Controllai un'ultima volta di non aver scordato nulla, presi i bagagli e, arrivato sulla soglia di casa, mi voltai a osservare i miei amici. Saperli insieme era l'unica nota intonata nel trambusto di quelle settimane.
«Ricorda la promessa» sospirai, incrociando gli occhi di Cornelio. "Devi dirle cosa provi".
«Quale promessa?» domandò Volumnia.
«Ho... giurato a Virgilio che gli scriverò spesso.»
«E io di tornare a Roma con un terzo spettacolo» gli ressi il gioco ma, nel chiudere la porta, ci scambiammo uno sguardo d'intesa.
"A presto, amici miei" pensai, posando entrambe le mani sull'uscio. Lasciare quella casa mi pareva così irreale che rimasi immobile per minuti interi. Poi inspirai a fondo e imboccai la strada verso la domus di mia madre.
Quando lei chiese perché lasciassi l'Urbe, non diedi spiegazioni. «Vado ad Andes» mi limitai a mugugnare.
«Andes?» ripeté la mamma col respiro mozzato. Significava che avevo scelto la parte da cui stare, e non includeva la sua nuova famiglia perfetta. «Sei... sicuro? È un lungo viaggio.»
«Lo so» mormorai, senza guardarla in faccia.
«In tal caso... ecco...» fece per abbracciarmi, però all'ultimo si ritrasse «Che gli Dei ti assistano durante il tragitto.»
«Grazie.»
Non avevamo più niente da dirci e, sotto i raggi cocenti di un Sole estivo, proseguii in direzione del Nord. La via sembrò infinita e troppo breve al tempo stesso, mentre la nostalgia faceva a gara con le paure.
"Quante cose saranno cambiate?" Mi domandavo a ogni sosta "Ritroverò le persone che amavo? Le leggende? I profumi?" ero ansioso persino di venire inghiottito dalla nebbia che tanto m'intimoriva da bambino. "E loro? Mio padre e Flacco saranno felici di vedermi?".
Giunto a destinazione, scesi da cavallo e mi fermai ad ammirare il paesaggio. I nostri alberi erano carichi di frutti, l'erba ben tagliata, la villa identica al Passato.
"Dopo tanto fuggire, sono a casa". E lo dovevo a Ottaviano. "Hai fatto molto più che avvisarmi di un pericolo" sorrisi, raccogliendo il coraggio per bussare.
Al rumore sordo del legno, rispose una voce chestentai a riconoscere. «Lydia?» azzardò «Dammi un istante.»
"Per gli Dei! È lui!" l'emozione fu così intensa da togliermi il fiato. «Flacco, sono io. Apri!» ansimai col cuore in gola.
Mio fratello sbucò da dietro la porta e ci esaminammo circospetti. Ora, la somiglianza con nostro padre era impressionante, a partire dal fisico asciutto avvolto in una semplice tunica di tela, passando per i ciuffi ramati che a Roma sarebbero apparsi peculiari. Le sopracciglia folte marcavano profondi occhi nocciola e sul viso ovale si disegnavano labbra sottili, un'ombra di barba e qualche lentiggine.
«Benvenuto, fratello» dichiarò in tono formale «Non aspettavo una tua visita». Spinse via una palla scordata a terra, ordinò i soprammobili e aprì le finestre. «Perché non ti siedi un attimo nel patio?» ricominciò nervoso «Chiedo ai domestici di prepararti del cibo. Sarai provato dal viaggio, inoltre...»
Gli afferrai un polso. «Flacco, ti prego. Non trattarmi da ospite.»
«È che sei...»
Un estraneo.
Sentii un macigno piantarsi nello stomaco e studiai l'abitazione. Non era cambiato nulla... tranne me: vestivo da cittadino, parlavo con accento dell'Urbe, avevo studiato retorica e conosciuto gente illustre. Il ragazzino di campagna che abitava tra quelle mura non esisteva più. «La casa è perfetta» tentai di sorridere «Lo è sempre stata e scusa se...»
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Acheronta Movebo
Historical Fiction"I poeti canteranno gli eroi, consegnandoli all'Immortalità" Ecco ciò che mi hanno insegnato. E io ho consumato la vita per cercare parole con cui glorificare Roma. Però, mentre varco la soglia dell'Ade, non è all'Eneide che penso. Sono altre le dom...