La strada per casa

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Capitolo 09


Freddo. È tutto ciò che sento... provo a muovere le mani nel tentativo di reagire, ma non riesco a sentirle, come se neanche esistessero; apro gli occhi ansimando e tremo mentre cerco di distinguere almeno qualcosa, ma è come se una cortina bianca mi avesse avvolto completamente cominciando a schiacciarmi sempre di più ...fino a non provare neanche più dolore, solo tristezza e disperazione. Mi rifiuto però di sentire tutto questo, mi rifiuto di vivere in questo modo, mi rigiro di scatto e urlo con tutte le mie forze, dimenandomi, scacciando questa sensazione di aria che manca e di ansia che sale. Non voglio sentirmi così, non voglio più sentirmi così! Non voglio stare in trappola, non voglio morire, io voglio ancora vivere e lottare fino alla fine. Fino a che avrò la forza per farlo... sempre...

Stiles.

Rabbrividisco, il mio nome sussurrato appena nell'orecchio aumenta il gelo che sta ormai prendendo piede in me, scuoto il capo cercando di scacciarlo e di non ascoltarlo. Io lo so come mi chiamo e non ho intenzione di cedere a lui o a qualsiasi cosa sia, perché è qualcosa e so che è potente, anche non so di cosa si tratta. Eppure continua ancora come una litania o una ninnananna senza fine, senza un perché e solo pronunciando il mio nome... quello vero... quello che non lo è... entrambi, insieme, fino ad annullarsi a vicenda e diventare piccoli gridi che crepitano insieme come mille ali che sbattono o una scintilla che non smette di brillare fino a che non ha bruciato e consumato la sua preda. Ed io sono quella preda.

Stiles.

Mi dimeno ancora, agitandomi con le mani verso l'alto fino ad incontrare qualcosa, come una superficie liscia e fredda anch'essa. Non so cosa sia e non mi interessa, ma qualcosa che sento al centro mi da speranza, mi offre una via di uscita attraverso una piccola luce diversa da quella che mi circonda e che si insinua in questa nebbia gelida trasmettendomi un calore a cui vado incontro, attratto come una falena. Sfioro con le dita lo spiraglio da cui proviene anche a costo di ferirmi, non ho più una percezione sana di ciò che sento e di quel che provo, come se una sottile patina mi dividesse dal resto del mondo. Stringo i denti e con uno sforzo arrivo ad infilare le dita all'interno della fessura e a tirare con tutte le mie forze, quelle che restano, fino ad allargarla del tutto e a inondare questo gelo con altro, più caldo e lieve seppur molto instabile. E qualunque cosa sia, anche se non mi piace sarà sempre meglio di quel bozzolo di luce in cui ero bloccato, quasi in attesa.

Emergo dalla cortina come se fossi stato sommerso nell'acqua per tutto il tempo e riprendere aria mi da proprio quella sensazione, come se avessi trattenuto il fiato fino all'ultimo e avessi continuato a farlo e a lottare nei pochi secondi che mi separavano dalla morte. È un istinto al quale mi aggrappo, al quale mi devo aggrappare e mi aggrapperò sempre, per me... per chi amo... io devo vivere. Afferro i bordi che con così tanta fatica sono riuscito ad allargare, per scoprire solo ora che si tratta di una sacca... per cadaveri. E il freddo di cui mi ero liberato torna a farsi sentire e così quel crepitare insistente, che annulla ogni suono, anche il minimo e mi fa urlare dal dolore e desiderare solo che finisca e basta. Perché deve finire, deve smetterla o non resisterò ancora a lungo, sento già il sangue scivolarmi fuori dai padiglioni e colare lungo la linea del collo...

E poi tutto finisce.

Il suono... il dolore... tutto sparisce e lo fa con una tale brutalità da farmi quasi perdere conoscenza, se non ci fosse altro a trattenermi ancorato qui, come la porta fredda dell'obitorio che si apre e fa entrare due persone che conosco. Che conosco molto bene. «P-papà...» chiamo flebile, riconoscendone subito la divisa e la cintura, per non parlare del tono della voce ovattato e che pian piano si fa sempre più chiaro.

Before your eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora