Fifth chapter

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5.

APOV
Mi trovavo qui già da parecchi giorni, e le mura di questa casa incominciavano a starmi strette. Sentivo il bisogno di uscire e vedere qualcosa della città, o almeno qualcosa che almeno non fosse il solo interno, per quanto bella potesse essere.

Avevo sentito parlare di negozi stupendi, ma fino ad adesso avevo percorso solo il tratto dall'aeroporto alla villa.

Questa mattina avevo parlato con Kahlal per ottenere informazioni sulla sicurezza. Sistemata la faccenda, un'ora dopo ero già diretta in città.

Non ne avevo discusso con Justin, ma non l'avevo trovato né in ufficio né in palestra e non sapevo come contattarlo. Mi domando se lui esce mai da casa sua.

Sentivo un peso sullo stomaco. In un certo senso era come un prigioniero, d'altra parte era stato lui a condannarsi.

Il profilo della città nuova si scorgeva oltre l'autostrada, sfondo inatteso alla parte vecchia di Los Angeles, ancora in primo piano: costruzioni di pietra e strade strette costeggiati di mercati all'aria aperta. Nell'aria si diffondeva un aroma, del tutto inaspettato in prossimità della parte moderna della città, che scintillava più in basso. Ne ero affascinata.

Quando l'auto si addentrò in un mercato, allungai il collo per vedere meglio. Era affollato di cittadini e turisti, che si godevano l'atmosfera.

«Vorrei fare una sosta, se è possibile.»

I due uomini sui sedili anteriori si scambiarono un'occhiata, poi annuirono. L'autista parcheggiò nella prima area libera, anche se dubitavo che fosse stata pensata come parcheggio. Gli automobilisti in America parevano avere idee insolite riguardo al codice della strada.

Gli uomini della sicurezza scesero prima di me e si affrettarono ad aprirmi la portiera. «Grazie.»

Mi seguivano come incollati al mio fianco.

«Potete camminare dietro di me» dissi. «Un passo solo.»

In Francia, quando uscivo per acquisti ero accompagnata dalle guardie del corpo, ma si muovevano più discretamente, senza ostentazioni.

L'aroma acuto di carne, spezie e polvere mischiata insieme mi fece pizzicare la gola. C'era molto rumore: gente che parlava ad alta voce e rideva, con il sottofondo della musica a tutto volume.

«Vado da questa parte» annunciai.

Mi seguirono in silenzio, senza nemmeno cercare di non dare nell'occhio. La folla era compatta, e le persone mi passavano accanto, rischiando spesso di finirmi addosso. È strano pensare che Los Angeles sarà la mia casa nei prossimi anni. Sorrisi e mi avvicinai a una bancarella, sfiorando una delle collane appunto su un piano di velluto.

«Che cos'è questa storia?» La voce di Justin, dura e rabbiosa, penetrò il frastuono del mercato come la lama di un coltello.

Distolta dalla collana, replicai: «Sono qui per fare compere. Come sapevi dove trovarmi?»

«È stata Kahlah. Per quale cazzo di ragione non mi hai avvertito che saresti uscita?» mi domandò.

Qualcuno cominciò a fermarsi e a osservarci. In realtà studiavano lui, che non faceva mai apparizioni in pubblico e le cui foto recenti erano poche e mai scattate da vicino. Tutti però lo conoscevano. E se alcuni erano in soggezione, altri parevano inorriditi. La sua fama di diavolo, di belva, lo faceva guardare con paura. Non pareva rendersene conto, il suo sguardo era puntato solo su di me.

Mi afferrò per un braccio. «Qui non è sicuro.»

«Ho con me le guardie del corpo.»

«Anche io le avevo» ruggì. «Tutti noi avevamo le guardie del corpo! Ma non è servito.»

Los Angeles' Hidden Legacy. ↠ Justin BieberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora