6. Incubi

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«Christian, vieni qui! Avanti, è pronto il pranzo»

«Arrivoo» Esclamai ridendo, continuando a correre per il giardino inseguendo quel piccolo coniglietto marrone che aveva il semplice compito di farmi compagnia, anche se in realtà sembrava voler scappare via il più lontano possibile da me

«Ahia! Che male» Esclamai quando andai a sbattere il ginocchio contro la sedia in legno del classico complesso da giardino esterno

«Christian, tutto bene amore? Cos'è successo?» Osservai la donna precipitarsi da me, chinandosi alla mia altezza nonostante gli acciacchi dell'età

«Nulla nonna, mi sono fatto male, ma ora passa»

Sorrisi, ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire copiose, osservando il mio ginocchio rosso

«Sembri proprio tua madre... Sei così sbadato come lo era lei» Sorrise malinconica, passando dolcemente una mano tra i miei capelli ricci e ribelli

«Nonna, quando andiamo a trovare mamma e papà? Mi mancano, voglio portargli dei fiori nuovi questa volta... Magari delle margherite o dei tulipani»

Lei annuì, aiutandomi ad alzarmi dal prato erboso

«Ci andiamo presto, ma adesso vieni a mangiare, ho fatto il tuo piatto preferito, sai?»

Contento, non persi tempo ad entrare in casa, occupando quello che era diventato il mio posto a quel tavolo, iniziando a mangiare con foga.

Cercai di girarmi e rigirarmi, sentendo addosso una sensazione di caldo misto freddo, sudore accompagnato da brividi, ritrovandomi senza neanche rendermene conto in una nuova "realtà".

«Nonna, ei, come stai?» Chiesi quando varcai la porta di quella stanza, notando subito il suo sguardo assente

«Hai mangiato qualcosa oggi?» Continuai, allungando una mano per sfiorarle il viso scarno per la malattia e l'eccesso di farmaci

«Ma tu... Tu chi sei?» Chiese allontanandosi bruscamente dal mio tocco

«Sono Christian nonna, tuo nipote, ricordi? Stavamo sempre insieme»

«Io non ho nipoti! Non ho nessuno! Vai via o chiamo qualcuno!» Inizió ad agitarsi, e iniziai per l'ennesima volta a sentirmi peggio di quanto non lo stessi già di mio

«Ei, tranquilla, se continuerai ad agitarti ti sentirai male»

«Ho detto che te ne devi andare! Via!» Urló e quella volta l'infermiera di turno ci raggiunse di fretta, spostando lo sguardo da me a lei

«Signor Stefanelli, le devo chiedere di abbandonare la stanza... Lo sa, ci sono giorni peggiori di altri e questo è uno di quelli... Magari domani sarà più lucida»

Annuii, uscendo a passo lento da quella camera impersonale, dirigendomi verso l'uscita della struttura con fare sconfitto.

Non avevo più nessuno. Ero solo. L'unica persona a volermi bene al mondo non ricordava neanche la mia esistenza.
Avevo portato in una casa di cura l'unica donna che si era presa cura di me per tutta la vita perché, come potevo pensare io a lei se non riuscivo neanche a farlo per me stesso?

«Christian»

«Chri, sveglia»

Sentii una mano, poggiata sul mio braccio sinistro, scuotermi con violenza e ciò bastó per ridestarmi, anche se in modo parecchio brusco.

Sentendo il corpo scosso da tremori, avvertendo un forte freddo addosso e il cuore battermi violentemente in petto, puntai gli occhi su quelli azzurri e preoccupati del ragazzo al mio fianco

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⏰ Last updated: Apr 11 ⏰

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Eclissi |Zenzonelli| Where stories live. Discover now