentare e vidi passarmi davanti tutta la vita, in particolare quelle ultime settimane.
E poi iniziai a starnutire. Per finta. E pure gridando eeeetchùù.
«Oh, accipicchia», squillai alla fine, sotto i loro sguardi allibiti. Non sapevo se li stessi convincendo, ma stordendo di sicuro. «Povera me, non sono riuscita a trattenerlo. Mi spiace tanto, sono davvero mortificata. Ho anche macchiato il divano!»
Silenzio.
L'avvocato chiuse piano la porta, che riempì il vuoto cigolando.
«No, ma non si preoccupi!» Si risvegliò alla fine la ragazza, tornando nella sua versione "grosso sorriso", anche se con meno convinzione. «Sono cose che capitano.»
Come no.
«Vado a prendere qualcosa per pulire.» Si dileguò in tutta fretta, lasciandoci soli.
L'avvocato aveva l'aria di chi era appena uscito da una lavatrice in centrifuga e alternava lo sguardo in trance tra me e la sua giacca macchiata - la quale, con non poca ironia, era in cashmere.
Finsi di notarlo solo allora.
«Avvocato, è lei. Che coincidenza», dissi fredda, perdendo tutta la falsa civetteria di poco prima.
Lui si riprese con più lentezza del solito. «Buongiorno, signorina Verri», rispose un po' ingessato.
«Apprezzo la sua faccia. Mi conferma che almeno questa non è stata una macchinazione», commentai con stizza.
Il messaggio che mi aveva inviato non era per nulla sufficiente a ottenere il mio perdono dopo tutto quello che mi stavano facendo passare; inoltre avevo il disperato bisogno di spostare il centro dell'attenzione lontano da quello che avevo appena combinato.
Dopo aeroporto, pigiama di Aragorn e faccia nella ghiaia, sovrascrivere questo evento prima che si sedimentasse nella sua memoria diventava una questione vitale.
Fossi stata un giudice, dopo quella lista mi sarei condannata da sola.
Lui parve risentirsene, ma questa volta non alzò barriere. «Le assicuro che sono sorpreso di vederla quanto lei lo è di vedere me.»
Mi aspettai che iniziasse a scusarsi, cercando di recuperare i miei favori in qualche modo, ma non aggiunse altro.
Rimanemmo entrambi in silenzio, studiandoci a vicenda, finché la segretaria non tornò trafelata a riparare il mio danno.
In quello stesso momento una donna sulla cinquantina, con indosso un tubino celeste che la faceva sembrare la Fata Madrina di Shrek, si affacciò dall'ufficio e mi comunicò di essere pronta a fare quattro chiacchiere.
Un po' incredula da come si era svolto quell'incontro, salutai con un cenno e mi diressi verso il mio patibolo mentre l'avvocato veniva condotto in un'altra stanza.
***
L'intervista fu meno traumatica di quanto pensassi. Prima di iniziare, la giornalista, che sembrava non vedere l'ora di parlare un po' in italiano, mi rimpinzò di biscotti e ripassò con me quella che sarebbe stata la scaletta di argomenti da trattare.

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