2. Come Get Some [Vieni a prenderne un po']

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"... and eyes like come get some."

Come Get Some - Counterfeit


[Loop - Chicago, IL]

«NO-NO! NO... CAZZO! Ma porca puttana, che nervoso!»

«Cos'è successo stavolta?» sbuffai, concentrata sullo schermo del mio computer, in lotta con un prospetto finanziario inviatomi dal nostro principale fornitore cinese, caotico e indecifrabile tanto quanto il Codice ASCII.

«Mi hanno ucciso l'animale» disse Victor addolorato. «Maledetti figli di puttana!»

Lanciai un'occhiata alla sua postazione: era accasciato sulla sedia, la camicia color salmone tutta stropicciata e le mani nei capelli.

Tornai alla tabella Excel. «Quel gioco ucciderà te, prima o poi.»

«Ne ho i coglioni pieni» disse. «Come sei messa con quella roba?» mi chiese, riferendosi al lavoro.

«Non. Ci. Capisco. Un. Emerito. Cazzo.»

«Ottimo» commentò senza slancio. «Finisco io, tu vai pure a parlare con Jamie.»

«Mmh-Mmh» sibilai. Era sorprendente, gli occidentali avevano una pessima affinità con la concezione alfa numerica degli orientali: noi sull'asse delle X e loro sull'asse delle Y, sempre, non ci si incontrava mai, neanche a farlo apposta.

«Lyla!» mi richiamò Victor.

«Sì, ora vado.»

Victor Caster era il mio migliore amico. Ma non era solo quello: era il mio socio in affari, il mio coinquilino, il padrino di mio figlio - l'unica vera figura paterna che avesse mai conosciuto Jamie - e una processione infinita di altri "mio" più o meno della medesima importanza.

Ci eravamo conosciuti venticinque anni prima a un convegno all'Hotel Drake, al quale i nostri padri, Marius Lewis Silver e Victor Caster Senior, avevano avuto la geniale pensata di trascinare i due figlioletti di otto anni. All'epoca, mio padre e il suo erano poco più che semplici conoscenti, entrambi impegnati nel settore chimico-industriale, quindi non avevo assolutamente idea di chi fosse Victor Caster Junior e sicuramente ignoravo che un giorno sarebbe diventato uno degli uomini più importanti della mia vita. Erano stati i quattro bicchieri di succo alla pesca, o forse era stata l'urgenza di trovare un po' di privacy, a condurmi alla toilette dell'hotel, nella cui anticamera, seduto per terra con la schiena appoggiata al muro, avevo trovato Victor. Stava giocando con il suo Game Boy, e il caso aveva voluto che ne avessi uno anch'io nel piccolo zaino che mi ero portata appresso. Eravamo rimasti tutto il pomeriggio a sfidarci a Tetris, spalla contro spalla, le due console collegate dallo spesso cavo nero, senza quasi scambiarci una parola, intrattenuti da una colonna sonora di sciacquoni, soffioni per le mani e calpestio di suole troppo nuove. Da quel giorno eravamo diventati inseparabili.

Fin da bambini, sia io che lui, avevamo detestato il settore chimico. Eppure, venticinque anni più tardi, eccoci lì, strabici a causa dei prezzi di resine, siliconi, coagulati e film metallici, ricoperti da milioni di metri di PVC, PU e TNT, intossicati dal poliuretano, dal polivinilcloruro e additivi vari. Eravamo diventati tutto quello che non volevamo diventare, creando un impero che aveva finito col permetterci di diventarlo quando ormai il sistema, purtroppo, ci aveva già assorbito.

«Lyla!» mi ammonì di nuovo. «Sono le sette.»

«Sushi?» gli proposi, credendo si riferisse alla cena.

Sospirò pesantemente. «Di domenica.»

Sollevai il capo e incroiai i suoi grandi occhi azzurri, senza però capire cosa stavano cercando di comunicarmi.

The Moon's coming up... like an Eye In The DarkDove le storie prendono vita. Scoprilo ora