Guardo la grande struttura che mi aspetta e penso a tutto ciò che devo dire, in questo momento vorrei darmela a gambe ma non posso perché devo affrontare e prendermi questa responsabilità. Fisso la porta bianca davanti a me e rivivo tutti quei giorni che invece di passare dall'ingresso sono salita sull'albero arrampicandomi. Suono il campanello e aspetto che qualcuno arrivi ad aprirmi, la porta viene aperta lentamente e davanti a me appare una donna con i capelli biondi e mossi la studio qualche secondo e suppongo che sia Angie, la zia di violetta nonché nuova compagna del padre. Il signor German deve essere fissato con le donne che come cognome hanno 'Saramego'. "Posso aiutarti?" mi chiede gentilmente con voce stanca "sto cercando il signor German, dovrei parlargli, è possibile?" gira il capo verso una porta e annuisce facendomi entrare "mi pare di averti già visto, a una cena magari?" oh mi ha visto allora quell'ultima volta che sono andato- "sì, una volta sono andato ma la mia visita non ha nulla a che fare con i miei genitori" annuisce dicendomi di aspettare quando la vedo entrare nello studio del padre di Violetta, mi guardo intorno e mi fermo davanti a una mensola dove ci sono alcune fotografie incorniciate: una in cui c'è Angie, Violetta e un altra donna che suppongo sia la madre, sono molto simili hanno lo stesso sorriso e lo stesso colore degli occhi da cerbiatto. Poi guardo le altre due foto, una di famiglia con violetta all'età di 5 anni con la madre e il padre. Nell'ultima invece c'è solo Violetta: non è in posa sta guardando qualcosa o qualcuno, indossa un vestito bianco più corto davanti e lungo dietro. I suoi occhi brillano dalla felicità. Prendo in mano la cornice con una mano e con l'altra la accarezzo leggermente pensando a quel sorriso e a quella felicità che io ho spento. Ritorno al presente appena sento tossire dietro di me e poso velocemente la foto al suo posto prima di girarmi verso l'uomo con cui devo avere la conversazione più difficile di tutta la mia vita. "Scusi se stavo curiosando" si siede sul divano invitandomi a fare lo stesso con un cenno del capo e obbedisco trovandomi difronte a lui "Leon vergas giusto?" - "sì signore" - "conosco i tuoi genitori" afferma e io dentro di me penso che non li conosca davvero perché alle cene a cui vanno non sono loro, ma delle persone false che davanti a me non mostrano mai. "Immaginavo" rispondo semplicemente "cosa fai qui Leon?" ed eccola la famosa domanda che mi aspettavo prima o poi. "Sono venute per parlarle di Violetta" appena esito sul suo nome la sua espressione si fa ancora più sofferente - "Leon, non voglio parlare di questo, devo andare da mia figlia, se non lo sai è in coma" prendo un respiro profondo e parlo "lo so signore, sono stata l'ultima persona che sua figlia ha visto prima di chiudere gli occhi" si susseguono alcuni secondi o minuti di silenzio "c-che cosa?" abbasso lo sguardo sulle mie mani intrecciate prima di raccontare "sono o meglio ero il ragazzo di sua figlia, è per colpa mia che adesso è in ospedale , sono io che l'ho messa in pericolo" mi fissa senza dire una parola "le hai insegnato tu a guidare?" Chiede all'improvviso - "sì ma non volevo, è una storia lunga il motivo per cui glielo ho insegnato, Violetta è testarda non ha voluto obiezioni e io non ho potuto fare altro che insegnarglielo e non sto dando la colpa a sua figlia perché so dentro di me che se io le fossi stato lontano come mi ero detto all'inizio lei ora sarebbe sana e salva" mi sta studiando senza proferire parola finché non fa la domanda più assurda "perché non sei riuscito a starle lontano?" tutto mi aspettavo ma non questo, sospiro e ricomincio a parlare "Non mi sono mai innamorato, ho sempre creduto che l'amore fosse solo per ragazzine ma ho cambiato idea conoscendo sua figlia" ammetto alzandomi in piedi pronto ad andarmene. "Ora signore le prometto che starò lontano da sua figlia, perché è quello che vuole lei e-" ma mi interrompe prima che io possa finire - "non ho mai detto una cosa simile" lo guardo sorpreso "ma io ho portato sua figlia su quell'auto lei come può dire così?" sforza un sorriso e mi guarda negli occhi "ho fatto tanti errori Leon, non conosco mia figlia, ho pensato ad impedirle di farsi una vita ma lei se l'è fatta ugualmente senza dirmelo e lo ha fatto con te e se tu la rendi felice che io sia dannato non le impedirò di vederti e tanto meno farò promettere a te di starle vicino" scuoto il capo non capendo perché faccia questo "sei un bravo ragazzo, sei venuto da me e questo ha dimostrato che lo sei. Impedirti di vederla sarebbe molto semplice, ma la vita non è semplice e nemmeno la felicità perciò dovresti andarla a trovare" l'ultima frase mi fa pensare a quanto vorrei vederla.
"Ora devo andare tra poco aprono le visite in ospedale, se ti interessa io sto là fino alle sette, fino alle otto chiunque può entrare. È stato un piacere conoscerti e grazie per avermi detto la verità" e se ne va lasciandomi solo e confuso.Guardo il soffitto rivivendo e pensando a quello che German mi ha detto, Violetta lo ha sempre descritto come iperprotettivo è chiuso sopratutto nei confronti delle persone che sua figlia frequenta: 'e allora perché non mi ha cacciato fuori di casa urlandomi di allontanarmi da sua figli?'. Sono le sei e mezza di sera, tra mezz'ora la sua stanza sarà libera e vorrei poter entrare nella sua stanza e tenerle la mano dicendole tutte quelle cose che deve sentirsi. Giro lo sguardo verso il telefono che ha appena segnalato l'arrivo di un messaggio e leggo: "Vai da lei idiota" - il mio migliore amico non molla e continua a dirmi di andarci ma ho paura che una volta vista in quelle condizioni non la lascerei più andare e non posso. Non rispondo limitandomi a togliere il messaggio sul blocco schermo e resto a fissare la nostra foto per qualche minuto. Sta sorridendo mentre le lascio un bacio sul collo. Mi alzo in piedi infilandomi il telefono in tasca e prendo le chiavi della mia macchina per andare anche se insicuro.
Ho sempre odiato gli ospedali, non c'è un motivo per questo ma li non li ho mai tollerato, saranno le pareti chiare e tristi o il fatto che ogni persona che incontri in questi corridoi sia distrutta. Quando ero un bambino ero esattamente come ora, mi piaceva il pericolo, mi lanciavo dai rami e mi facevo male ma nonostante questo mi rifiutavo di andare in ospedale. Sono nato con questo odio verso gli ospedali e credo che ci morirò. "Violetta Castillo" dico all'infermiera che mi chiede chi cerco, annuisce e guarda su uno schedario "il padre ha detto che forse sarebbe venuto qualcuno, stanza 121 in fondo al corridoio" lascio perdere la parte in cui dice che mi aspettavano e mi dirigo verso la stanza. Non credo di aver mai avuto così paura, vorrei scappare come sempre ma non lo faccio perché è più forte di me. Mi blocco sull'uscio della porta e la persona che vedo non è la mia splendida ragazza ma una che ci assomiglia. È pallida e i suoi occhi da cerbiatta sono chiusi, ho paura di avvicinarmi ma lo faccio lentamente alzando le mani per appoggiarle sulla sua. Sono fredde e bianche, ha la bocca semi aperta e molti fili sono collegati al suo corpo. Uno schermo segna il ritmo in cui il suo cuore batte, lascio un bacio sul palmo della mano e la guardo in silenzio - "tu devi essere leon" mi giro di scatto guardando l'infermiera davanti a me - "sì sono io" sussurro, "è la prima volta che ti vedo ma devi essere importante per lei?" ma questa donna cosa vuole da me? che ne sa? "ehm e da cosa lo deduce?" indica lo schermo e dice "il suo cuore ha aumentato la velocità forse può sentirti o forse no ma sono sicura che sa che sei qui o almeno il suo cuore ti sente" e con questa frase lascia la stanza. Mi giro verso di lei spostando lo sguardo dal suo viso allo schermo. Mi siedo sulla sedia continuando a tenerle la mano e inizio a parlarle "hei piccola, scusa se non sono venuto ma ho avuto una guerra interiore e la parte che mi diceva di starti lontano vinceva sempre" sussurro sorridendo continuando a guardarla. "sai che quando ti sveglierai io ti eviterò amore mio, lo hai sempre saputo che quando le cose si fanno pericolose per te io me ne vado lasciandoti sola, ma questa volta devi lasciarmelo fare" nella stanza si sentono solo i rumori dei macchinari e la mia voce, nient'altro. "Ma ti giuro amore che non mi pento di nulla o quasi, non mi pento di essermi innamorato di te, non mi pento di averti baciata forse avrei voluto solo farlo di più, non mi pento di aver fatto l'amore la prima volta con te, mi pento solo di averti lasciata sola su quella macchina" ed è arrivato il momento di lasciare che una lacrima esca dai miei occhi, poggio la fronte sulla sua mano e mi alzo in piedi pronto ad andarmene. Mi avvicino al suo viso e le lascio un bacio sulle labbra sussurrando "ti amo e questo non cambierà mai"
Esco dall'ospedale di corsa e appena esco delle gocce bagnano il mio viso, infilo le mani nella tasca del giubbotto e guardo in alto, si dice che solo le persone tristi amino la pioggia, ed è così. La pioggia bagna i miei sentimenti, bagna ogni errore, ogni rimpianto pulendoci. Non ho mai guardato la pioggia e non ho mai pensato di non correre sotto la pioggia, mai avrei pensato di finire così, sotto la pioggia sperando in essa, sperando che pulisca me stesso da questo inferno che si sta dimostrando la mia vita. Non potevo mettermi a piangere, ma il cielo sì, lo faceva per me perché io non avevo più la forza di farlo né il coraggio. Sono partito pensando che la felicità sia stata solo creata per manipolare le persone, sono arrivato a trovarla nella ragazza del muretto e sono finito a cercare un attimo di pace e felicità nella pioggia.
"La pioggia scendeva ininterrottamente quella notte, e lei si sentiva immancabilmente a casa, perché quel ticchettio costante le portava attimi di pace."
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Il destino li ha separati ora li riunirà?
FanfictionVioletta e Leon. Due nomi e due persone diverse. Due persone che si sono amate fin quando qualcosa in loro é cambiato. Una decisione che porta alla fine della loro storia d'amore, appena incominciata e poco vissuta. Lui, la lascia senza spiegazioni...