Capitolo 5

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Alla fine ho passato tutto il pomeriggio a leggere e impacchettare le ultime cose rimaste che penso possano essermi utili durante il periodo che passeremo in Canada. Ho optato per lasciare qui tutti i soprammobili, anche perché sarebbero dei pesi inutili.
Sono andata a dormire presto e i miei pensieri rabbiosi erano indirizzati a Dylan, anche se probabilmente voleva solo insegnarmi qualcosa di utile.

Al suono della sveglia non mi alzo, ma rimango a poltrire ancora un po', rigirandomi tra le lenzuola sottili. Sento un ticchettio sul pavimento e giro la faccia verso il muro, perché so benissimo che se Felpato entra in camera mia mi lecca la faccia, e la cosa fa abbastanza schifo. Il suo muso si intrufola tra le coperte e annusa tutto con estrema curiosità. Non so perché ma sentire che qualcuno mi cerca tutte le mattine, anche se è il mio cane, mi fa piacere, quindi mi giro e lo coccolo un po', prima di alzarmi e scendere in cucina per prepararmi un caffè. Felpato mi segue con calma, scodinzolando e sbattendo la coda sulle pareti, facendo un casino immenso. Papà esce dalla sua camera al piano terra ciondolando, nel suo pigiama scozzese. 
Sono le tre del mattino, fuori dalle finestre il cielo è completamente scuro e riesco a intravedere le stelle più luminose, anche se all'orizzonte spuntano delle nuvole che minacciano il cielo così sereno.
Accendo la macchina del caffè e metto sul fornello il bollitore con l'acqua per il thè di papà.
-A che ora abbiamo l'aereo?- Domando sbadigliando. Papà spalanca gli occhi e batte le palpebre un paio di volte per poi sedersi a tavola. -Partiremo alle 7. Ma scommetto che ci sarà sicuramente un margine di tempo per eventuali ritardi.
-Ok, va bene. Vuol dire che avrò tempo di farmi una doccia e sistemare le ultime cose per bene.- Mi faccio il caffè, lo bevo velocemente e poi verso l'acqua calda in una tazza, poggiandola sul tavolo. Papà mi ringrazia con voce flebile e io esco dalla cucina, diretta al bagno. Faccio una doccia veloce e mi trucco leggermente con un po' di mascara, a delineare i miei occhi talmente scuri da sembrare neri e leggermente tristi. Poi il tocco finale: un rossetto rosso scuro.
Mi fiondo in camera e mi vesto con le cose che ho scelto ieri pomeriggio, spaventosamente colorate. Intimo neri, jeans leggeri e neri, canottiera nera e all star nere. Mi volto a osservare la mia camera un'ultima volta e appese al muro noto le mie collane. Porcaccia! Come ho fatto a dimenticarmene? Le afferro e le infilo nello zaino che mi porto per il viaggio, con dentro una felpa, l'IPod e i miei amati libri. Ne tengo solo una, che indosso subito, una fascia di velluto con un pendente d'argento a forma di mezzaluna, piena di brillantini. Avvolge per bene il mio collo e lo slancia. Esco dalla camera e la chiudo con più forza del necessario, forse per autoconvincermi che uscire da questa casa non sarà così traumatico come invece mi sembra.
Sento un tonfo provenire da dentro e la cosa mi preoccupa. Riapro la porta e faccio vagare lo sguardo, finché non trovo la fonte che ha causato il rumore. La carta da parati con i motivi cachemire che decora il muro accanto all'armadio si è scollata definitivamente – nel punto sopra c'è un appendino su cui metto tutte le giacche e quindi la carta era sempre coperta –, lasciando un buco enorme nel muro. A terra c'è il rimasuglio di carta, ma quello non può aver fatto tutto il rumore che ho sentito, così lo tiro su e lo butto nel cestino, non prima di aver notato un libro massiccio spiccare sul pavimento.
Lo prendo tra le mani, sembra un libro normalissimo, abbastanza vecchio e con la copertina sdrucita. Appena lo apro vengo percorsa dai brividi. È una cosa strana... rabbrividisco solo quando provo delle emozioni molto intense e profonde, ma non capisco cosa sto provando in questo preciso momento. Sfoglio le pagine con delicatezza e trovo delle ricette. Sembrerebbe un libro di cucina, ma a uno sguardo più approfondito noto degli ingredienti molto particolari come fiori, erbe, radici, perfino minerali.
-Sienna, muoviti! Aspettiamo solo te.- Sobbalzo quando papà mi chiama, ma mi affretto a mettere via il libro nello zaino con cura e scendo le scale di corsa. -Si può sapere cosa ci facevi di sopra?-
Stringo la bretella dello zaino in modo nervoso. -Avevo dimenticato le mie collane.- Non so perché gli sto tenendo nascosto quel libro, so solo che l'istinto mi avverte di non farne parola con nessuno.
-E ci hai messo così tanto tempo?- Non si fa sfuggire nulla vedo, anche se mi stupisco di essermi persa via così tanto. Guardo l'orologio sul muro della cucina e noto che sono le 5:45. Non va affatto bene, no, assolutamente.
Abbasso la testa e annuisco. -Ho salutato la mia camera.-
-Capisco.- E so che capisce davvero, anche dal tono dolce in cui lo dice. È la prima volta che mi trasferisco per un così lungo periodo di tempo, abbiamo soggiornato in giro per l'Italia e l'Europa, ma si trattava di periodi brevi, al massimo due settimane. Lui è abituato, per me invece è tutto nuovo e spero di non farne un dramma.
Papà chiude la porta di casa in modo definitivo e ci avviamo all'auto, dove sono già seduti Roberto e Dylan, rispettivamente davanti e dietro. Mi siedo dietro, il più possibile lontano da Dylan, e guardo fuori dalla finestra mentre il cielo si oscura e comincia a piovere. Tiro fuori l'IPod dalla tasca esterna più piccola e faccio partire la musica a tutto volume, palesando la mia non voglia di parlare. Vorrei tanto aprire il libro che ho trovato in camera mia, ma sento di non doverlo fare, allora prendo un libro a caso dallo zaino e vado avanti a leggerlo, perdendomi tra le pagine. Passo tutto il viaggio in silenzio, senza spiaccicare parola, anche se sento che parlano tra di loro, ogni qual volta finisce un brano e ne comincia un altro. Sono talmente invischiata nelle vicende della protagonista che quasi non sento papà battermi una mano sulla spalla. -Siamo arrivati, tesoro.-
Alzo la testa dal libro e lo metto via, osservando il parcheggio dell'aeroporto di Milano Malpensa. È grigio, grandissimo e puzza enormemente di smog. Uno schifo insomma.
Ci dirigiamo all'interno e le luci bianche mi infastidiscono gli occhi, costringendomi a tenere lo sguardo incollato a terra. Passiamo i vari controlli, il metal detector e ci facciamo lentamente largo tra la marea di gente che affolla il duty free che siamo obbligati a passare. Incredibile come tutta questa gente sia attiva e raggiante alle 6 del mattino, mentre io, cerebralmente, sono ancora rincoglionita.
Ci fermiamo al bar a fare colazione e prendo un caffè. Non che serva a svegliarmi, ma lo bevo perché mi piace e ho fame, ed è l'unico metodo in cui posso bere abbastanza zuccheri in modo da mettere in moto almeno un pochino il mio cervello sonnolento. Finita la colazione vedo Roberto squadrarmi con fare disgustato e allora sposto lo sguardo sui miei vestiti, per vedere se ci sia qualcosa che non va. Dopo un controllo accurato rialzo lo sguardo e inarco un sopracciglio nella sua direzione. Lui fa un versetto sprezzante e poi si volta, senza più degnarmi di un'occhiata.
Giuro che non lo sopporto quando fa così. Ma chi si crede di essere, il re del mondo? Una delle soluzioni migliori che ho adottato negli ultimi anni verso di lui è stata l'indifferenza. Sempre meglio così che cominciare una discussione con un adulto che potrebbe ucciderti senza farsi tanti scrupoli.
Osservo la gente intorno a me e penso a quanto sono fortunata, perché non cambierei mai la mia vita da sicario per una vita da adolescente come quelle dei film, tutte feste, alcol e ragazzi.

L'orma del lupoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora