~9~ Princeps legionis

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Sfiorai il dorso di pelle scura del libro, saggiando piano il rilievo delle lettere dorate che ne costituivano il titolo: Far From the Madding Crowd, di Thomas Hardy. Il nome dell'autore solleticava qualcosa nella mia memoria, rimembranze di lezioni di letteratura che avrei dovuto seguire con maggiore attenzione. Era un testo abbastanza antico da poter essere una prima edizione: sospettavo che molti dei  volumi contenuti in quegli scaffali fossero di inestimabile valore.

La biblioteca della Residenza del Reggente era un ambiente silenzioso, dove aleggiava un lieve sentore di carta invecchiata e polvere leggera. Le pareti erano completamente rivestite da scaffalature di legno lucido che s'innalzavano fino all'alto soffitto affrescato, dove fanciulle vestite di stole candide sbirciavano verso il basso.

Avanzai nell'ampia sala ammirandone le antiche tende di broccato e il modo in cui i panneggi preziosi catturavano la luce, riflessi d'oro quasi liquidi che svanivano al minimo movimento di chi guardava.

Un divano di pelle scura troneggiava su un tappeto di lana e seta, antico quanto i volumi racchiusi nella sala, davanti ad un camino di pietra.

Ciocchi di legno impolverati facevano mostra di sé già impilati nel focolare, nell'attesa che qualcuno vi accendesse un fuoco. Sull'architrave in pietra levigata era inciso un blasone che sfiorai con le dita: uno scudo medievale con al centro un iris, trafitto da una daga dall'impugnatura sinuosa.

«Ti sei mai chiesta perché i vampiri si scelgano dei Compagni?»

No, non l'avevo fatto, e avrei dovuto. Mi ero trincerata dietro le mie certezze e forse, se invece di liquidarti con un'alzata di spalle e un commento sagace ti avessi ascoltata davvero, sarei stata più preparata.
Oh Cami, mi dispiace così tanto.

Era talmente semplice immaginarla seduta su quel divano, china su un libro e coi capelli a farle da velo gentile contro la realtà.

Talmente semplice, e così insostenibilmente doloroso.

Quasi senza accorgermene la mia mano fu sulla piccola protuberanza del maglione, là dove la perla premeva contro lo sterno.

Chiusi gli occhi, cercando d'imbrigliare le dolorose fitte che erano diventate il mio respiro, scoordinato e spezzato, concentrandomi sull'odore familiare della carta stampata e del legno.

Non avevo mai amato le biblioteche, eppure erano il luogo in cui avevo passato più tempo in assoluto, nell'attesa che Cami sollevasse lo sguardo e mi sorridesse.

Il vuoto nel mio petto minacciò di soffocarmi, così inspirai ed espirai piano.

Uno scricchiolio del vecchio pavimento mi fece sobbalzare, ma non c'era nessuno. Sebbene splendidamente curata era evidente che la Residenza fosse antica, quindi immaginai che spifferi e scricchiolii fossero all'ordine del giorno.

Non potei fare a meno di domandarmi cosa stesse facendo Gareth. Da quando era entrato prepotentemente nella mia vita, sembrava che la mia mente non facesse altro che prendere quella direzione.

Quella mattina, dopo essermi svegliata senza la catena attorno al polso, mi ero diretta verso il piccolo salone attiguo alla camera da letto, ed era lì che l'avevo trovato. Così, mentre imburravo il mio pane tostato senza parlare, lui leggeva con aria pensierosa documenti che Sara mano a mano gli porgeva, il più delle volte ricevendo in cambio uno sbadiglio teatrale e una firma svolazzante.

Terminata la mia colazione, ero rimasta a guardarlo abbastanza a lungo da convincermi che Ambrose avrebbe fatto meglio a trovarsi un nuovo collaboratore – o qualsiasi fosse la mansione che svolgesse Gareth, dal momento che non mi era ancora chiara – quando lui aveva alzato gli occhi cremisi su di me, gelandomi sul posto.

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