Saretta95

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Salve ragazzi. Questo è il mio primo memoriale. Non ho conosciuto molta gente qui e mi dispiace per questo, ma le poche persone che mi hanno parlato mi hanno lasciato un segno indelebile e per questo le ringrazio. Ma non sono qui a scrivere nome su nome e dolcezze su dolcezze. Non sono qui per parlare delle persone che ho conosciuto, delle emozioni che ho provato. Non sarò qui a ricordare i momenti più belli, quelli più brutti o quelli più imbarazzanti. È una confessione. Sono qui per parlarvi del mio segreto.

Cominciò tutto all’età di 7 anni, quando mi accorsi di essere capace di disegnare qualsiasi cosa volessi. I miei genitori ne erano fieri, le mie amiche invidiose e le mie insegnanti molto sorprese. All’inizio mi incentravo molto sui paesaggi. Disegnavo montagne, vallate, colline, fiumi, ghiacciai e anche palazzi, negozi e case a due piani (le mie preferite).

Fin qui tutto bene, notai però che quando disegnavo una forma strana di una nuvola (che mi inventavo) subito dopo aver finito, guardando in alto, trovavo sempre la stessa identica nuvola che stava lì proprio davanti a me, su quel foglio. Poi cominciai a interessarmi alle persone.

Sai, crescendo si è meno superficiali e facciamo caso ai particolari. Per tanto mi attiravano i movimenti, i vestiti, gli atteggiamenti. Ed erano quelli che disegnavo, o meglio quello che cercavo di far spiccare nei miei disegni. E così mi inventavo dei bambini che giocavano in un immenso prato, un pallone che rompeva un vetro, una signora vestita bene che camminava in strada, un cagnolino che faceva i suoi bisogni vicino a un albero e tanti altri.

Ma ne ero stufa, non mi venivano bene. Non avevo modelli davanti a me da cui trarre spunto per una linea giusta o per controllare le proporzioni. Ero sempre nella mia cameretta o fuori al terrazzino che dava su una terra abbandonata, quindi non avevo molto da guardare. Così decisi di disegnare fuori casa. Avevo 12 anni, i miei genitori mi davano il permesso di uscire e andavo in giro, alla ricerca dei miei modelli. La prima volta mi sedetti fuori ad un bar, cacciai dallo zaino i miei fogli e le mie matite e cominciai a cercare con gli occhi, mentre bevevo il mio succo d’arancia. Trovai una coppietta su una panchina, si tenevano per mano mentre si baciavano. Li trovai molto carini e cominciai a disegnare.

Quando il disegno fu quasi terminato, un movimento sbagliato del mio braccio fece cadere il succo d’arancia sul foglio. Cercai di pulire alla bene e meglio, ma la pietrite si era sparsa e al posto del bel quadretto c’era una macchia grigia e arancione. Mi venne da imprecare, ma mi resi conto che era inutile. Quindi guardai di nuovo dalla parte dei piccioncini, quasi con il timore di averli disturbati.

Beh… erano scomparsi. Attraversai un periodo buio della mia adolescenza. Ormai non toccavo più matita e foglio, così i miei genitori si preoccuparono. “Se Sara non vuole disegnare, c’è qualcosa che non va.” Andai da uno psicologo e dopo parecchie sedute mi disse che molto probabilmente la mia depressione non aveva un motivo, che era genetica e non ci potevo fare niente. “L’unica cosa che può tornarti utile è ritornare a disegnare.” Presi in mano i miei fogli e le matite e decisi di disegnare la prima cosa che mi venisse in mente. Disegnai un fiore. E indovinate, ragazzi… ero sul terrazzino, guardai il pezzo di terra abbandonata e proprio nel mezzo era nato un fiore.

Lo stesso identico fiore che stava lì davanti a me, su quel foglio! Mi venne il dubbio che potessi dare vita a cose solo disegnandole, così da quel giorno provai e riprovai e ogni volta succedeva. Quello che stava sul foglio si materializzava intorno a me. I giorni passarono, la depressione peggiorò e io non pensavo ad altro che a cose mostruose. E quando cominciai a sognarle, era troppo… non ne potevo più, dovevo disegnarle! La prima volta sognai un’ombra che colava dalla mia finestra, come fosse una macchia di petrolio, poi si sollevava dal pavimento a formare una massa nera e informe che strisciava verso il mio letto. Mi svegliai di colpo e mi feci un gran pianto. Dopo ebbi l’impulso irrefrenabile di disegnare, ma ero combattuta. Sapevo che era pericoloso! Non ce la feci. Dopo aver finito il disegno qualcosa mi disturbò: il rumore di un qualcosa di appiccicoso che cadeva in terra. Mi girai di colpo e vidi quella macchia viscida prendere vita e venire verso di me. In preda al panico urlai, non sapevo cosa fare, poi decisi di prendere un accendino che avevo lasciato sulla scrivania e di bruciare il foglio. Improvvisamente una fiamma enorme esplose nella mia stanza e urlai ancora più forte. Buttai il foglio a terra e lo pestai in fretta, con la speranza di fermare l’incendio. Le fiamme cessarono e quella cosa sparì nel nulla. Passò un po’ di tempo, durante il quale continuai a sognare cose del genere e continuai anche a disegnarle, ma ormai mi ero trovata un espediente per non far prendere loro vita. Ci sono molti altri disegni come quello della macchia di petrolio, non immaginate quanti. Non dormivo quasi mai, ma non aveva importanza: anche solo cinque minuti bastavano per far esplodere il caos nella mia testa… e nella mia stanza. Ho disegnato ombre, sangue, buchi neri, spiriti, demoni, l’inferno! Sono tutti attaccati ai muri della mia stanza, al mio armadio, perfino alle finestre. Ma... non è successo ancora niente di tutto ciò. Perché? Ho scritto una data

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