22. Apollo e lo Scriba di Dio (ISAAC)

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A volte mi chiedo se il mio talento non sia semplicemente un sussurro nelle mie orecchie. 

Mia nonna direbbe di sì. Poi direbbe che a sussurrare è Dio. 

Chissà se Dio ha mai pensato di parlare con me, che dovremmo dirci? Ma forse è lui che mi parla sempre. Ecco perché mi confondo, ecco perché ho bisogno di alterare la mia realtà, eliminare il resto del mondo. 

Forse sono in contatto con lui. 

Se Dio decidesse di parlare di nuovo con qualcuno su questa Terra potrei essere io. 

Non sono un fanatico religioso. È la verità e basta. Sa che io avrei il talento per descriverlo con ogni mia singola parola e sa che morirei per terminare di scrivere qualsiasi cosa. 

Quindi forse sono come Mosè, forse Dio mi parla, ma io non ne sono conscio. 

Chi dovrebbe scegliere altrimenti? Io sarei perfetto. Forse mi detterà delle nuove Scritture. Forse un giorno srotoleranno i rotoli delle mie parole. 

Fisso il soffitto. Sono ancora perplesso dagli eventi di ieri sera e questa mattina. Non dovrei pensarci. È sera, è tardi. Dovrei dormire. Invece continuo a pensare a Henri. 

Forse Dio mi ha mandato Henri, forse lui è davvero un angelo sceso ad indicarmi la via della luce. 

Devo stargli lontano. Non possiamo, noi non possiamo. 

Chi può? 

Con me è difficile, sono una pagina inzuppata di problemi e incoscienza, vorrei potermi descrivere con parole migliori ma mi sento solo uno scarabocchio. Non posso trascinare Henri con me, è ovvio. Ormai ne sono consapevole, mi metterò l'anima in pace. 

Tutto mi fa malissimo, lo spirito, i sentimenti, tutto è dolorante. Rotto, spezzato. Per un momento, un solo momento, ho pensato che potesse essere possibile. 

Non lo è. Henri non era in sé, io non ho pensato. Saremo sempre divisi. Come la prima volta, come nella mia visione. Lui è lontano, perfetto, intoccabile. 

È notte, notte tarda. Sento dei passi su per le scale, chiudo gli occhi. Cerco di eliminare ogni rumore. Voglio essere solo, senza distrarmi. Impossibile. È facile distrarmi. I passi sembrano il rumore più fastidioso del mondo. Voglio silenzio. Sento le scale scricchiolare, è quasi doloroso. 

Un momento e tutto tace. Per un solo istante. Poi bussano alla mia porta. A quest'ora. 

Molto scorretto. Potrei essere addormentato. Non apro. Bussano ancora. 

Lasciatemi solo.

«Isaac»

Henri.

Nemmeno ci penso, mi alzo e apro la porta. So di sembrare uno spettro, non ho fatto altro che tormentarmi tutto il giorno, sono più pallido della mia canotta e più sgualcito della mia felpa. 

Sono un disastro, come sempre. 

Henri esita un secondo sulla porta, poi entra. Il suo passo è felpato, ma deciso, è vestito bene e ha i capelli leggermente in disordine, quanto basta perché io voglia affondarci le dita per ore.

È perfetto, come sempre. 

Eppure oggi c'è qualcosa di diverso, è irrequieto e non riesco a capire che cosa ci sia che non va. Di solito è così stoico, placidamente sereno. Ora no. Mi guarda confuso e non sa che dire.

Questo è insolito. 

Io aspetto, contro la porta, e lo osservo, in silenzio. Solo i suoi passi. Unico rumore. I miei occhi non riescono a scollarsi da lui.

The Wall, The Wave & The WireWhere stories live. Discover now