II

222 26 6
                                    

Sakura Shui, Chinatown, Manhattan.

Avevo appena terminato di svuotare tutto il mio risentimento nella doccia e di essermi resa presentabile, nonostante i miei occhi urlassero pietà, quando alla porta della mia stanza bussarono con prepotenza.

Per un millesimo di secondo ebbi la malsana idea di non aprire la porta, di non permettere a nessuno che portasse il cognome Chen irrompere nel mio piccolo mondo. Nel mio universo. Non mi dovevo sposare, nel mio piccolo strano mondo capovolto ero ancora la piccola Sakura Sui che rincorreva il proprio padre nel salotto e tirava la maglia per farlo smettere di correre. Mi mancava tantissimo. Nostra madre ci aveva permesso di conservare solo un piccolo ricordo di lui e per me era stata una fotografia, ormai sbiadita, appoggiata sul comodino di fianco al mio letto. Con velocità mi asciugai una lacrima sfuggita al controllo e mi diressi ad aprire la porta.

"Min," bisbigliai. "Che ci fai qui?"

Era più piccola di me di un solo anno. Era la mia sorella preferita, quella a cui potevo confidare tutto. La mia goccia d'acqua per la verità, tranne che per un piccolo neo davanti al padiglione auricolare destro. Avevo trascorso la mia infanzia al suo fianco e potevo riconoscere il suo respiro in mezzo alle mie altre sorelle.

"Fammi entrare, per favore."

Non attesi più di un secondo, avevo captato l'urgenza nel suo sguardo, così mi spostai di lato e attesi che varcasse la soglia della mia camera. Chiusi la porta alle mie spalle con cura, girai la chiave solo di mezzo scatto e mi ci appoggiai contro. Abbassai le palpebre e deglutii.

"Se ti scoprisse-

"Non mi scopriranno." La figura sinuosa di Min mi dava le spalle, ma potevo intuire avesse le due iridi fisse alla finestra e le mani intrecciate. Aspettai con il respiro mozzato che continuasse ed una folata di vento fece prendere vita i suoi capelli indistinguibili dal colore della notte. "Devi andartene da qui." Non risposi, troppo sconvolta dal significato delle sue parole e dalla serietà con cui le pronunciò. "Dico sul serio," si voltò verso di me e fece un passo nella mia direzione, "devi davvero andartene, Sakura."

Tentai di riprendermi dalle due frasi. Aveva solo sedici anni, come diavolo poteva essere giunta a questa conclusione?

"Che diavolo stai dicendo, Min?" Mi avvicinai ed abbassi il tono di voce. "Sai cosa accadrebbe se mi trovassero anche solo a metà strada?"

"Non lo faranno," ribattè asciutta e osservando la sua espressione ne rimasi strabiliata. Era sicura. Inamovibile. "Te ne andrai." Mi allungò un foglio di carta. "Questa è la mappa per la libertà, sono riuscita a disegnarla insieme a Xiong, un suo autista ti attende a mezzanotte fuori da Chinatown... andrai in Canada e non tornerai più." Mi appoggiò le mani sulle spalle ed avvertii il freddo glaciale delle sue dita; Min non aveva paura, sembrava essere nata per dare ordini. "Non puoi entrare a far parte della mafia... sei troppo pura, Sakura."

Sembrava che ogni frase che Min dicesse fosse una sentenza di morte. Non avevo mai sentito parlare della mafia nella nostra casa, sino a quel momento. Comprendevo che le entrate della nostra famiglia dovessero essere "gonfiate", soprattutto dall'arrivo del nuovo marito di mia madre, ma non che appartenessimo ad una associazione criminale.

"La mafia?" Mormorai persa tra i miei pensieri.

"Sì, la mafia." Prese un grosso respiro, si allontanò da me e si accomodò sul letto. "Annuncerò il matrimonio con Xiong domani, riteniamo entrambi che questo ti dovrebbe donare un po' di vantaggio... dopo la notizia di ieri sera nessuno si aspetta che tu esca dalla tua camera-

La mia mente ritrovò la lucidità e la bloccai.

"Tu sapevi?" Quando i nostri occhi si incontrarono ebbi una fitta al cuore. "Tu sapevi tutto."

Abbassò il capo sconfitta, quasi come se si vergognasse di ammettere che mi aveva taciuto una simile verità così disastrosa.

"Ho sempre saputo... mamma, voleva proteggerti."

Scoppiai a ridere con una risata sinistra e innaturale.

"Proteggermi?"

"Sei troppo debole, Sakura."

Sobbalzai a quelle parole. Era una frase dura che non rispecchiava per  nulla il carattere di Min, strideva con forza contro quel corpo minuto e quegli occhi che parevano dolci, ma che a quanto pare celavano dei segreti profondi.

"In che senso sono troppo debole?" Soffiai qualche secondo dopo; anche Min mi aveva lasciato il tempo per riflettere. "Che diavolo significa?"

"Sei una sognatrice, Sakura." Incrociò le braccia al seno. "Non sei fatta per la mafia."

"E tu allora?" Sputai alla ricerca di qualche appiglio.

"Ho Xiong, mi basta per riuscire a superare tutto questo."

Avanzai di un passo, quasi minacciosa. Non comprendevo esattamente il motivo per cui fossi così arrabbiata, poiché non ero davvero così ansiosa di far parte di un'organizzazione criminale, ma mi sentivo bruciare dentro per essere stata scavalcata così. Per essere stata ritenuta una inetta. Non era giusto. Ma io non volevo davvero far parte di tutto questo, no? Io volevo solo andarmene e mia sorella mi stava regalando gratuitamente una via di uscita.

"Non lo conosci abbastanza." Il mio cervello iniziò a lavorare in maniera febbricitante. "Come fai a fidarti di lui?"

"Lo conosco abbastanza."

"Ti stai sacrificando."

"Conosco Xiong, porterò via tutte le nostre sorelle." Sospirò. Lui è già d'accordo. Abbiamo discusso a tavolino con mamma. Verranno via con me e lei ricomincerà la sua nuova vita."

Come poteva avere senso quello che stava blaterando Min? Erano tutti d'accordo, tutti sapevano e perché nessuno mi aveva mai messo al corrente di nulla? Perché ero l'unica che ignorava la verità sulla mia famiglia?

Mi rigirai la carta tra le mani e in quel moto di follia mi dissi che a me delle loro macchinazioni non importava nulla. Mi avevano messa da parte e in quel momento, di cui mi pentii amaramente in seguito, non avevo voglia di pregare per avere delle spiegazioni che avevano deciso di non darmi. L'occhio mi cadde sul borsone di fianco ai piedi di Min e con un groppo in gola compresi che già avevano deciso che non avrei più fatto parte. Senza dire una parola mi avvicinai allo zaino, lo presi in mano e la guardai fissa negli occhi. Deglutii forte.

"Non capisco perché mi state mandando via, ma lo accetto." Non le diedi il tempo di rispondere, che aprii la finestra che dava sul cortile del nostro palazzo. Per fortuna la mia camera era al piano rialzato, dunque dovevo solo impegnarmi a nascondermi nei coni d'ombra."Spero che un giorno ci rivedremo o che almeno capirò. Salutami tutte."

The Origin: DraktaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora