5 - Le lettere dell'alfabeto

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«Sappiamociò che siamo ma non quello che potremmo essere.»
- Shakespeare, Amleto.


Ho corso solo per dieci minuti ma sento che i miei polmoni sono già pronti a collassare. Mi porto una mano sul petto e tento di regolarizzare il respiro, la gola mi brucia come se andasse a fuoco e ho il fiato corto.

«Non ci posso ancora credere. Mi ha fatto scappare dai giornalisti!» esclama Keelan accanto a me, mentre camminiamo per i corridoi del college, diretti alla nostra stanza. Lui, al contrario mio, non dà segni di affaticamento.

Sbuffo. «Per quanto ancora ti lamenterai? Io penso di averti fatto un enorme favore. Dovresti ringraziarmi e...»

Vengo interrotta dalla mano di Keelan che mi afferra il braccio, in un gesto così impulsivo che non credo si sia nemmeno reso conto di ciò che ha fatto. Sono costretta a bloccarmi in mezzo al corridoio. Keelan mi spinge contro il muro, in modo da nascondere parzialmente le nostre figure. Mi giro verso di lui e noto che ha lo sguardo fisso su qualcosa, o meglio, qualcuno.

«Chi è quella ragazza?» sussurra.

Seguo la traiettoria del suo sguardo e punto gli occhi su una ragazza, in piedi davanti a una stanza, che parla con un'altra studentessa. Ha lunghi capelli castani, mossi, l'attaccatura a forma di cuore, due labbra piccole e piene e gli occhi marroni. La cosa che più mi lascia perplessa è il modo in cui è vestita, però.

«Ma come è vestita?» mi lascio sfuggire.

Keelan sembra ridestarsi un attimo dal suo stato di trance. «Indossa una camicetta, gonna lunga a fiori e ballerine.»

La descrizione non serviva, purtroppo lo vedo da me. «Dovrebbero abolire le ballerine. Tassare chiunque le indossi.»

«Sempre meglio di come è vestita lei.» commenta Keelan. È il primo commento cattivo che gli sento fare. Sono più colpita che offesa, in realtà.

I vestiti belli sono tanto belli quanto scomodi, la maggior parte delle volte. E, visto che rappresentano la nostra seconda pelle, preferisco stare comoda e apparire come una disperata, piuttosto che essere davvero disperata mentre sto intrappolata in tessuti rigidi e costosi, che rischi di sporcare anche solo respirando.

«Comunque sia, non ho idea di come si chiami quella ragazza.» Faccio per avanzare, ma il principe mi blocca. «Keelan?» lo richiamo, infastidita.

«Sta fingendo, lo sa come si chiama!»

Alzo gli occhi al cielo e sento la mia pancia brontolare. Di nuovo. «Hai presente quando siamo passati davanti a quella porta spalancata, si è sentito un borbottio simile alle scosse sismiche di un terremoto e ti ho detto che le porte di questa scuola fanno rumori strani?»

Lui annuisce, con la fronte aggrottata. «E allora?»

«In realtà era la mia pancia che richiedeva cibo. Possiamo andare a mangiare?»

Lui mi guarda con aria supplicante. «Vado un attimo a parlarle e poi andiamo via, promesso.»

Gli indico il mio polso ancora avvolto dalla sua mano e lui mormora delle scuse prima di avviarsi verso la ragazza. Non appena lei si accorge del principe, avvampa fino alla radice dei capelli. E quando realizza che è con lei che vuole parlare, fa un cenno con la mano, poco educato, alla sua amica. Quest'ultima si allontana in fretta, ma si volta di tanto in tanto per lanciare occhiate sognanti a Keelan.

Keelan le dice tre parole in croce, alle quali lei risponde con altrettanta brevità, dopodiché lui ritorna da me con aria trionfante.

«Allora, come si chiama?» chiedo, poco interessata. Doveva scegliere proprio questo momento per trovarsi una moglie da rendere regina?

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