20. La fine dello scontro?

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Contrariamente ai suoi propositi iniziali che prevedevano piuttosto facilmente –e anche stupidamente- di riuscire a fare il culo a strisce a Big Mom, Berlay era nuovamente finita a terra in seguito all'ennesima colluttazione, ancora più grondante di sangue e con nuove ferite inferte dall'ultimo attacco subito.

"Porco cazzo" era tutto ciò che aveva soffiato delicatamente fuori dalle labbra, ancora stesa al suolo.

Giaceva nel mezzo di un cratere profondo diversi metri che si era generato in seguito al violento impatto. Lei vi stava dentro, di schiena, con il volto provato riverso in direzione del soffitto. L'ultimo fendente dell'Imperatore l'aveva tagliata in due e oramai Berlay non riusciva più a scorgere le proprie porzioni di pelle ancora intatte; il braccio sinistro era intorpidito e si chiese internamente se sarebbe prima o poi tornato a posto, avvertiva qualche costola fratturata oltre a una lussazione alla spalla.

A queste ferite "superficiali" ci si aggiungeva che era stata ustionata a più riprese, schiaffeggiata circa una decina di volte e infine presa pure a spadate. Diciamo che non aveva previsto che lo scontro andasse tanto di merda, altrimenti nemmeno sarebbe scesa in campo.

"Certo che picchi forte per essere una nonnetta" sputò fuori dalla bocca impastata di sangue.

"E pensa che mi sono pure trattenuta per evitare di distruggere tutto il castello."

"Adesso non ti allargare, dai..." provò a ribattere con scarso successo Berlay, prima di venire colta da un improvviso conato di vomito.

L'imperatore la guardò rimettere con entrambe le sopracciglia sollevate di sentito disgusto.

"Il mio amato pavimento di cracker" sussurrò con orrore, prima di scuotere la testa e cambiare totalmente tono. "Ancora non ti arrendi? Non vedi quanto sei patetica?" le fece notare, mentre si appoggiava Napoleon sulla spalla. Stava in una posa rilassata, lei, dall'alto del cratere. "Ormai sei spacciata, mamamama! E tu che pensavi pure di vincere, venendo qui e facendo la gradassa. Spero che la lezione ti sia servita: tu non sei neanche lontanamente al livello di un Imperatore. Non mi hai procurato nemmeno un graffio."

"Forse non hai capito. I-io..." provò a replicare Berlay, tra un colpo di tosse e l'altro, "io non voglio vincere. Io devo vincere."

Già, Berlay era consapevole dell'abisso di forza che scorreva tra lei e la sua avversaria. Eppure credeva nelle proprie potenzialità: poteva e soprattutto doveva superare i propri limiti tecnici quanto fisici per sopraffarla.

Il dolore è mio amico.

Devo accettarlo e accoglierlo.

Solo così potrò rinascere da esso.

Sentiva gli occhi farsi sempre più pesanti con le palpebre che cadevano radenti eppure non a causa della stanchezza. I battiti del suo cuore stavano lentamente scemando all'interno della cassa toracica.

Tum tum tum tum.

Tum tum.

Tum.

Si estraniò dai rumori delle esplosioni che la circondavano e rimase sola, accompagnata dal proprio tremulo respiro.

C'era il buio, solo il dolce, cullante buio. Nel fondo di questo tunnel oscuro vi erano immagini passate, liete carezze che le fecero distenere il busto. Un uomo dal volto buono, eppure ricoperto di cicatrici biancastre le stava sorridendo in fondo a tutto quel nero.

Papà, pensò Berlay con il cuore in gola, sei proprio tu?

"Un giorno diventerai una grande combattente, piccola mia" le stava dicendo lui, sorridendole amorevolmente attraverso gli occhi ambrati, così simili a quelli della bambina che le stava di fronte.

Il Trono di CuoriWhere stories live. Discover now