Capitolo 17

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Buonasera :) Scopriremo in questo capitolo alcune cose sul passato di Tecla. E' un capitolo 'forte'.

Mi chiedo se lascerò mai qualcosa alle mie spalle. Un'eredità morale, un sogno realizzato, un lascito all'umanità. Qualcosa che possa testimoniare come io sia esistita, come abbia calpestato questa terra, avuto possibilità di trasformarla, edificarla, cambiarla in meglio per le discendenze che non vedrò mai.

Mi chiedo se farò mai qualcosa di buono nella mia vita, qualcosa che cancelli quello che ho fatto di sbagliato, semplicemente nascendo.

*

Tecla

Il medico in ambulatorio ci fissò basito. Io e Antonio seduti doloranti, in piedi alle nostre spalle c'erano Patrizio e Matteo. Li avevo messi al corrente di ciò che era successo e cinque minuti dopo si erano presentati a casa nostra, pronti ad accompagnarci lì per ricucirci.

Il dottore non sapeva cosa dire. Io con due punti al lato della fronte, Antonio con il labbro inferiore gonfio e spaccato, cosparso di crema antibiotica biancastra, Matteo con ancora in testa il cerotto medicato e Patrizio con gli occhi pesti e il naso gonfio.

«Il prossimo che mi mandate qui chi è?» chiese il dottore, ironico ma non troppo.

«Se passa un ragazzo alto, con la maglia strappata e sporca di sangue e uno zigomo ingrossato, non lo aiuti.» Matteo invitò candidamente il medico a non rispettate il codice deontologico.

«Il vostro amico è passato prima di voi. A lui è andata meglio, un cerotto e basta.»

«Nemmeno quello si meritava.» borbottò Antonio, con il labbro gonfio che rendeva le parole quasi incomprensibili.

Uscimmo tutti mogi diretti verso casa. Antonio ciondolava davanti a noi con le mani nelle tasche dei pantaloncini, calciando sassolini inesistenti. Teneva le spalle curve, tutto il peso della delusione lì sopra. Roberta gli piaceva, aveva anche pensato di invitarla a Roma da noi per l'ultima settimana di agosto, visto che i nostri genitori non ci sarebbero stati. Non aveva fatto in tempo a proporglielo. Era tutto finito. Antonio era buono ma non perdonava.

Lo raggiunsi di corsa.

«Come stai?»

«Come vuoi che stia, Tecla?»

«Male, ma passerà.»

«Non mi è passata per vent'anni, figurati se mi passa ora.»

Gli circondai la vita con un braccio e gli lasciai un bacio sulla spalla.

«Tu, piuttosto, sei felice.» mi fece notare con un sorriso forzato.

«Diciamo che mi è stato risparmiato il discorso per lasciare Rino.»

«Meglio cornuta che con le responsabilità, eh?» disse aspro.

Ritirai il braccio offesa, ma cercando di comprenderlo. Era triste e arrabbiato.

«Tecla, vai a dormire dai tuoi amici, se possono ospitarti. Vorrei rimanere solo.»

Mi voltai verso Patrizio e Matteo che ci seguivano a debita distanza, bisbigliando tra loro.

«Non voglio lasciarti solo, Anto'.»

«Non mi va che mi stai a sentire tutta la notte a piangere o imprecare. Vattene da loro, per favore. O se non ti vogliono, chiedi a Marilena.»

Patrizio e Matteo mi guardavano interrogativi. Ingoiai il dolore di sentirmi cacciata di casa, come se solo Antonio avesse il diritto di stare male. Non gli passava per la testa che potevo soffrire anche io? Che sì, ero contenta di poter finalmente stare con Matteo, ma che una rottura dopo un anno di relazione restava comunque tosta da elaborare e che magari anche io volevo stare da sola nella mia stanza? No, non ci arrivava. Dovevo sempre mettere da parte i miei sentimenti a favore di quelli altrui. Ci ero abituata ormai, ma la sofferenza di sapere che ormai tutti davano per scontato che dovessi farlo, che dovessi essere per forza io l'agnello sacrificale, scavava una ferita sempre più profonda. Non avevo diritto a stare male secondo i miei criteri, ma solo attraverso gli egoisti dettami degli altri.

Questo amore passeràWhere stories live. Discover now