2. Michela

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Quando ci si mette Lisa è più chiusa di un riccio. Per strada, mentre camminiamo, non ha smesso un solo secondo di guardarsi alle spalle, tormentandosi il labbro inferiore fino allo stremo e torcendo nervosamente una ciocca di capelli, incapace di rivelarmi i pensieri che le passano per la testa.

So che non vuole parlarne ora, ormai ho imparato a conoscerla ma, sospetto dal suo comportamento, che mi stia nascondendo qualcosa di serio. Quell'espressione di terrore che ho visto prima in bagno, quelle mani tremanti, quegli occhi spalancati, erano mesi che non si manifestavano.

In lei c'era pura e semplice paura. Quel genere di paura che ti fa scappare più veloce che puoi per non doverti guardare indietro.

Non ne capisco ancora il motivo ma, confido nelle mie doti persuasive, per cavarle fuori di bocca qualche parola.

"Che fortuna", osservo mentre entriamo nel bar. "Ci sono ancora due posti liberi all'aperto."

Ubicato in prossimità della spiaggia erbosa, il bar da Anna aperto da oltre quarant'anni, è una vera e propria istituzione. Caldo ed accogliente al primo impatto, restiamo di colpo frastornate da quell'odore di caffè così forte che sembra riempire il locale, dal tintinnio delle tazzine che vengono delicatamente appoggiate sui piattini del corredo e da quella musica leggera di sottofondo. La luce penetra dalla vetrata che dà sul giardino estivo, dando vita e colore all'intera stanza ed illuminando il tal modo, travi e pareti in abete chiaro. Il pavimento sotto ai miei piedi è di uno splendido mosaico floreale, come quello delle case di una volta, e piccoli vasi di lavanda sono appoggiati sui tavolini di legno nudo che tremolano ogni volta che qualcuno mette piede.

Anna, la proprietaria del bar dai tempi della sua prima apertura, è una dolce vecchietta mingherlina dai capelli oramai grigi, compensati da un'infinità di rughe che dominano un viso vissuto e sempre sorridente. Nonostante la sua età avanzata è sempre pronta ad aiutare sua figlia Barbara e, con indosso un grembiule bianco i cui lacci fanno più volte il giro sul suo esile corpo, sfoggia con orgoglio ai nuovi turisti la sua maestria nel preparare i caffè, con una macchina che risale ai primi del Novecento e che nella penombra del locale brilla impeccabile di ottone e rame ancora lucenti.

Lisa mi segue verso l'esterno facendosi largo tra i tavoli sotto al sole e quando prendiamo posto, sento con piacere una leggera brezza sollevarmi dalla nuca i miei lunghi capelli. È fine luglio, la temperatura perfetta, il cielo azzurro e limpido fino all'orizzonte. Alle mie spalle, il lago è calmo nonostante l'aria soffi vivace, e rispecchia il colore del cielo. Alcuni passeri sono appollaiati sulla ringhiera, pronti a tuffarsi sotto ai tavoli non appena qualche briciola cade a terra.

Centinaia di villeggianti sono già in acqua o sdraiati sugli asciugamani. Il molo è gremito di pescatori che si sporgono oltre la balaustra in attesa che qualcosa abbocchi. Osservo la scena prima di voltarmi di nuovo verso Lisa.

"Ammettilo", la provoco. "È esattamente quello di cui avevi bisogno. Dimmi che ho ragione."

"È vero, hai ragione."

"Quanto mi piace sentirtelo dire. Allora, ordiniamo la colazione?", le chiedo poi con tono allegro.

"Assolutamente sì. Ho una fame che potrei mangiare un elefante", ribatte Lisa con un sorriso.

In questo preciso istante il suo volto ha un'espressione nuova, come se tutto quello che aveva tenuto dentro sino ad ora: paura, insicurezza, frustrazione, si fosse dissolto nel nulla lasciando spazio ad un viso solare dove risalta gioia e serenità.

Non lasciarmi cadereWhere stories live. Discover now