Another life

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N/A: Parto dal presupposto che: mie care lettrici orangotanghe, nello scorso capitolo é accaduto qualcosa di grave e nessuna di voi se n'é accorta! Quindi, quello che leggerete non é frutto di una trovata improvvisa, bensì di un continuo! [Vi suggerirei di rileggere la parte finale dello scorso capitolo]

Le campane suonavano, ma non come per la domenica. Non vi era nessuna sensazione di felicità il quel suono, nessun arrivo inaspettato, nessun chiacchiericcio allegro sulle scale della chiesa.

Vi era silenzio ipocrita, vi erano singhiozzi trattenuti, altri palesemente liberati, come se, in tutta la vita, non si avesse aspettato altro.

E quel chiasso asfissiante, quei sussurri nascosti, il ticchettio dei tacchi sulle scale e poi sul marmo limpido della navata.

Lacrime versate e capaci di far rabbrividire. Nero, nero sugli abiti, nero negli occhi vuoti e neri erano i capelli del ragazzo che giaceva nella bara bianca.

-Mi dispiace- Bea si avvicinò a Sara. I suoi occhi erano iniettati di sangue, le sue labbra tremavano così come il suo corpo, travolto dagli spasmi. Le avevano persino dato dei calmanti, ma il dolore la riportava nel suo mulinello infame.

Riteneva che quello fosse il sentimento più sincero, le condoglianze avrebbero solo ricordato alla donna cosa avesse perso.

Perché non c'era angoscia più grande di quella, non vi era sentimento più devastante, dolore più vissuto. La perdita di un figlio, come se t'avessero tagliato il ventre, come se non vi fosse fine, il male persiste.

Perché non s'accetta, le avevano spiegato che a chi resta tocca vivere anche per chi se n'é andato. Non vi é soluzione più adatta, mi suggerisce uno scrittore.

La donna annuì, riportò il fazzoletto alle labbra e pianse ancora, mentre la ragazza, vestita di nero, l'abbracciava e andava oltre.

-Condoglianze- gli occhi di Chris erano persi, vuoti. Aveva pianto per i due giorni precedenti, aveva pianto quando Diego l'aveva chiamato, implorandolo di mettere fine alla sofferenza. Quei ragazzi ne avevano avuta troppa. Lui, invece, non badava a cosa dicesse, non badava a cosa gli stesse attorno, badò a stento alle lacrime della donna, vide solo quella bara bianca e la foto posta su di essa. Riprese a piangere.

Passò avanti e altre persone esposero le condoglianze, chi aspettandosi le lacrime, chi con un peso al petto, chi con chissà quante domande in corpo. Ma tutti l'abbracciarono, tutti si vestirono, per qualche attimo, di pura e confusa compassione.

-Non ci sono parole per esprimere il mio dispiacere- Aurora si avvicinò e la baciò la guancia. E la donna, riprese a piangere. L'avvicinò prendendola per le spalle, l'abbracciò come se non s'aspettasse quelle parole da parte sua. Entrambe pensavano che i figli non si dovessero frequentare. Uno era la cattiva influenza per l'altro e viceversa. Ma a volte ci si sbaglia, a volte non ci si rende conto.

-Sara,- Alessandrò l'abbraccio e lei scoppiò nuovamente, tenendo fra le dita la giacca beige dell'uomo -Non doveva andare così.- lei scosse la testa ed annuì, nella dimostrazione contrastante del suo dolore.

E le campane suonavano. Le parole che venivano ripetute erano sempre quelle, tutte uscivano al medesimo modo, senza che il tono o i pensieri cambiassero.

-Non immagini quanto io sia addolorata, Sara- Priscilla le si avvicinò, fu il suo turno. Indossava un abito nero, i capelli erano stati raccolti ordinatamente e non si era truccata. Avevano parlato qualche volta durante i colloqui coi genitori, erano rimaste pomeriggi a chiacchierare in fila, parlando del più o del meno. Parlando del fatto che entrambe avessero perso il marito, e ora, l'altra, un figlio.

Kiss me again, pleaseDonde viven las historias. Descúbrelo ahora