Capitolo 10

38 4 0
                                    

Quel giorno per ore angosciose mi tormento nel dubbio se prendere o non prendere quel farmaco. Alla fine, dopo molte titubanze, sono andata in farmacia a comprarlo e quella sera stessa ho versato le poche gocce prescrittemi in un bicchiere d'acqua. Mi ha subito colpito il loro sapore chimico, un gusto che ti fa venir voglia di sputarle via subito, per quanto sanno di droga e malattia. Mi costringo a bere fino all'ultima goccia.

Il medico aveva detto che questa notte sarei finalmente riuscita a dormire: invece non solo le ore notturne sono trascorse insonni, ma non neanche sono riuscita a stare ferma un momento. La mascella mi si apriva e chiudeva continuamente, i muscoli delle gambe si contraevano ad ogni istante, in uno spasmo continuo; insomma mentre prima perlomeno riuscivo a sdraiarmi ed a calmarmi un po', adesso non sono nemmeno riuscita a chiudere occhio. Siccome in questo periodo sono sempre stanca, nervosa e agitata non ho pensato che queste reazioni potessero essere dovute al farmaco. Il mattino dopo rovescio giù per il lavandino tutto il flacone di serenase, strizzandolo fino all'ultima goccia perché non mi venga più in mente l'idea di prenderlo; ma poche ore dopo, tormentata dalla paura di rimanere sola, corro di nuovo a comprarlo e mi obbligo ad assumere la dose prescritta.

Sono diversi giorni che non dormo, e mi sento strana, come incastrata in una strana forma che mi irrigidisce fisicamente e mentalmente. Sono nella realtà, eppure allo stesso tempo sento di non esserci. La realtà che mi circonda mi appare distorta e distante. Mia madre vedendomi in quello stato e capisce che qualcosa non va e decide di accompagnarmi al pronto soccorso.

Lì dopo essere passata dall'accettazione, mi fanno parlare con uno psichiatra.

Gli racconto di tutti miei sintomi e lo informo anche che assumo il farmaco solo da pochi giorni. Cerco di spiegargli con calma e razionalità che ho un rapporto difficile con mia madre e quindi se per favore può parlare solamente con me. Lui sembra irritarsi nel sentire questa richiesta, forse pensa che lo voglia prendere in giro; mi obbliga invece a chiamarla e la informa immediatamente a proposito della mia diagnosi (depressione psicotica). Mi prescrive un altro neurolettico, assicurandomi che assumendo questo, stasera crollerò di certo.

Così arrivo a casa, assumo il farmaco e realmente crollo sul letto, riuscendo finalmente a dormire. Mi alzo nel bel mezzo della notte e mi assale un attacco di panico. Tutto sembra girarmi freneticamente attorno, sudo freddo, ho la tachicardia e sono certa di essere sul punto di morire. Mi lascio cadere sul pavimento del corridoio mentre mia madre chiama nuovamente aiuto.

Una volta che mi sono calmata, nonostante cominci ad avere qualche dubbio, decido di farmi accompagnare in ospedale, dove forse finalmente qualcuno potrà veramente aiutarmi. Non voglio più sentirmi così, con quel senso di morte imminente, con quella certezza che sia fine sia prossima. Sono passate solo poche ore da quando ho lasciato il pronto soccorso, e adesso, eccomi di nuovo qui. Oggi ho aspettato qua dentro così tante ore che oramai ho quasi l'impressione di viverci. Finalmente mi addormento, stremata, in una corsia del pronto soccorso. Il giorno dopo mi fanno parlare con un altro psichiatra che mi cambia il tipo neurolettico. Provo a domandare anche a lui se gli strani effetti che provo, come il tremore continuo e l' incapacità di stare ferma possono per caso essere dovuti al serenase.

"No, è impossibile" conclude subito

"Mi scusi" cerco di ribadire " Ma io ho letto sul bugiardino che questi sono proprio gli effetti collaterali farmaco. Prima d'ora non avevo mai sofferto di questi sintomi"

"No, no, non si preoccupi" dice cercando di liquidare in un istante tutti i miei dubbi.

Alla fine, stufa di sentirmi in questo stato, decido di dare ascolto solo a me stessa, e, tornata a casa interrompo immediatamente l'assunzione del farmaco. In pochissimi giorni i miei sintomi scompaiono, smetto di avere quell'aspetto imbambolato, e, anche se l'insonnia persiste, perlomeno sento di essere tornata alla realtà. Dopo aver saputo delle mie vicissitudini al pronto soccorso, il mio terapeuta ha concluso che devo avere una qualche intolleranza ai neurolettici ed ha deciso comunque di continuare la terapia. Io in ogni caso gli ho detto molto chiaramente che avrei rifiutato di assumere altri psicofarmaci.




Quando il vuoto m'ingoiò e mi portò via anche i pensieriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora