Capitolo 7.

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Nella foto, Diego Neri.


Dopo pochi minuti, uno scalpitio di passi aumentò d'intensità lungo il corridoio esterno e la porta dell'aula si spalancò, facendo largo a un primo gruppo di alunni, intenti a chiacchierare e ridere. Tra loro c'era anche il ragazzo dell'incidente, che, non appena la vide, la squadrò velocemente dall'alto in basso, stringendo appena gli occhi. Nadia lo vide sospirare e cambiare traiettoria, dirottandola verso un angolo poco isolato della stanza.

Senza prenderla minimamente in considerazione, la maggior parte dei ragazzi prese posto al proprio banco, scansando le sedie e poggiando gli zaini a terra. Tutti, tranne una, che le si parò davanti a braccia conserte e con il volto infastidito. «Scusami, sottospecie di figlia dei fiori», richiamò l'attenzione di Nadia tamburellando impazientemente le unghie smaltate sul legno del banco.

Nadia le rivolse subito lo sguardo: la ragazza che le stava parlando aveva dei lunghi capelli biondo cenere, che le incorniciavano un volto ben truccato e dai lineamenti quasi perfetti. Ovviamente, il tutto era intonato a un'espressione da principessa del reame.

I compagni di classe iniziarono a sghignazzare tra loro, vociferando a bassa voce. Tutti, tranne Mattia, che invece rimase al suo posto in una delle prime file, intento a sfogliare svogliatamente un libro.

«Non credo che ci conosciamo - e sinceramente nemmeno m'interessa - ma questo è il mio banco.» La ragazza scandì le parole come se stesse parlando con una straniera, e senza nemmeno aspettare che si fosse alzata, spostò la cartella di Nadia e la fece cadere a terra, fingendo un sorriso dispiaciuto. «Ops... Che sbadata.»

Nadia fissò in silenzio prima lo zaino, poi lei, a dir poco incredula.

«Comunque, piacere di conoscerti. Io sono Anita De Longhi, ma probabilmente avrai già sentito parlare di me.»

Nadia si alzò di scatto dalla sedia e raccolse lo zaino da terra, decidendo di ignorare volutamente la provocazione della bionda egocentrica. Con un sospiro forzato, si spostò nell'ultima fila, dove c'erano ancora due banchi liberi, e si mise di nuovo seduta.

Anita ridacchiò con alcune ragazze riunite attorno a lei e poi, di comune accordo, si avvicinarono ancora a Nadia, con un sorriso beffardo già stampato in volto.

«Quindi tu saresti quella nuova?», iniziò una mora e slanciata, con le mani sui fianchi.

«La fortunata a cui hanno assegnato una borsa di studio al Machiavelli, vero?», le chiese quella accanto. Aveva i capelli ricci e castani, abbinati a uno sguardo malizioso.

«Dev'essere dura passare da un liceo pubblico a una scuola come questa...», mormorò un'altra, rivolta verso Anita.

«Sì, sono io», rispose alla fine Nadia, squadrandole a una a una con un'occhiata cinerea. Quelle ragazze avevano tutto tranne che l'aria di essere gentili e bendisposte.

«Noi siamo le migliori amiche di Anita, se te lo stessi chiedendo.» La mora indicò le compagne una alla volta. «Io sono Penelope e loro sono Giada e Carolina. Volevamo darti il benvenuto nel nostro istituto. Siamo sicure che lo amerai da morire

Nadia sorrise, seppur convinta del tono derisorio di Penelope: in pochi minuti erano già riuscite a inquadrarla come quella diversa dal resto del gruppo. «Grazie», mormorò, e per distogliere l'attenzione da sé, si mise a riordinare le penne sul banco, sperando che la conversazione terminasse lì.

«Oh, ma che bella questa matita!» Giada allungò il braccio e le tolse delle mani l'oggetto intagliato nel legno. «L'ha costruita il tuo papà? So che dal paesino da cui provieni ci sono parecchi falegnami...»

Tutto quello che ho sempre cercatoWhere stories live. Discover now