XXXIV

26 4 0
                                    

«No!», mi scrollai di dosso il cacciatore e con uno scatto tentai di rimettermi in piedi.
Le gambe molli mi fecero crollare giusto di fronte al corpo del mercante sotto cui si era già formata una scarlatta macchia di sangue la quale si espandeva ogni secondo che passava.
«No, no...», gli afferrai i lembi insanguinati della camicia azzurrognola, lì dove il proiettile aveva seguito il suo percorso. Mi piegai sulla sua carne, strinsi tra le mani il tessuto impregnato e poggiai la testa tra il collo alla spalla, alla ricerca di anche una sola pulsazione, anche se sapevo già che non sarebbe accaduto.
«No», mi morsi l'interno della guancia per non piangere e la lingua per non continuare il mio ormai inutile lamento. Mi tirai su con il capo, rimanendo in ginocchio, ed alzai lo sguardo; gli occhi seguirono i movimenti rigidi dei palazzi e delle bancarelle abbandonate nella fretta della fuga.
Rimasi a guardare il cielo ingrigirsi ancora di più negli spazi tra un edificio e l'altro.
Contro la resistenza del mio stesso corpo, allungai un braccio all'indietro, aprendo la mano alla ricerca di quella del cacciatore che, come sospettavo, non tardò molto ad arrivare.
Sentii le dita risalire il polso scoperto, accarezzare il palmo e le tripartizioni delle dita, fino ad intrecciarsi a loro, sostando silenziosamente.
Chiusi gli occhi, riprendendo a respirare correttamente.
Sentii Nicolaj appoggiarsi alla mia schiena, rigido come una statua, mentre con l'altra mano mi afferrava la spalla.
«Nez», avvertii appena la sua voce.
«Va tutto bene», sussurrai, esausta, «alcune morti sono semplicemente necessarie», mi voltai a guardarlo, scostandomi appena dalla sua presa, «non è forse vero?»
Mi stupii del gelo nei suoi occhi in cui, ancora più sorprendentemente, vidi riflesso il mio.
Nicolaj si separò dalla mia mano, cancellò quell'ultimo contatto e fece un passo indietro, indeciso se dare o meno la propria risposta.
«Era un messaggio per noi», aggiunsi successivamente.
«E allora perché mandare un cecchino?», la voce di Nicolaj era bassa, titubante quasi.
Sembrava temesse di potermi rompere con una sola parola, pronunciata in un determinato modo ed in un determinato contesto. Sembrava temesse di vedermi crollare, ancora una volta.
Un'altra morte, la voce bisbigliò dentro di me, un altro nome nella tua lista di morte.
«Il cecchino serviva a darci un imput», risposi seccamente, tentando di scrollarmi di dosso il peso di quell'ultimo pensiero.
«Mettere in pericolo degli innocenti per farci agire come dei cacciatori», vidi un'ombra di sorriso troneggiare sulle sue labbra, «e se consideriamo che i cacciatori sono dalla parte dei giusti, beh, questo sembrerebbe proprio un comportamento da "buoni"».
Mi voltai verso il corpo a terra ma chiusi gli occhi per cancellare quell'immagine. Ancora in ginocchio chiusi i pugni contro l'asfalto.
«Quest'uomo è morto per quello stupido messaggio!», mi ritrovai ad alzare la voce, stringendo le palpebre più forte che potevo.
«Quest'uomo è morto per qualcosa in cui credeva», Nicolaj tornò calmo, imperturbabile.
Quel comportamento iniziava a darmi sui nervi, non riuscivo più a tollerarlo.
Mi alzai con uno scatto, voltandomi nella sua direzione, furiosa.
«Perché continui a difenderlo? Quest'uomo si è appena tolto la vita!», urlai, sentendo la rabbia trascinarsi fuori da me, liberandosi come un covo di serpenti velenosi.
L'espressione di Nicolaj tradì la sua reazione. Vidi i suoi occhi spalancarsi, diventando grandi e lucidi. Le narici s'ingrossarono ed aria pesante e spessa gli entrò dentro. Le labbra si serrarono per un istante prima di urlare : «Perché l'avrei fatto anch'io se fossi stato al suo posto!»
Accusai il colpo, dandogli le spalle per non guardare il volto del cacciatore.
Mi portai una mano davanti al viso, mordendomi il pollice per evitare di rispondergli.
Di nuovo, i miei occhi si spostarono sulla spaccatura tra due palazzi, in cui le nuvole sembravano ingrossarsi sempre più, inglobando tutto ciò che si trovava sul loro passaggio.
L'aria era umida, elettrica, mi confondeva e ci metteva l'uno contro l'altro, scatenando il peggio di noi.
«Agnese», la voce di Nicolaj era ora morbida e liscia come velluto, mi avvolgeva completamente senza nessuna possibile via d'uscita. Lo avvertii muoversi, avvicinarsi.
Alzai una mano per frenarlo, «Non dirlo, Nic. Non farlo».
Non osai voltarmi, né guardarlo.
Volevo semplicemente sentirlo tacere e proseguire nella nostra missione.
«Perché, è così strano sentirmelo dire?», tacque, solo per un istante, «Sono sicuro di avertelo già detto, e più di una volta!»
Sentii la sua mano muoversi ma, sapendo che non mi sarei voltata, ritornò ben presto al suo posto.
«Nic», bisbigliai ma non potei fermarlo.
«Io credo in te», disse ed io non potei far altro che chiudere gli occhi.
Non gli risposi ed attesi, nella mia mente, il suono familiare di quella voce che, presto o tardi, avrebbe rovinato quelle parole. E poi, mi resi conto, questa non sarebbe arrivata; non avevo bisogno di quella voce per distruggere quella fiducia. Bastavo semplicemente io.
Così rimasi in silenzio e sentii il cacciatore sospirare, senza però scoraggiarsi del tutto.
«Allora, cosa facciamo?», chiese ed allora fui costretta ad aprire gli occhi, a trovare la forza di reagire. Aprii la bocca, lasciai fuoriuscire il respiro.
Aprii gli occhi e guardai fisso avanti a me dove, poco prima, la folla si era diretta, trascinando con sé il cecchino. Era lì che saremmo andati.
Proteggono qualcosa, qualcuno.
Uomini comuni, senza uno scopo.
«Andremo alla Volpe Amorosa», dissi, «troveremo Qiang Yi» e poi, dopo un lungo respiro, «e poi lo uccideremo».

Il Rinnegato #wattys2017Donde viven las historias. Descúbrelo ahora