16 / Sogni (Prima classificata al #MonthShot Ottobre)

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Alessandria, Egitto, 12 agosto 30 a. C.





Nel cielo di Alessandria non vi erano stelle, quella notte: solamente scintille. Danzavano come lucciole intorno alle torri dei palazzi, e quando la regina le guardava riusciva quasi a ignorare le grida strazianti che avvelenavano l'aria da giorni.

Non era soltanto la sua città, quella che stava cadendo a pezzi davanti a lei: era il suo cuore, il suo corpo, la sua anima. Aveva visto il faro crollare sotto i colpi delle navi da guerra, e aveva gridato come se le avessero spezzato una gamba. Aveva assistito alla presa delle mura interne, e si era sentita addosso le rudi mani dei soldati. Aveva osservato le fiamme lambire i tetti di paglia delle case, e aveva distintamente avvertito il calore del fuoco sulla sua pelle d'ebano. Erano ormai tre giorni che continuava a fissare ciò che rimaneva di Alessandria dal balcone della reggia.

«Vi scongiuro...» La voce esitante di Faiza le scivolò nelle orecchie come una nenia fastidiosa. «Dovete mangiare qualcosa.»

«Vattene, Faiza. Hai già fatto abbastanza.»

La schiava numida poggiò il cesto di vimini sul davanzale. «Sono solo fichi dolci di Naucrati, mia signor...»

Le dita della regina strette attorno al suo polso le fecero morire in gola l'ultima lettera.

«Ti ho detto di andartene, stupida sguattera. Perché non mi obbedisci? Perché?» Un paio di occhi nerissimi e allungati con l'antimonio la squadrarono da capo a piedi, per poi arrestarsi sulla salma distesa alle sue spalle. «Vuoi forse finire come lui?»

Faiza scosse la testa, le lacrime che già premevano per rigarle le guance. «M-mia signora...» riuscì a stento a balbettare, prima che la padrona la spingesse lontano seguita dal lugubre tintinnio dei gioielli.

I bagliori proiettavano danze di ombre sui battenti del portone. Era stata la regina stessa a comandare di lasciarlo ben spalancato: tenerlo chiuso non sarebbe servito a nulla contro l'esercito della Repubblica. In questo modo, invece, almeno la servitù avrebbe trovato una sicura via di scampo.

«Questo è il mio ultimo ordine per te, Faiza...» mormorò la regina tornando a posare le dita inanellate sul parapetto. L'olezzo del fumo e della carne bruciata misto a quello degli oli con cui avevano cosparso la salma l'inebriavano a tal punto da farle mancare il respiro. «Fuggi e non tornare.»

Faiza si portò le mani al petto palpitante sotto gli amuleti d'ambra e d'avorio. «Questo... questo significa che sono libera?»

«Sì» mentì la regina. Era chiaro che Faiza avrebbe vissuto da schiava fino alla fine dei suoi giorni. Quella che le aveva offerto non era che una libertà illusoria, a breve termine: sarebbe svanita con lo spuntare della nuova alba, un'alba rossa come il sangue e i vessilli di Roma. Eppure non aveva avuto il coraggio di dirglielo, proprio lei che era divenuta celebre per la sua crudeltà proverbiale. «Vedi di non deludermi stavolta.» Non si voltò di nuovo a guardarla, non più. Ormai non aveva occhi che per la sua Alessandria ridotta ad un cumulo di cenere. «E che Iside abbia pietà di te.»

Non udì risposta da parte di Faiza, ma i passi incerti della schiava sul pavimento di marmo le diedero un sollievo che credeva di aver dimenticato ormai da tempo. Almeno lei avrebbe continuato a vivere. Almeno lei, la piccola, sciocca Faiza.

Ricordava ancora il giorno in cui l'avevano condotta a palazzo: una bimba sporca e denutrita gettata in catene di fronte al trono, in mezzo ad un altro centinaio di prigionieri di guerra. Era stato Antonio a portarglieli, come pegno della sua lealtà. Curioso che Giulio avesse fatto lo stesso qualche anno prima, convinto di poter comprare il suo cuore con doni spropositati. La verità era che entrambi l'avevano viziata troppo e amata troppo poco.

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⏰ Last updated: Nov 01, 2016 ⏰

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