Capitolo 2

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La mattina dopo mi sveglio ancor prima che cominci ad albeggiare, come solitamente mi accade. Mi muovo cauta e leggera come una piuma per non svegliare la ragazza del letto accanto e vado a sedermi ad un tavolo. Proprio di fronte al tavolo si trova una finestra, rinforzata con un materiale che la rende opaca; attraverso di essa si intravede il buio che pian piano rischiara. E lontano, a tratti, si indovinano le sagome indistinte di alberi e colline. Fuori dalla stanza continuo a udire il costante vociferare degli infermieri, e, di tanto in tanto, i loro passi che risuonano pesanti lungo il corridoio.

Adesso, mentre con lo sguardo passo in rassegna la stanza e rifletto con più calma, sembra affiorarmi alla mente qualche ricordo. Ora so chiaramente come sono arrivata qui.

Era tardo pomeriggio, mi trovavo in casa, ed avevo appena finito di parlare al cellulare con un mio amico. Terminata la telefonata mia madre ha cominciato a farmi una delle sue solite scenate. Non so dire cosa realmente abbia scatenato la sua rabbia. Forse il fatto di sentirmi tanto allegra le ha ricordato quanto sono superficiale. Com'è sua abitudine, ha iniziato a spararmi addosso tutte le cattiverie che le venivano in mente:

"Sei una fallita e non concluderai mai niente in vita tua! Sei anche una figlia ingrata che ha lasciato suo padre morire solo come un cane!".

Mi parlava con gli occhi stretti in una fessura dalla rabbia e pareva invasa da un'ira feroce. E' già parecchio tempo che ho raggiunto la convinzione di essere senza speranza.Io ci ho provato, ci ho provato tante volte a risollevarmi da questa condizione di rassegnazione, di apatia. Ho fatto del mio meglio per rimboccarmi le maniche e darmi da fare, per usare le parole di mia madre. Ma per quanto ci metta tutto il mio impegno, quello che faccio non riesce ad essere mai abbastanza per lei. Quando torno a casa dal lavoro, mi tocca sempre pulire casa, e quando ho finito tutti i miei compiti e mi siedo stremata sul divano, lei comincia un diverbio sul perché non esco e frequento gente come tutte le mie coetanee. "C'è qualcosa che non va in te Sara" mi dice mia madre lanciandomi un'occhiataccia strana. I suoi soliloqui durano all'infinito portandomi fino all'esasperazione. A volte mi domando che razza di gioco perverso si stia divertendo a fare con me, oltre quale nuovo limite di follia voglia portarmi.

Mio padre è morto da circa un anno. Qualche giorno fa, mentre chiacchieravo lei del più e del meno, le ho confidato che per farmi forza, mi piaceva pensare che fosse diventato un angelo che vegliava su di me e mi proteggeva. Pochi giorni più tardi, quando improvvisamente era presa da uno dei suoi soliti attacchi di cattiveria, ha sbottato:

"Sara, ma lo vuoi capire che non c'è proprio nessuno che ti protegge? Tuo padre è morto! Tu ti rifiuti di accettare la realtà, e la realtà che tuo padre sta marcendo dentro a una bara!"

Non credo che mia madre avrebbe potuto trovare qualcosa di più crudele da dirmi. In certi momenti avevo come l'impressione che facesse di tutto per abbattermi, distruggermi e togliermi l'ultimo filo di speranza cui potessi aggrapparmi. Nel sentire queste parole, non mi sono fatta prendere dagli isterismi, né ho aperto la porta per prenderla a sberle come invece avrei dovuto fare. Al contrario, sono stata in silenzio, ingoiando tutto il dolore che provavo, e parlando tra me e me mi sono detta:" Bene, se allora mio padre sta veramente marcendo dentro in una bara, io adesso me ne andrò a marcire con lui".

Dopo essersi sfogata per bene, mia madre è andata a riposare, si è alzata, si è preparata un caffè, e probabilmente non ha più dato peso a quanto era accaduto. Io invece mi sono come indurita emotivamente, e mentre all'esterno mostravo una tranquilla indifferenza, dentro di me pensavo a come fare per progettare al meglio il mio suicidio.

Ho pulito e messo in ordine la mia stanza, riponendo al loro posto gli oggetti personali; ho fatto a pezzi e gettato in un cassonetto le pagine che costituiscono il mio diario, per far sì che nessuno possa leggerle. Mi sono immersa in una vasca piena d'acqua calda, e ci sono rimasta a lungo; poi mi sono rivestita con cura quasi dovessi prepararmi ad un evento importante. Perché, qualunque cosa deve accadermi, più tardi, voglio affrontarla in ordine e ben vestita. Non ho provato la minima tristezza mentre pensavo a quello che volevo fare; anzi, ero come sollevata dall'aver trovato finalmente una soluzione a tutti i miei problemi. Volevo semplicemente andarmene via, in un posto dove nessuno avrebbe più farmi del male.

Poche ore più tardi, mentre mia madre è occupata a navigare su internet, ho preso e rovesciato sul mio letto tutte le scatole di farmaci che sono riuscita a trovare in casa, ho letto accuratamente di ognuna il bugiardino, ed infine ho scelto due tipi di sonniferi diversi, che assunti insieme ed in dose massiccia, dovrebbero darmi una morte silenziosa ed indolore. Visto che ormai è ora di andare a letto, mi sono chiusa a chiave in camera dopo aver preso con me una grossa bottiglia d'acqua. Freneticamente, apro le confezioni rovesciandomi il contenuto nel palmo mano della mano. Ho esitato un po', poi me le sono gettate in bocca, erano quasi una manciata e le ho mandate giù velocemente con dell'acqua; per fare più in fretta e non pensarci troppo.

Quando le pastiglie hanno cominciato a fare effetto, ho acceso il mio pc portatile ed ho iniziato a scrivere una lunga lettera d'addio. Giorni dopo, quando l'ho riletta, mi sono resa conto di come quella lettera diventava sempre più contorta man mano che procedeva e che i farmaci mi entravano in circolo. Scrivendo, ho domandato scusa a mia sorella per il mio gesto, dicendole di andare avanti cercando di essere felice. Ho salutato tutte le persone che mi erano care cercando di spiegare loro quanto mi sarebbero mancate, ma ribadendo che dovevo andarmene perché non ce la facevo più a vivere in quel modo. Ero stanca di dover lottare continuamente contro il mio perenne malessere, ero esausta dal dover discutere ogni giorno con mia madre, prendendo parte a infiniti dibattiti che mi privavano di ogni energia. Volevo solo riposarmi e trovare finalmente un po' di pace.

Lentamente, mi sono accorta di far fatica a star seduta a scrivere. Ho salvato il file sul desktop, in modo che fosse in bella mostra per chiunque, in seguito, avesse voluto conoscere le mie motivazioni; ho spento il computer, poi ho fatto per alzarmi dalla sedia. Le pareti attorno a me ondeggiavano, ed io, nel di cercare di muovere qualche passo, mi trovavo prima sbalzata da una parte e dall'altra, ed infine, caduta in terra. All'inizio, non ne ho capito subito il motivo e sono rimasta un po' perplessa. Poi, visto che a forza di rialzarmi e di sbattere da un muro all'altro non facevo che un gran casino, e dal momento che ormai avevo sistemato tutto quello che ritenevo opportuno, ho capito che era il momento di mettersi a letto.

Mi sono sdraiata, ho spento la luce e mi sono addormentata quasi subito. Se per caso avessi avuto paura, la dose eccessiva di tranquillanti che avevo preso l'aveva sicuramente sedata. Mi sentivo tranquilla e serena, e con l'anima in pace. Ho avuto appena il tempo di pormi qualche domanda, come :" Dove sto andando? Come sarà l'aldilà? Lo rivedrò mio padre? "che sonno ha cominciato ad impadronirsi di me; ed anche se sapevo di essere ancora in tempo per resistere, chiamare aiuto, e tentare di salvarmi la vita, ho preferito scegliere di lasciarmi andare. Prima di addormentarmi completamente ho solamente sperato di non dover soffrir troppo.





Quando il vuoto m'ingoiò e mi portò via anche i pensieriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora