Prologo

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Vi starete chiedendo chi sono. Sono un uomo di ventotto anni. 

Sono un uomo rotto alla ricerca di qualcosa che possa aggiustarlo. Sogno ancora la salvezza, cerco ancora il perdono. Voglio solamente essere libero.

I miei capelli nero corvino insieme ai miei occhi così scuri da sembrare dei buchi neri riesco a mettere timore a tutti. Quando mi guardo allo specchio il riflesso di questi occhi mi fa venire la pelle d'oca, perché guardandoli non vedo neanche la più piccola scintilla di felicità o di voglia di vivere. Ormai il mio mondo che vedo è solamente come loro, nero. I miei colori sono scomparsi rimanendo un semplice guscio pieno di rabbia e odio.

Di mattina sono un dottore nel reparto di pediatria presso l'ospedale pubblico. Mentre di sera... faccio prima a mostrarvelo.

Un pugno, due pugni, tre pugni.

Le urla degli scommettitori che tifano.

Quattro pugni.

Il sangue che ormai macchia le mie mani.
Il naso rotto del mio avversario.
Il mio occhio gonfio.
Lo zigomo dolorante.
Non mi fermo, continuo sempre più forte. Sempre con più rabbia. Sempre con più odio verso me stesso. 

"Perché non riesco a fermarmi?" Questa è la domanda che frulla sempre più velocemente nella mia testa.

Solo così tutti i "se" della mia mente vengono cancellati per un breve lasso di tempo.

Vi starete chiedendo come sono finito in questo ambiente, perché tutta questa rabbia dentro. L'odio per se stessi e la rabbia verso altri molte volte porta a brutte scelte.
Alla fine prima di perdere totalmente quello che sono e prima che succedesse il peggio sono scappato a New York per iniziare a seguire il percorso che avevo deciso per me.

Una sera ho scoperto questo club dove potevo sfogare tutto quello che avevo dentro e ricevere allo stesso tempo la punizione per la mia carenza di volontà, il non essere forte abbastanza da dire NO.

Un calcio al fianco.

Ogni volta che sento il suono della campanella il mostro, che cerco in tutti i modi di trattenere, esce fuori. Si ribella e cerca sempre di più.
Sempre più sangue.
Sempre più dolore.
Ed io non posso fare niente, sono rinchiuso in un angolo del mio cervello che assisto a tutto senza poter fare niente... senza oppormi, perché mi piace ma allo stesso tempo l'odio.

Una ginocchiata nello stomaco.

Sentirlo contorcersi sotto i mie pugni mi rende felice.
L'odio che provo lo riverso tutte in queste serate.

Ora vi starete chiedendo di che serate sto parlando. È semplice: delle serate in cui ho i miei incontri, lotte "all'ultimo sangue", il primo che crolla perde.
Cosa si fa durante queste serate? Semplice si scommette su chi vincerà, si lotta e chi vince ritorna a casa con un bel gruzzoletto.

Un pugno sul naso.

Io dei soldi non ci faccio niente, perché, parliamoci chiaramente, sono fottutamente ricco.
Tutti i soldi che vinco in queste serate li dono ad un'associazione per i bambini che hanno subito violenze di ogni genere.

Il sangue del mio avversario ormai macchia il pavimento e le mie mani, ma lui non cede, continua a rimanere in piedi. "Perché?" penso e allora inizio a colpire sempre con maggiore forza.

Una ginocchiata sotto il mento.

Ormai il suo volto è irriconoscibile, ma io non mi fermo vado avanti.
Continuo a colpirlo, lui non si difende neanche più ma non si arrende continua ad andare avanti.
Sono geloso perché quando non facevo ancora parte di questo mondo mi arrendevo sempre, ad ogni minima difficoltà io scappavo e mi lasciavo tutto alle spalle.
Perché lui non si arrende come facevo io?

Un pugno sotto il mento.

Sta sputando sangue, ma non cade.
Vedo in lui l'uomo che non riuscivo ad essere io ed è per questo che l'odio.
Carico un pugno e gli colpisco la tempia.
Vedo i suoi occhi sbarrarsi per poi chiudersi.
Vedo il suo corpo cedere sotto il suo stesso peso e cadere rovinosamente a terra.

Il pubblico esulta.
Urlano il mio nome.
L'arbitro mi si avvicina e alza la mia mano urlando <<Il vincitore.>>.
Finalmente alzo la testa e rimango congelato sul posto.
Nella folla urlante, nel delirio, un paio di occhi verdi mi fissano sconvolti. Una ragazza con la chioma scarlatta mi fissa con la faccia sconvolta. I suoi occhi sono puri e limpidi, ma allo stesso tempo segnati da una forza inaudita. Stanno osservando ciò che sono ora, ma che non avrei mai voluto essere. Una persona che non conosce neanche più il suo posto al mondo.

Quegli occhi vedono il mostro, la rabbia, l'odio, ma io non sono così mi ci hanno fatto diventare. Alla fine era sempre o questo o niente, sangue o sangue. Dovevo solo scegliere chi era la persona che doveva soffrire. Io o un altro? 

Appena l'arbitro annuncia una pausa la vedo correre verso l'uscita, mentre tutte le persone si recano al bar del club.

Io non ci penso due volte e la seguo.
"Io non sono così. Credimi." mi continuo a ripetere nella mia mente.

Prima che riesca ad uscire le afferrò il polso, la fermo e le strattono il braccio per farla voltare verso di me.

Lei appena si volta e si accorge di me sgrana gli occhi.

Prendo del tempo per osservarla meglio e per imprimere meglio la sua immagine nella mia mente. Questa ragazza è di circa una ventina di centimetri più bassa di me, i capelli rossi che le ricadono sulla schiena, le sfiorano il culo e sembrano una cascata di fuoco. Gli occhi verdi innocenti ma ora sporcati dalla vista di questo spettacolo orribile. Il seno è bello pieno, una vita stretta e delle gambe chilometriche fasciste da degli jeans stretti come una seconda pelle a vita alta.
Una dea che mi guarda furiosa.
Una dea guerriera.

<<Non guardarmi così>> le chiedo.

<<Hai anche il coraggio di dirlo? Ti rendi conto di cosa hai fatto?>> mi chiede <<Quell'uomo potrebbe essere morto.>> continua a parlare <<E poi guardati. Sei ricoperto di sangue, sicuramente non tuo.>> parla alzando sempre più la voce.

<<Sapevi dal primo momento che sei venuta cosa si faceva qui.>> le dico

<<Un mio amico mi aveva detto che questa cosa dovevo assolutamente vederla.>> mi risponde stizzita <<Non sarei mai dovuta venire questo posto, mi fa schifo.>> mi dice e poi guardandomi conclude <<E lasciami subito il polso. Mi fai schifo anche tu.>> mi sputa addosso.

Io non sapendo come ribattere le lascio il polso e la vedo aprire la porta e correre fuori.

La seguo con lo sguardo fino a quando la porta non si richiudere.
Nella mia mente continuano a girare quelle parole che mi ha sputato addosso "Quell'uomo potrebbe essere morto." "Questo posto fa schifo." "Mi fai schifo.".

Ora che ci penso non so neanche il nome di quella ragazza.

Mentre continuo ad osservare la porta sento l'arbitro che cerca di richiamare tutti e capisco che è ritornato il mio momento.

Cammino fino al cerchi disegnato a terra dove si svolgono gli incontri e vedo che è stato ripulito da tutto il sangue che lo macchiava.

<<Signori e signore iniziano le scommesse.>> urla l'arbitro <<Alla nostra sinistra c'è un uomo che ha iniziato a lottare da poco ma che si sta facendo strada a suon di pugni. Jack "Il Distruttore".>> urla mentre dal lato sinistro del campo un ragazzo, più giovane di me, circa un metro e ottantacinque, con i capelli biondi e gli occhi verdi che mi fissa.

<<Mentre nell'angolo destro abbiamo lui, il nostro veterano...>> inizia ad urlare l'arbitro ma in non gli do più ascolto e metto il piede nel cerchio.

Chi sono io? Sono Damon Black di giorno, "Hunter" di notte. Perché sapete una cosa? Per me ogni sera è come dare la caccia alla preda più succulenta.

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