Capitolo 42

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Aline era stanca, era davvero stanca di addormentarsi d'improvviso e svegliarsi nella stessa stanza di sempre. Non ne poteva piú, ma fu cosí anche quella volta. Il braccio sinistro le era stato completamente bendato e riusciva a mala pena a muoverlo, ma almeno era ancora lí al suo posto.

'Sei sveglia? Possiamo cominciare.'

Annunció la voce di un uomo.

La ragazza si guardó meglio intorno e si accorse di essere bloccata su una barella da delle cinghie di cuoio, la testa le era stata avvolta da un' apparecchiatura simile ad una maschera e si trovava tra due lastre di ferro.

Quando uno dei tanti scienziati presenti nella camera azionó i macchinari, l'apparecchiatura cominció a comprimere il cranio della ragazza, le lastre le si stringevano sempre piú ai lati della testa. Il rumore dei motori era insopportabile, il dolore diventò talmente forte che quasi non riusciva più a respirare, sentí le ossa sul punto di frantumarsi.

Il macchinario finalmente si fermò ed un medico diede un altro comando.

'Andiamo con l'elettroshock.'

Una violenta corrente elettrica attraversó il suo corpo. Venne fatta preda di spasmi incontrollabili, non aveva più il controllo su sé stessa in balia di quella tortura.

Dopo pochi secondi, tutto finí e Aline fu liberata dai macchinari.

Aveva rischiato un collasso e non riusciva a smettere di tremare.

'Perfetto, resta sveglia. Manca solo l'ultimo passaggio.'

Le disse uno degli uomini.

Tutti uscirono dalla stanza e stettero a guardare attraverso il vetro.

Un altro assordante rumore ed una luce verdastra lampeggiante indicò che un altro macchinario era stato appena azionato, ma questa volta nulla era tangibile. Nonostante questo, Aline avvertí il suo mal di testa intensificarsi ai massimi livelli e sentí una strana sensazione di calore su tutta la pelle, qualcosa di simile ad un formicolio.

Una volta concluso, solo i medici rientrarono nella camera e la liberarono dalle cinghie. Le fecero ingerire forzatamente una grossa pillola e la portarono in corridoio. Fu fatta sedere su una sedia a rotelle che veniva spinta da un medico attraverso i corridoi.

'Dove stiamo...'

Aline voleva domandare dove la stessero portando, ma si accorse che non riusciva piú a pronunciare correttamente le parole e non ricordava come esprimere alcuni concetti, le sembrava che alcune porte del corridoio fossero sotto sopra o che lo spazio si stesse lentamente distorcendo.

Le dovevano essere stati procurati seri danni celebrali.

Si fermarono dinnanzi una porta bianca che l'uomo aprí con una chiave.

Aline sgranò gli occhi, non credeva a quel che vedeva.

Si trovava in un lungo e largo corridoio interamente bianco con varie porte su entrambi i lati. Le sembrava di esser ritornata nel suo ospedale. Man mano che passava, vedeva delle impronte di alcune mani apparire sui vetri delle porte e dei visi affacciarsi per curiosare. Sembravano tutti visi di bambini. Doveva essere il reparto dove tenevano questi ultimi.

Giunti in una stanza vuota ed interamente bianca, l'uomo sollevò Aline e cercò di farla stare in piedi con le ultime forze che rimanevano.

'Aspetta qui, torneremo. Mettiti questo.'

Le disse porgendole una veste bianca con il suo numero in rosso scritto in grande all'altezza del petto.

Aline, ancora poco lucida, ubbidì e si fece rinchiudere nella camera dove si cambiò i vestiti e si raggomitolò su sè stessa sedendosi nel centro della stanza.

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