Capitolo 27

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Dopo aver sentito il suono della campanella ci alziamo tutti senza neanche aspettare che la professoressa smetta di spiegare.
Facciamo lo zaino e usciamo dall'aula.
Federico mi cinge la vita e mi sussurra all'orecchio «Facciamo i compiti e poi usciamo.», Annuisco e lo abbraccio mentre ci avviamo verso casa mia.
Giulia ci viene in contro e noi due sciogliamo l'abbraccio.
«Ehi Sara! 'Sta sera ti staccherai dai tuoi libri e uscirai con noi?» ridacchia.
Giulia è una ragazza alta... Più di me.
Due spalle larghe, un bel seno, un viso simpatico e belli.
Due occhi molto scuri, labbra piccole a cuore, dei capelli scuri perfettamente lisci e lucidi.
Ha un po' di pancia, ovviamente come me ma ha i fianchi più stretti dei miei e delle bellissime gambe magre.
«Ti ricordo che anche tu lo fai ma alterni le cose, chi è che mi ha prestato i libri di Percy Jackson e ha voluto finire tutta la saga il prima possibile?» sorrido.
«Io...» alza gli occhi al cielo divertita.
«Be' se siamo fatte cosi non è colpa nostra no?» le do una finta gomitata complice.
«Già.»
«A stasera.» la saluto scuotendo la mano e lei ricambia, per poi avviarsi verso la macchina di suo padre.
«Ho vissuto qualche secolo e mi sono adattato al linguaggio che é cambiato negli anni ma non comprendo quello che avete appena usato» sorride Federico, i suoi occhi smeraldo brillano e i suoi denti perfetti sembrano voler abbagliare chiunque li guardi.
«Il nostro non è un linguaggio! Credo...» rido al "credo" «Be' adoriamo entrambe leggere solo che lei però è un po più... Sociale di me» sorrido al paragone.
«Cioé...?» domanda lui facendo un gesto con mano.
«Fin' ora non l'ho fatto notare molto anche perché sono cambiata un po' rispetto agli anni passati, ma prima ero incollata ai libri. A scuola, a casa, in giro... Ero un po' asociale... Quest' anno mi sto staccando un poco dai libri... C'è stato un periodo...» mi tappo subito la bocca senza finire la frase... Mi fermo sul marciapiede lasciandolo perplesso.
È stato brutto... Spero che non si sia accorto dell' incrinatura della mia voce nonostante il suo udito sovrannaturale .
«Cosa? Che è successo?» si allarma e cammina verso di me.
«Oh niente scusa... Ho... Ho sbagliato...» borbotto.
Nonostante siano passati anni quel "periodo" continua a riaprire la ferita nel mio cuore ogni volta che ne parlo con qualcuno.
«Smettila di dire sciocchezze, avanti... Che c'è?» tenta di spostarmi i capelli dietro l'orecchio ma mi oppongo al suo gesto.
«Federico...» mormoro con ormai le guance bagnate.
«Scusa... Non volevo... Forza non piangere...» prende un fazzoletto dal suo zaino e me lo offre. Lo accetto volentieri, mi asciugo le lacrime e soffio il naso accartocciando il fazzoletto e mettendolo in tasca, poi mi abbraccia.
«Non è colpa tua, sono io che parlo senza pensare e dopo essermi resa conto di quel che sto dicendo mi blocco a metà frase. È un difetto che tutti quelli che mi conoscono notano... Lo odio.» mi strofino gli occhi.
Lui sorride.
«É adorabile.» cerca di consolarmi.
Abbozzo un sorriso.
«Come no.»
«É la verità.»

Arriviamo a casa mia.
Saluto mia madre e mio padre.
Federico entra salutando i miei genitori con un sorriso e delle frasi gentili.
I due ricambiano deliziati.
«Mamma, papà, questa sera usciamo io, Federico, Giulia, Danila, Edoardo e Luca. Ceneremo al McDonald's nessun problema?»
«Nessuno...» annuiscono entrambi.
«Va bene, grazie, andiamo a studiare.»
Ci lasciano andare in camera mia.
Saliamo le scale con lo zaino in spalla che poi io butto sul pavimento con le spalle che sembrano gridare per il dolore. Il ragazzo, o meglio, il vampiro qui presente è divertito.
Poggia la sua cartella con delicatezza accanto alla mia e sorride.
Mi butto per un po' sul letto sbuffando poi mi rialzo prendendo il diario e leggendo i compiti... Quindici pagine da studiare per domani e degli esercizi.
Affranta lancio il diario sul letto... Nessun rumore, mi aspettavo uno svolazzare di fogli e un tonfo che sarebbe dovuto provenire dal muro su chi sarebbe sbattuto il diario e poi il suo ricadere sulle lenzuola.
Invece Federico lo ha afferrato prima che si sfracellasse... Per modo di dire ovviamente.
«Che fai?» domando tirando fuori i libri di scienze, matematica, italiano e geografia.
«Che fai tu semmai, lanci il diario contro il muro?» ride rigirandoselo tra le mani.
Faccio spallucce e poso i libri sulla scrivania.
«Allora, facciamo prima gli esercizi scritti e poi orali... Ci anticipiamo qualcosa va bene?» propongo andandomi a sedere sulla sedia. Mi giro verso di lui.
«Si, comunque secondo me è meglio fare l'orale... Ci impieghi più tempo.»
«Impieghi?» faccio una smorfia inclinando la testa al lato.
«Ci metto cinque minuti a studiare e a fare i compiti... Super velocità ricordi? E ho anche un super cervello.» sorride picchiettandosi con l' indice la testa.
Corrugo le sopracciglia e mi giro verso la scrivania.
«Ok, prima l'orale...»

Dopo quattro ore e mezzo abbondanti di studio siamo riusciti nell' impresa.
Sbadiglio stropicciando gli occhi con le mani.
Butto la testa sulla scrivania finito l'ultimo esercizio e resto cosí per qualche minuto.
P

oi mi alzo... Lui resta seduto sul mio letto dalle lenzuola lilla.
Vado alla finestra che avevo aperta. Si affaccia su un pezzo di mare e delle case. Resto con le braccia posate sul davanzale guardando il cielo, dipinto dal rosso del tramontare del sole.
Sospiro.
«In seconda media... C'è stato un periodo in cui i miei compagni mi chiamavano asociale perché non facevo altro che leggere.
Durante le lezioni leggevo, a ricreazione non mi alzavo dal mio banco eccetto che per buttare la carta della merenda. Quando suonava la campanella tutti si preparavano impazienti di uscire mentre io continuavo a leggere cercando di arrivare a fine capitolo con il richiamo della prof che incitava a prepararmi...» la mia voce era colma di tristezza come i miei occhi colmi di lacrime. «Continuavano a ripetere "asociale dai gioca con noi", "lascia perdere quel libro!", "alzati da quel banco!"... A volte mi prendevano il libro di mano cercando di farmi godere la pausa. Io di devo cercando di prenderlo. Mi divertivo nel farlo ma era anche snervante. Scherzavano ma mi irritava molto il loro modo di scherzare. Quando poi mi... ruppi le scatole di quel soprannome assegnatomi iniziai a chiedere di smetterla di farlo ma continuavano. Come si dice, il gioco è bello quando dura poco. All'inizio anch'io ci scherzavo... Poi però mi stancai. Giulia e Danila erano con me alle medie e possono confermarlo. Quando poi non ne potei proprio più, dopo settimane che andava avanti questa storia e non mi davano ascolto decisi di parlarne con la migliore professoressa che avevo all'epoca. Era...era saggia, la giustiziera dei nostri problemi tra compagni di classe, una seconda madre per me. Era stimata da tutti, o almeno aveva guadagnato la mia stima. Le parlai con Giulia... Più che altro fu lei a parlare. Io mi limitati a piangere come mio solito. Grazie a lei smisero di chiamarmi in quel modo e io mi aprii un po' di più...» le lacrime hanno preso il sopravvento, era tanto tempo che avevo bisogno di sfogarmi.
Non mi giro a vedere cosa fa o dice lui. So solo che è sul letto e sono sicura che è esterrefatto.
«Detto da Danila non sembra male l'appellativo "asociale"... Neanche detto da Giulia... Ma dagli altri non mi piace. Anche Giulia ci è passata in questa fase infatti può capirmi. La chiamavano cagna solo perché aveva e ha una quarta di seno... Lei non è una cagna!» sbotto voltandomi come se stessi rimproverando chi la chiamava in questo modo.
«Solo perché ha un gran seno non vuol dire che lo sia!» alzo il tono di voce. Come immaginavo lui è sul letto con la schiena al muro con tristezza, frustrazione e sconvolgimento dipinte sul volto.
Sbatto le palpebre umide e mi riprendo.
«Scusa... Non volevo urlarti contro... Mi... Mi dovevo sfogare...» vado verso la scrivania nervosa e posando i libri nella libreria.
«Non fa niente... Mi dispiace per... Per quello...» non lo guardo negli occhi perché non ne sarei capace in questo momento. Mi limito solo a vedere dov' é con la coda nell'occhio mentre faccio lo zaino.
«Acqua passata...» la voce si incrina nuovamente. «Lasciamo perdere... Questo argomento mi ha stufata.» strizzo gli occhi.
«Okay...»
Faccio lo zaino e vado a farmi una doccia veloce mentre Federico va a casa dai suoi fratelli per prepararsi.

Spazio autrice

Ehi... Capitolo un po' deprimente eh?
Mi scuso per il fatto che non aggiorno molto spesso ma dato che sto scrivendo un' altra storia, che non pubblicherò finché non l'avrò finita di scrivere, mi sto dedicando un po' più a quest'ultima.
Sono sicura che la adorerete ed è originale al 101% visto che è ispirata a un sogno che ho fatto e che mi ha illuminata. Molti personaggi sono inventati da me infatti non esistono in nessun' altra storia scritta al mondo.... Vabbe vi saluto, grazie di aver votato e commentato questo capitolo (se l'avete fatto😂)

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