XXII

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Nicolaj arrivò con tre buste dal colore ambiguo.

«Si sta facendo tardi», disse dopo aver lanciato una breve occhiata all'orologio, «mangeremo nel nostro appartamento», stranamente, non ebbi la forza di ribattere la sua presa di posizione.

Il cacciatore alzò una mano per salutare il proprietario, il quale ricambiò con un sorriso cortese, e insieme ci diriggemmo verso l'uscita.

Non parlammo molto, a dir la verità.

Ci lasciammo trasportare dall'aria gelida e rimanemmo in silenzio fino a raggiungere una zona residenziale. Aveva all'incirca una cinquantina di appartamenti tutti uguali, dalle pareti grigie ed impersonali, con porte di metallo scuro e con nessuna finestra all'entrata.

Per tutto quel tempo ero rimasta lontana da Cameron per paura che Nicolaj iniziasse a sospettare qualcosa ma, in quell'istante, mi concessi di guardarlo come per chiedergli se avesse già imparato la strada che ci divideva dalla sua vecchia casa.

«Ecco i nostri bagagli!», Nicolaj rintracciò i borsoni con una sola occhiata: erano tutti ammucchiati l'uno sull'altro, di fronte ad uno dei tanti portoni in cima ad una rampa di scale, anch'essa di metallo.

«Li ha lasciati lì fuori?», chiesi, confusa e nervosa, «Non poteva lasciarli a qualcuno, al direttore magari?»

E se ci avesse rapinato? L'autista non sembrava esattamente un uomo di cui fidarsi. Avrebbe potuto vedere l'amuleto di Cameron, rubarlo e rivenderlo come un comune oggetto ben costruito. E se avesse visto i veleni o le pistole? Avrebbe potuto chiamare la polizia e allora mio nonno sarebbe riuscito a rintracciarci in un attimo.

Senza renderme conto, il mio corpo si riempì di pelle d'oca.

«Non poteva darle ad un direttore perché non c'è», rispose lui con calma, «qui non c'è nessuno. Tecnicamente questo posto non è stato neanche mai aperto».

«E allora non sembrerà un po' strano per i cittadini, visto che questo posto è tecnicamente chiuso?», non sapevo cosa fosse saltato in mente a Nicolaj. Non eravamo poi così lontani dal centro abitato presto o tardi qualcuno avrebbe notato la luce accesa e avrebbe fatto rapporto.

«Beh, se qualcuno verrà a ficcanasare...», Nicolaj infilò una mano nel giaccone ed estrasse una serie di fogli stampati ripiegati su sé stessi, «...ho con me la lettera di uno dei costruttori, con tanto di chiave, che mi permette liberamente di soggiornare in uno di questi edifici ad una moderata cifra di denaro». Quello che il cacciatore aveva tra le mani era un vero e proprio contratto.

«Come l'hai avuto?», chiesi, scettica.

«E' davvero così importante?», ribattè il cacciatore, con espressione scocciata, «Agnese, me lo stai chiedendo per essere sicura o semplicemente per continuare a battibeccare come una ragazzina?»

Non potei fingere che quell'insulto non mi avesse toccata nel profondo.

Ricordai quel giorno fuori dal cortile, prima di mettere in atto il mio piano di fuga: Nicolaj si era inginocchiato ai miei piedi e mi aveva guardata negli occhi, promettendomi di seguirmi anche ai confini del mondo, se fosse stato necessario.

Nel suo sguardo, adesso, non vedevo più la stessa sicurezza.

Inghiottii saliva amara come fiele.

«Voglio solo essere sicura che sfuggiremo abbastanza ai cacciatori per riuscire nei nostri intenti, ecco tutto», avvertii il tremito delle mani prima ancora che queste iniziassero a tremare. Accolsi il presagio e nascosi le dita nel giubbotto.

Il Rinnegato #wattys2017Where stories live. Discover now