Capitolo 27.

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A metà mattinata, durante la lezione di latino, qualcuno bussò alla porta del IV A. Il professor Biraghi, un uomo canuto sulla cinquantina, s'interruppe a metà della correzione della versione di Quintiliano e sospirò. «Non si può mai fare una lezione in pace...», borbottò, chiudendo di scatto il libro. «Avanti.»

La porta della classe si aprì e spuntò da dietro la segretaria. Aveva un foglio in mano, che subito porse al professore. Tutti la guardarono incuriositi, chiedendosi cosa fosse quella circolare, ma poi la donna si girò verso gli alunni con un ampio sorriso. «Silvestre, è autorizzato a lasciare le lezioni in anticipo», lo avvisò, dopo averlo rintracciato tra i banchi. «Prepari le sue cose e mi segua all'ingresso.»

Mattia aggrottò la fronte. «Dev'esserci un errore», disse semplicemente, picchiettando la penna sulla superficie legnosa. Era completamente preso dalla sua versione, ancora non del tutto tradotta.

«Nessun errore. La stanno aspettando nell'atrio principale», confermò lei, con lo sguardo impostato.

«E chi l'ha firmata?»

«Io le consiglio di muoversi, Silvestre», lo avvisò di nuovo la segretaria, lasciandosi andare in uno squittio nervoso. «Si fidi.»

«Capisco che le mie lezioni sono così interessanti da provare puro dispiacere nell'andarsene, Mattia, ma avrai modo di recuperare», s'intromise il professore.

Mattia annuì e preparò la cartella, buttandoci penne e quaderni alla rinfusa. Quando si alzò, sentì confabulare da dietro Anita con una delle sue amiche. Gettò uno sguardo rapido alla classe, soffermandosi sull'ultimo banco, occupato da Diego e Nadia, poi salutò a mezza bocca la classe e seguì la segretaria fino all'ingresso. Per i corridoi del Machiavelli si sentiva solo il ticchettio dei tacchi a spillo dorati della donna. Arrivati di fronte all'atrio, Mattia notò una signora voltata di spalle, impettita e in abiti decisamente formali.

«Mamma

La donna si voltò con calma, con uno sguardo austero e inespressivo. «Finalmente. Mi stavo già spazientendo.»

Mattia si avvicinò alla madre. «Che cosa ci fai qui? Non dovevi essere a lavoro?»

«Mi sono presa qualche ora. Posso farlo, qualora subentrino condizioni di emergenza», spiegò con voce piatta la donna. Fece poi un cenno con la mano alla segretaria e si avviò verso l'uscita. «Andiamocene.»

Lui la seguì senza avere la più pallida idea di quello che stesse succedendo. «Di quale emergenza stai parlando, mamma?»

«Della tua, Mattia.»

«Perché sei venuta a prendermi a scuola? Ho la macchina nel parcheggio e non mi avevi avvertito che-»

«Non è il luogo consono per affrontare il discorso», lo zittì la donna, mentre continuava a camminare spedita. «Per quel che ne so, hai già dato abbastanza spettacolo a mia insaputa, in questi giorni.»

I due raggiunsero l'automobile nera che li stava attendendo appena fuori dai cancelli del Machiavelli. Quando li vide arrivare, l'autista scese dal posto del guidatore e aprì lo sportello sul retro. «Signora Cornelia, bentornata», la salutò, chinando leggermente il capo.

La donna lo ignorò ed entrò in macchina, facendo attenzione a non stropicciarsi le pieghe della gonna color vinaccia.

«Buona giornata, signor Silvestre», continuò l'uomo, rivolto a Mattia.

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