Capitolo ventuno

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"Non riesco a capire come tu faccia." Mi disse Travis accarezzandomi la pancia con un dito.
"Come faccio a fare cosa?" Chiesi posando il lenzuolo sopra il mio corpo nudo.
"A comportarti così, hai un carattere forte." Rispose in un sussurro.
La sera non dormo. Pensai.
"Lo so." Risposi girandomi sul fianco, dandogli le spalle.
"Mi prepari da mangiare?" Chiesi giocherellando con gli anelli che portavo alle dita.
"Ti preparo la bistecca con le patatine." Disse più a se stesso che a me alzandosi dal letto per poi lasciare la stanza.
Davanti a me il muro color panna brillava per via della luce del sole che filtrava dalla finestra.
Mi rigirai più volte e con una mano accarezzai la parte vuota del letto.
Sospirai e chiusi gli occhi, com'ero finita a questo punto?
Mi alzai e misi una mia vecchia maglia che avevo lasciato in precedenza in uno dei cassetti di quella stanza. Osservai il mio riflesso allo specchio e riordinai i miei lunghi capelli ramati.
"Cazzo!" Urlai sbattendo il pugno contro il vetro.
"Cazzo!" Sbraitai un seconda volta contro la figura riflessa allo specchio. Vidi la mia immagine contorcersi per via del vetro rotto, piccole schegge erano infilate nella mia mano. Non sentivo nulla, o provavo troppo dolore o ne avevo già provato abbastanza per sentirne altro.
"Lydia! Lydia! Stai bene?" Mi chiese correndo Travis.
Lo guardai e alzai le spalle. Prima quando stavo con lui mi sentivo bene, mi sentivo desiderata, amata, e ora vedevo solo due immense pupille nere che mi fissavano preoccupate.
"Si è rotto." Esclamai piegando la testa di lato.
Lui mi guardò completamente confuso e spaventato.
"Vado a mangiare." Dissi con indifferenza prima di lasciarlo solo nella stanza e andare in cucina dove trovai le patatine ancora nella pentola.

"Hai finito di mangiare?" Mi chiese il ragazzo quando mi vide entrare nella stanza.
Travis era piegato a terra mentre raccoglieva i piccoli cocci di vetro.
"Sì, te ne ho lasciato un po'." Dissi scattandogli una foto con la fotocamera che notai qualche ora prima.
Lui al suono dello scatto della fotografia si girò di colpo, spalancando gli occhi e stringendo i pugni.
Lo vidi deglutire un paio di volte, il viso aveva preso un colorito verdognolo, ancora qualche minuto e mi avrebbe vomitato davanti.
Scattai un'altra foto. Era bello, lui lo sapeva. Tra la luce del sole riflessa dal vetro rotto, tra i cocci, ricoperto solo da un pantalone della tuta grigio scuro e da goccioline di sudore che gli solcavano il petto e la fronte, c'era lui che mi guardava spaesato, quasi incazzato, le vene delle braccia risaltavano visibilmente mentre le nocche erano diventate bianche. Adoravo quella foto.
"Mettila giù!" Mi ordinò severo, ringhiandomi contro.
"Perché?" Chiesi ridacchiando rigirando l'oggetto tra le mani.
"Dannazione per una volta fai come ti si chiede!" Urlò alzandosi, sovrastandomi con la sua altezza.
"È questo il vostro fottuto problema. Fate tutto quello che vi chiedo per compiacermi pensando che prima o poi vi darò qualcosa in cambio, ma quello che non riuscite a comprendere è che non riceverete un cazzo da me!" Spiegai alzando la voce puntandogli il dito contro. Sentivo i miei muscoli contrarsi, e il viso scaldarsi.
"Stai parlando di me o di lui?" Mi chiese con un sorriso aspro, cattivo.
"Sappiamo entrambi che quando saprà chi cazzo sei se ne andrà. Se ne andrà come ha fatto lei, come ha fatto Scarlett, come hanno fatto i tuoi genitori, o come hanno fatto tutti quelli che aveva ancora qualcosa da perdere. Guardarti intorno. Chi ti è rimasto ancora? Fai solo pietà." Sputò ad un palmo dal mio viso.
Boccheggiai per qualche secondo poi la mia mano entrò in contatto con la sua guancia.
E lo picchiai non perché rimasi ferita dalle sue parole, ma perché aveva dannatamente ragione ed io ne ero consapevole.
"Dove vai?" Mi chiese quando mi avvicinai alla porta d'ingresso dopo essermi rivestita.
"Ci vediamo mercoledì. Giacca e cravatta." Poi me ne andai accompagnata dal rumore della porta che si richiudeva alle mie spalle.

Parcheggiai la mia auto nel viale di casa e mi guardai intorno, avevo la strana impressione di essere la protagonista di sguardi indiscreti, proibiti. Mi si accapponò la pelle, e un brivido mi percosse la schiena.
Arrivai davanti alla porta d'ingresso con il fiato corto, per via della piccola corsa fatta, stavo per entrare quando una piccola scatolina posta vicino al porta ombrelli attirò la mia attenzione. Mi chinai e afferrai l'oggetto. C'era anche un bigliettino giallo.
Presi le chiavi e le infilai nella serratura, spinsi la porta con il piede e dopo essere entrata la richiusi. Mi sedetti sul divano e sospirai.
Sul bigliettino giallo in una calligrafia familiare c'erano scritte poche e semplici parole.
"Sei brava a giocare a nascondino? A me non sembra visto che ti ho trovata."
Il battito del mio cuore accelerò, mentre la mia bocca divenne asciutta e secca.
Aprii la scatolina e alla vista dell'oggetto al suo interno spalancai gli occhi.
Riposta all'interno della scatola imbottita risiedeva un ciondolo che pensavo di aver perso molti anni prima dopo una caduta.

"Cara! Ti sei fatta male?" Mi chiese mio padre avvicinandosi a me.
Sentivo le gambe bruciare e la testa iniziò a girarmi vorticosamente per via del sangue.
"Papà, papà! Ho perso la collana!" Urlai piangendo. Era un suo regalo, e mi sentivo tremendamente in colpa.
"Te ne comprerò un'altra. Ora vieni, andiamo a casa. Dopo passerò a riprendere la bicicletta." Mi disse prendendomi in braccio per poi accarezzarmi la guancia bagnata dalle lacrime. Non me ne comprò mai più un'altra.

Mi rigirai il pendente tra le mani, e nonostante cercassi di convincermi che non fosse davvero il mio mi dovetti arrendere, le piccole macchie di sangue sparse qua e là erano la mia certezza.
Dopo così tanti anni erano ancora lì, avevano tenuto quel piccolo gioiello nel migliore dei modi, era ancora nuovo.
Lo sgomento iniziale mi abbandonò lasciando spazio ad un'incredibile eccitazione e esaltazione. Loro mi vedevano come un gioco, sarei stata il gioco più brutto della loro vita.

Il cellulare continuava a vibrare e per poco non lo scaraventai giù dalla finestra. C'erano chiamate e messaggi da Zayn. Era carino il fatto che si preoccupasse per me, era snervante invece che si preoccupasse per me praticamente sempre. Gli facevo pena, ne ero consapevole. Gli avrei fatto cambiare idea nei modi peggiori che conoscevo.
Sentivo vecchie emozioni sconvolgermi, ansia, paranoia, terrore. Volevo piangere ma le lacrime non scendevano, così mi appoggiai al muro e mi sedetti per terra. Davanti a me c'era il salotto vuoto. Troppi pensieri m'inondarono la mente, sentivo parole, vedevo immagini, rivivevo per l'ennesima volta tutte quelle scene. Non potevo crollare, non per così poco.
Decisi di alzarmi e iniziare a fare qualche faccenda domestica per distrarmi. Andai in cucina e preparai un tortino al cioccolato e lo misi nel forno. Sistemai i vari utensili usati nel lavandino, li lavai e li posizionai al loro posto. Mi tolsi la maglia, sporca di farina e di qualche schizzo d'uovo, e dopo aver preso tutti gli altri panni sporchi in giro per la casa li misi nella lavatrice dividendo i vestiti colorati da quelli neri. Pulire, così come la matematica, mi calmava. Un odore di bruciato mi solleticò il naso, ma non ci diedi molto peso, mi ero completamente dimenticata della torta in forno.
Passarono almeno quindici minuti prima che mi ricordai della pietanza che stava bruciando.
"Cazzo!" Urlai prima di mettermi a correre per arrivare in cucina. Inciampai in un libro e lanciai un altro grido.
"Merda!" Imprecai rialzandomi.
La cucina era sommersa da una nube nera, l'aria era irrespirabile. Arrancai fino al forno e lo spensi, aprendo lo sportello.
Dei colpi alla porta mi costrinsero ad abbandonare la stanza e dirigermi verso l'ingresso.
Aprii la porta e mi ritrovai la mia anziana vicina mentre sguainava una padella.
Spalancai gli occhi quando vidi quest'ultima piombata in casa e guardarsi in torno.
"Che cos-?" Sussurrai basita.
"L'ho sentita urlare, dov'è il malfattore?!" Disse urlando.
Malfattore?
"Lydia?" Mi chiamò una seconda voce.
Mi girai e mi ritrovai Zayn che teneva per mano un bimbo.
"Zayn?" Salutai confusa.
"La tua ragazza ha delle belle tette." Disse il bambino che ricevette uno schiaffo sulla nuca da Zayn.
"Quindi dov'è il ladro?" Ripeté la vecchia sventolando in aria la padella, rischiando di tirarmela in piena faccia.
"C'è un ladro?" Chiese il ragazzo incupendosi.
Mi guardai intorno, l'anziana signora con la sua padella, Zayn con il broncio, e il bimbo che fissava intensamente il mio seno, che strana situazione.
Sospirai.
"Chi vuole un pezzo di torta?" Chiesi alzando le spalle.

Did you miss me, babe? //Zayn Malik//Where stories live. Discover now