V - Il mantello nero

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"Non azzardarti a parlar male dei miei nonni! Hanno sacrificato la loro vita per il popolo, mettendo addirittura mio padre al secondo posto!", dissi, perdendo del tutto la calma.

"Però non ti hanno mai detto perché sono morti, vero?". Vedendomi immobile come un paletto di legno, Thaddeus continuò: "Mi dispiace, Evelyne, ma sono stati proprio i tuoi nonni a dichiararci guerra e a perdere la vita in battaglia". Scosse la testa, profondamente indignato. "Non so cosa ti abbiano raccontato, ma posso giurarti che questa non è una bugia. Gli umani si rifiutarono di accettare la realtà dipingendo i tuoi nonni come persone coraggiose e dallo spirito nobile; non hanno mai detto a nessuno cosa successe in quel giorno".

Un'intuizione occupò la mia mente abbastanza a lungo da farmi capire tutto il resto. "Stai ancora cercando di convincermi ad abolire la legge sugli elfi, non è così?". Sbuffai e mi alzai di scatto dalla sedia. "Non posso crederci! Pensi forse che mettendo in cattiva luce i miei nonni possa cambiare idea al riguardo? O forse mi stavi solo spiegando che gli artefici della legge in vigore fossero dei completi rimbambiti in quanto fu proprio la mia razza a dichiararvi guerra?".

"Ti sto semplicemente dicendo che i tuoi antenati non erano esattamente come il popolo li dipinge tutt'oggi!", si difese Thaddeus, alzandosi a sua volta. Nei suoi occhi intravidi un lampo di collera e impazienza, profondamente infastidito dal fatto di non essere riuscito nel suo intento.

"Prima mi salvi la vita per raccontarmi la tua storia e per convincermi ad abolire la legge, poi te ne esci con la scusa che furono proprio i miei nonni a combattere contro di voi. Sei incredibile", dissi quell'ultima parola come uno sputo, inserendovi tutto il disgusto che provavo in quel momento. Mi diressi verso la porta senza degnarlo di uno sguardo.

"Cerca le statue dei tuoi antenati nella chiesa vicino al bosco e leggi l'epitaffio. Io resterò qui ad aspettarti nel caso capissi che ho ragione", mormorò Thaddeus, poco prima che uscissi di casa sbattendo la porta con tanta violenza da far tremare l'albero.

La luce era diversa, segno che era passato più tempo del previsto da quando avevo lasciato il castello. E non avevo ancora nessun bouquet tra le mani.

Mi diressi velocemente verso la piazza ignorando le lacrime d'ira agli occhi e cercando di dimenticare la conversazione con Thaddeus.

C'era più gente di quanto mi aspettassi, ma mi accorsi con sollievo che i loro sguardi curiosi non avevano secondi fini: si limitavano ad osservarmi senza avvicinarsi e tantomeno rivolgermi la parola.

Il negozio del fioraio era incastonato tra una pasticceria e l'unica taverna che conoscevo, perciò non ci misi molto a trovarlo e ad entrare. Quando il proprietario mi vide, sgranò gli occhi dalla sorpresa.

"Vostra Altezza, non oso esprimere la mia gioia scaturita dal vedervi qui, nel mio negozio. Come posso aiutarvi?", mi chiese, gli occhi azzurri illuminati da un bagliore improvviso e i disordinati capelli grigi sparsi sulla fronte.

"Sono qui per il mio bouquet. È possibile portarlo al castello oggi stesso?", domandai, respirando spensierata il profumo dei vari fiori nel locale.

Il fioraio sorrise. "Naturalmente. Vogliate essere tanto paziente da permettermi di andare a prenderlo". Si girò e varcò la soglia della porta alle sue spalle, tornando dopo una decina di secondi con un mazzo di rose bianche e rosa tra le mani. Era tanto bello da farmi cambiare idea sul matrimonio, ma solo per un istante.

"È stupendo". Presi dalla borsa a tracolla un sacchetto colmo di monete e lo posai sul bancone. "Questo è per ringraziarvi del vostro incredibile lavoro".

"Grazie a voi, lady Evelyne". Il fioraio prese il sacchetto e se lo mise in tasca, soddisfatto del tintinnio al suo interno. "Sarò sempre lieto di offrirvi i miei servigi".

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