Void

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A volte mi chiedevo perché mi facesse sempre lo stesso effetto.
Respiro deviato, pugni serrati, occhi sbarrati, gambe paralizzate.
Lui riusciva a farmi perdere la ragione, ogni volta mi dava una spinta in più verso la malattia che ha offuscato la sua mente, in modo che anche io potessi vedere il mondo sotto il suo punto di vista. Le strade velate da quel telo soffocante, case cupe, senza luce e prive di calore umano, la paura negli occhi di chi guardava e il veleno nel cuore di chi aveva ancora la voglia di amare.
Lui rappresentava quel salto nel vuoto che tutti volevano fare, ma che nessuno aveva il coraggio di affrontare. Aveva il caos fra i suoi ragionamenti, e stava contagiando anche i miei.

Vedevo il mio riflesso nei suoi occhi marroni, ma che in quel momento, alla luce della luna, apparivano neri come la pece. Piatti, freddi e lucidi come due biglie di cristallo.
Infilò la mano nella tasca, estraendone un pacchetto di Marlboro rosse da venti.
-Ti sono cadute stamattina dalla borsa- sogghignò, passandomi la scatolina di cartone fra le mani, fece rumore con la plastica che lo avvolgeva, e il suo clipper rosso precipitò sul portico di casa.

Mi abbassai per raccoglierlo da terra, sfiorando la sua scarpa con il polpastrello del dito.
-Come fai a sapere che sono a casa di Thomas?- gli chiesi porgendogli il suo accendino, lui rimase fermo, a parte le labbra, il resto del suo corpo era immobile.

-Le voci girano- rispose seccamente, facendo un passo indietro -Andiamo a fare un giro- di peso scese un gradino, facendolo scricchiolare, poi ne scese un altro, e dopo si fermò, aspettando una mia risposta.

-Non posso- negai il suo invito, ma quando lui rise, tutto il resto aveva smesso di esistere.
Non capivo se fosse ansia o paura... Ma io non avevo terrore di lui, non potevo averne.

-Era un'ordine, non una richiesta- mi zittì e rigirandosi in avanti, restò fermo, come se con un mio passo, lui avesse il consenso di potersi muovere.

E così mi ritrovai sotto le sue grinfie, costretta a camminare per chissà quanto al suo fianco, da sola nel cuore della sera. Erano più o meno le 11 quando chiusi la porta di casa alle mie spalle, designando il mio destino con una sola parola: Insicurezza.
Dylan mi faceva sentire così piccola che, prima o poi, non sarebbe rimasto più niente di me.

Per tranquillizzarmi accesi una sigaretta, con quel suo clipper rosso sangue che, quella stessa mattina, stringeva tra il pollice e l'indice, marchiandolo con le sue impronte digitali. Al mio fianco, Dylan estrasse un altro pacchetto di Black Devil dalla tasca dei suoi skinny, sigarette completamente nere e rare, scelta azzeccata per la sua personalità.

- Starai da Thomas due giorni,giusto?- disse accendendo il cilindro scuro con un semplice accendino bianco.

-Così pare- borbottai, guardai il clipper che stringevo fra le dita -Questo è tuo- allungai il braccio verso la sua mano destra, delicatamente infilata in una tasca, fumava con la sinistra, era complicato per un non mancino, ma lui era particolare, forse era per quello che le ragazze erano così attratte... Be', tranne io.Forse.

- Tienilo- scrollò le spalle, lasciando intravedere le sue perenni spaccature sulle nocche ormai consumate, le sue lunghe dita facevano fatica ad entrare nell'apertura, ma a lui andava bene così.

- Chi hai picchiato questa volta?- gli chiesi, indicando le croste rosse che aveva sul dorso della mano.

Dylan si girò verso di me, subito dopo indicò un muretto alla fine del quartiere illuminato da uno dei tanti lampioni che contornavano la via. Sembrava che lui sapesse già che quella sera saremmo andati lì, aveva già organizzato il tutto, ed io, in quel momento, ero la protagonista di quel teatrino perverso che si stava costruendo attorno.

- Il fidanzato di una tizia che mi stava spiegando come avere un contatto fisico in pubblico - spiegò, stendendosi sul muretto buttò la sigaretta, e mi fece segno di sedermi.

Forse quell'adolescente era la ragazza dai capelli neri di quella mattina, la stessa che mi dava la nausea in compagnia del moro.

-Perché ci provi con tante ragazze?- domandai, oramai seduta al fianco del moro indaffarato ad aggiustarsi la maglietta stropicciata.
Lui non rispose, in silenzio fissò le stelle, come se quelle potessero incantarlo, come se fossero l'unica cosa che potevano attirare tutta l'attenzione di Dylan O'Brien. Ed io le invidiavo. Perfette, ammaliatrici, completamente differenti. -Non è tanto divertente farsi una e dopo passare subito ad un'altra- aggiunsi, incentivandolo a rispondere.

-Pensate sempre che sia per divertimento, vero?- sbuffò, sul suo viso si dipinse un'espressione di disapprovazione, e scosse la testa, continuando il suo discorso- Personalmente, lo faccio per... Come dire... Riempire un vuoto? Non è facile affezionarsi a qualcuno, e quel qualcuno non è disposto a tenermi accanto- disse con un po' di imbarazzo.

Lo capivo benissimo, avevo sempre avuto la sensazione che lui fosse buono, in realtà. Dovevo solo scavare a fondo e capire che in un mare di apatia, si nascondeva tanto dolore.
Ma Dylan era complicato, lui stesso era un controsenso, e le persone come lui venivano allontanate.

-Ci mai provato? A farti voler bene, intendo- schiarii la voce, ancora non avevo incontrato il suo sguardo, dato che i suoi occhi erano stati rapiti dal cielo limpido di quella sera d'ottobre.

-Perché dovrei? Nessuno ha mai speso un po' del proprio tempo per tentarci- sospirò, nel suo tono di voce percepii qualcosa di diverso, di più reale. Più umano.

Tristezza.

-Io l'avrei fatto- ammisi con un respiro profondo.

-Tu? Fammi il piacere di non sparare cazzate- sputò, disgustato dalla mia affermazione detta poco prima.

Ma io non avevo mentito.
È stata l'unica volta in tutta la mia vita in cui non l'ho fatto.

-Dico sul serio- confermai. In quel momento Dylan si alzò, e la sua mano ferita alle nocche sfiorò la mia, per un momento sentii la mia anima abbandonarmi e brividi di freddo mi facevano del male, incurvai la schiena in dentro, stando più lontana da lui.

-Guardami... Vorresti mai bene ad un tipo come me?- si indicò, costringendomi a guardarlo negli occhi. Ed è stato lì, in quel preciso istante, che per la prima volta desideravo avere gli occhi di qualcun'altro, per la loro bellezza e rarità.

Dovevo dirglielo, quel che aveva fatto sabato sera, doveva saperlo.
-Sai... Non so se ti ricordi, ma sabato sera mi hai baciato, e da lì ho cominciato a vederti sotto una luce diversa... - quello fu il momento in cui le mie labbra tornarono ad essere sue.
Ma questa volta non avevo paura, volevo continuare, volevo assaggiare le sue labbra che sapevano di sigarette, volevo che mi toccasse la guancia, passare le dita in quei folti capelli castani. Poter dire di aver baciato Dylan perché gli piacevo, non per ubriachezza.
Volevo andare avanti, magari con lui, e scoprire il casino in cui mi ero cacciata baciandolo.
E a quel punto si staccò, e giurai su Dio che non avrei mai smesso di pensare a ciò che disse:

-Io non l'ho dimenticato-

Maybe I'm Insane |Dylan O'Brien|Where stories live. Discover now