𝑃𝑟𝑜𝑙𝑜𝑔𝑜

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Uno strano tintinnio metallico risuonava nei miei timpani in modo ripetitivo, come il canto dell'orologio a cucù allo scoccare della mezzanotte. Era un suono ovatto, debole, come se fosse terribilmente distante dalla mia persona e si stesse man mano avvicinando, faceva lo stesso rumore del contatore del pianoforte, un terrificante e snervante ticchettio continuo.

Socchiusi gli occhi a fatica, una strana luce giallastra mi stava accecando e rendendo la vista offuscata. La testa mi girava come se fossi nel bel mezzo di una sbornia, ma non ricordavo di essermi dato alla pazza gioia la sera prima o di aver toccato dell'alcool, né sostanze peggiori di un goccino di whisky.

Spostai la testa trascinandola su qualcosa di freddo e liscio, appoggiando la fronte su quella strana superficie che puzzava come il legno di un pub in centro paese: ero forse andato lì per bere e avevo alzato troppo il gomito?

Difficile da credere, avrei dovuto avere un'ottima ragione per ridurmi in quello stato, bella o brutta che fosse stata, ma non ricordavo nemmeno che cosa fosse accaduto la notte prima quindi le possibilità erano infinite.

Mugugnai contro il tavolo lamentandomi del dolore alla testa, portandomi due dita alle tempie e massaggiandole delicatamente per alleviare il malessere

«Però, ce ne hai messo di tempo» commentò una voce rauca «Di solito ci impiegano dieci o quindici minuti al massimo per riprendere conoscenza. Tu sei qua da quasi due ore, te la sei presa con comoda, eh Romeo?»

Romeo? Perchè mi aveva chiamato Romeo? Quello non era affatto il mio nome, anzi a dirla tutta non avevo mai sentito quell'appellativo in vita mia, non ero nemmeno sicuro potesse essere un nominativo da poter affibbiare ad una persona umana. Tuttavia ero pur sempre spalmato su un tavolo legnoso a testa ingiù, poteva avermi confuso con qualche suo cliente abituale dai capelli folti e rossicci

«Non mi chiamo Romeo» biascicai con le labbra appiccicate al bancone «Mi chiamo Felix»

«Non importa tigre, ti si addice comunque con tutto quel pelo che ti ritrovi addosso»

Arricciai il naso confuso, quale pelo? Mi misi una mano sulla fronte e feci leva col gomito per alzare la testa dal ripiano, la sentivo così pesante che avevo quasi paura a lasciarla stare diritta da sola

«Wow» esclamò la voce maschile davanti a me «Le mie scuse, nel vedere la pelliccia credevo ti avessero tramutato in un felino ma con quel muso lungo di sicuro assomigli più ad un lupo che ad un gatto»

«Assomiglio a cosa?» borbottai confuso stropicciandomi gli occhi

Dovetti aprirli e chiuderli più volte per riuscire a focalizzare la vista annebbiata e quando il mio sguardo fu di nuovo nitido per poco non caddi dallo sgabello per lo spavento.

Davanti a me c'era un uomo calvo, anzi non sembrava affatto un uomo bensì un avvoltoio o un qualsiasi uccello che al posto della bocca avesse un lungo becco come quello che spuntava proprio in mezzo al suo viso. Gli occhi erano enormi rispetto al resto della faccia, così scuri che a malapena riuscivo a vederne la pupilla vermiglia e il corpo era estremamente smilzo, quasi malnutrito, come se fosse in fin di vita e a digiuno da decenni. Portava una divisa da barman con tanto di farfallino e stava pulendo con un calice di birra, riuscii a vedere le sue lunghe dita attraverso il vetro del bicchiere, aveva delle unghie così lunghe e affilate che quasi avevo paura potesse rompere il bicchiere solo aprendo con un colpo secco il palmo della mano

«Che hai da guardare?» mi disse aggrottando le sopracciglia «Non hai mai visto un barista fare il suo lavoro?»

Stropicciai gli occhi più e più volte per essere sicuro di non avere le allucinazioni o di un essere in un qualche strano sogno perverso. Ad ogni tocco sulla pelle sentivo come una morbida sfregatura, terribilmente fastidiosa quanto piacevole, come se mi stessi passando una coperta piumata sul viso

«C-chi sei tu?» balbettai tremante stringendo le mani sul bancone di legno

«Dipende, mi chiamano in tanti modi diversi a seconda del posto, dell'anno o della religione. Tu da dove vieni Fufi?»

«Felix...» ripetei iniziando a guardarmi intorno

ero seduto in uno strano locale arredato come se fossero gli anni 20, non c'era l'ombra di un jukebox o di un mini schermo su cui poter guardare le partite di football, i tavoli e le sedie erano piuttosto vecchi e lungo le pareti erano appesi decine di quasi di diversa misura e grandezza

«Fufi, Felix, Fido...Non fa alcuna differenza qui sotto. Di dove sei quindi?»

«Carson City, Nevada» risposi frettoloso continuando a girarmi a destra e sinistra

«Aahh, un americano. Era da un po' che non conversavo con uno di voi, di solito la prima cosa che fate una volta giunti qui è puntarmi un pezzo di metallo alla testa minacciandomi di morte»

«S-si...io non sono esattamente un tipo violento»

«Hm, strano» commentò lui poggiando entrambe le mani sul bancone «Allora come mai sei qui?»

«Non lo so» ammisi spaventato «Non so nemmeno dove mi trovo, devo aver bevuto troppo ieri sera» dissi massaggiandomi di nuovo le tempie e passandomi entrambi le mani sul viso

Di nuovo quella strana sensazione di soffice sfregatura mi colpii il volto, mi guardai i palmi ed emisi un grido di terrore quando al posto delle mie mani vidi due enormi zampe dotate di artigli e ricoperte di una strana peluria sui toni dell'arancione

«Te ne sei accorto solo ora?» commentò sarcastico il barista «Non oso immaginare come sarà la tua reazione quando ti guarderai in uno specchio»

Sbarrai gli occhi guardando quel mezzo avvoltoio fare un sorrisino perverso e tornare a pulire i suoi stupidi calici di birra. Mi passai le mani, o meglio le zampe fra i capelli e venni a contatto con delle strane sporgente poste proprio sopra la mia testa, qualcosa di morbido e appuntito spuntava dal mio cuoio capelluto.

Notai uno specchio in lontananza posto su una delle pareti del bar e mi ci fiondai di corsa, rischiando di cadere per terra e di inciampare nel mio stesso sgabello. Avevo paura, tremavo di paura ma non potevo trattenermi dall'osservare il mio riflesso perchè le domande che stavano sorgendo nella mia mente erano fin troppe.

Quasi svenni quando finalmente i miei occhi videro ciò che ero diventato. Non riuscivo a crederci, era impossibile, disumano.

I miei occhi erano giganteschi, di due colori diversi, uno rosso con l'iride giallognola e l'altro blu ma con la sclera verde. Il mio viso si era trasformato in un lungo muso canino, con tanto di naso a triangolo e denti appuntiti come se fossero delle piccole fauci e i miei folti capelli rossicci ora ricoprivano tutto il mio corpo come se fossero una gigantesca pelliccia sintetica, che non era però fatta di plastica ma di vero pelo animale. Mi spuntava da per tutto, sulle mani, sul petto, persino sulla faccia che per metà era addirittura color bianco panna così come la peluria al centro del petto.

Ero diventato una specie di felino con le zanne, un enorme gatto dal muso allungato di circa un metro e novanta che ancora portava la sua giacca bordeaux con le rifiniture nere e i suoi jeans marroni scuro abbinati al pezzo sopra

«C-Che...che cosa mi hai fatto?» sussurrai indietreggiando a passi lenti

«Io?» domandò il barista scoppiando a ridere «Io non ti ho fatto proprio nulla caro Fox. Questa è la tua punizione per aver peccato durante la vita permanenza sulla Terra, ti sei scelto da solo la strada della dannazione»

«Ma di che cosa stai parlando?» chiesi avvicinandomi di nuovo al tavolo «Punizione? Peccato? Dannazione? Che cazzo stai dicendo?»

«Ancora non l'hai capito?» domandò ghignando e sporgendosi da dietro il bancone per potermi parlare becco contro muso «Tu sei morto volpino. E sei appena arrivato all'inferno»

Lost in HellDove le storie prendono vita. Scoprilo ora