Capitolo II: Autocontrollo

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Sono passate 3 ore dalla morte di Anastasia, ho preferito non partecipare alle lezioni successive, il professore ha capito e mi ha lasciato andare senza problemi. Ho informato io stesso i genitori. Tornato a casa casa con l'autobus mi sono fatto una doccia per far andare via un po' di sangue e per rilassare i nervi ormai andati a quel paese. La professoressa responsabile dell'omicidio è sotto tutela in ospedale, in seguito verrà trasferita in carcere. Era molto brava e simpatica prima, chissà che le è preso. L'anello è stato la causa o solo una scusa dello scatto di violenza? Vorrei tanto saperlo, ma non credo che i poliziotti mi daranno delle informazioni. E se chiedessi direttamente a lei? È un'idea da pazzi ma potrebbe andare bene. Mi ha tolto una persona molto importante, che almeno mi dia delle spiegazioni. Vado allo specchio per asciugare e sistemare i capelli, ma quando il vetro si spanna e riesco a scorgere il riflesso dei miei occhi ricordo quasi immediatamente quella scintilla di colore blu intenso che andava piano piano a indebolirsi negli occhi della professoressa, o meglio ex professoressa, nessuno la assumerebbe più dopo quel che è successo. Oggi pomeriggio andrò a trovarla al reparto psichiatria durante l'orario per le visite, spero solo non le venga un altro attacco isterico. Effettivamente non so nemmeno come presentarmi, potrei provare con un "Ehi lei, stronza!" No, troppo diretto anche per lei. Va bene, non importa, oggi pomeriggio si vedrà.

L: Mamma, potresti accompagnarmi in ospedale alle sei? - chiedo avvicinandomi lentamente

M: Oddio, che fu? Ti sei fatto tanto male? Ti porto subito? Colpa di quella professoressa, vero? Se la prendessi la amm... - okay, è partita.

L: Mamma... quanto caffè hai bevuto oggi? sembri un po' troppo agitata. Comunque io sto bene, è per la professoressa che voglio andare.

M: Ma tu sei impazzito, non ti ci porto! - dice gesticolando con le mani quasi come se stesse cercando di acchiappare una mosca

L: Perché no?

M: Metti che poi le acchiappa la fantasia e comincia a menarti.

L: Mamma, ho saputo contenerla una volta, sono più forte. E poi saremo in un ospedale, non succede mai niente in ospedale!

M: Va bene, ti porto. Ma solo se ti iscrivi in piscina in estate.

Facendo un sospiro molto profondo rispondo con un sì molto forzato e mi preparo per andare a fare la visita. Non fraintendiamo, mi piace nuotare, ma sono molto pigro, nonostante abbia frequentato la piscina per ben otto anni. Non mi trovavo più bene con i compagni e con me stesso ed ho deciso di mollare.

Arrivato in ospedale chiedo informazioni, dopodiché mi dirigo al secondo piano nella stanza C4, ovviamente collego subito questa stanza ad una bomba e alzo un angolo delle labbra per provare a fare un sorriso, ma quello che ne viene fuori è molto più simile ad una smorfia. Busso quattro volte con la mano destra ed entro senza pensarci due volte. Lei è lì, sdraiata sul lettino bianco dell'ospedale, sposta lo sguardo verso la mia direzione per poi chiudere gli occhi e tornare a fissare il soffitto, quasi come se già sapesse cosa ho da dirle. Beh, in effetti non è difficile immaginarlo. Non voglio essere pesante con lei comunque, sento che in lei non c'è della cattiveria.

L: Buonasera professoressa- dico delicatamente

-Chiamami pure Dora, non sarò più la tua professoressa, puoi darmi del tu.- ormai è rassegnata, la sua voce è fredda e calma.

L: Come preferisci Dora, come stai?

D: Secondo te come sto? Sono distrutta, la mia carriera è finita, il mio futuro rovinato e tutti mi odiano, non che io li biasimi.

L: Capisco, scusa la domanda stupida.

D: Tranquillo, sei il primo che me lo chiede e lo apprezzo molto.- È simpatica come ricordavo, nessun accenno alla violenza e soprattutto nessuna scintilla blu negli occhi.

L: Dunque... ti va di parlare? - I suoi occhi si girano verso di me e diventano lucidi quasi quanto il pavimento bianco.

D: Leandro... non hai niente di meglio da fare?

L: Attualmente niente che mi interessi- mi avvicino al lettino e mi siedo accanto a lei. Prende un lungo respiro per calmarsi e da sdraiata alza la schiena per poter parlare faccia a faccia.

D: Dunque, cosa vuoi sapere?

L: Mi stai dicendo che sono io quello a cui tocca fare le interrogazioni adesso? - per un attimo l'ho vista sorridere e l'ho fatto anche io - D'accordo allora. Cos'è successo esattamente quando hai visto l'anello?

Il suo sguardo adesso puntava verso il basso, come per vergogna.

D: Non lo so di preciso, credo che gli avvenimenti recenti mi abbiano un po' travolta...

L: Quali avvenimenti?

D: Devo raccontarti tutto dall'inizio, spero tu abbia la pazienza di ascoltare una povera pazza come me.- annuisco con certezza per incoraggiarla - Tutto è cominciato quando ho conosciuto una persona in piscina. Non credevo ci saremmo frequentati fino a diventare... beh, amanti. -dice con un piccolo sorriso malinconico sul volto - Il nostro rapporto è cresciuto fino a fare cose che una donna sposata non dovrebbe fare con altri uomini all'infuori del suo. Mio marito ci ha scoperti due settimane fa e da allora non mi da pace, mi ha anche violentata ed ha cominciato a seguire i miei movimenti a mia insaputa, così è arrivato al mio amante.

Due uomini che litigano per una donna, uno che uccide l'altro, potrebbe essere?

L: ... È successo tutto vicino ad una banca, vero? Ho visto la scena, mi sono occupato anch'io di chiamare i soccorsi. Mi dispiace un sacco.

D: Non ti dispiacere per me. Dei due quello che è morto era il mio amante. Ora mio marito è in carcere e mi ha giurato che appena mi vedrà mi farà rimpiangere di essere nata. Non ci voglio andare in quel posto. Ho buttato via la mia fede e non volevo più vedere un anello in vita mia. Ho passato la notte peggiore degli ultimi 20 anni e quando ho visto Anastasia con quell'anello in me è scattata una scintilla. Non riuscivo a controllarmi. Non riuscivo a trattenermi. Non sentivo niente. Così ho preso quella penna e l'ho infilzata più e più volte. Mi dispiace. Mi dispiace...

Conclude le sue parole in lacrime e, non sapendo cosa fare, stringo il suo corpo esile in un abbraccio, quello più caldo che posso dare. Sapevo che in lei non c'è stato niente di male. Alcune persone non sono cattive, ma infelici. Non credo sappia qualcosa della scintilla blu nei suoi occhi. Dopo qualche minuto smette di piangere.

D: Tu e Anastasia stavate insieme? - Non mi aspettavo questa domanda

L: No, eravamo solo amici, niente di più.

D: Eravate sempre così uniti e pensando all'anello sembrava quasi che lo foste.

L: Ho abbandonato quell'idea molto tempo fa. - non ho idea del perché le stia raccontando quello che provavo, forse solo per farle compagnia parlando di qualcosa, o forse perché ne ho bisogno - Al primo ero molto affascinato da lei, provavo ad attirare il suo interesse ma a quanto pare nulla di me era mai abbastanza. Heh... ho imparato ad accettare l'idea di non essere fatto per lei e mi sono accontentato di rimanere suo amico, tutto qui.

D: Non mi perdonerai mai, vero? - all'inizio sto in silenzio per cercare le parole giuste per esprimere ciò che penso

L: So che non eri in te, Dora. E poi, ho visto nei tuoi occhi una scintilla blu, so che può sembrare strano ma credo che non eri nel pieno controllo e non l'hai fatto intenzionalmente. Sebbene sia triste per la sua morte e confuso non posso non perdonarti. Purtroppo non puoi evitare il carcere e questa sarà l'ultima volta che ci vedremo da qui a qualche annetto. Magari ogni tanto potrei venire a farti visita, okay? Stai tranquilla, andrà tutto bene.

D: Grazie Leandro, di tutto.

L'infermiera entra nella camera e comunica che l'orario delle visite è terminato. Prendo il giubbotto che avevo appeso all'ingresso e dopo aver salutato raggiungo la fine del corridoio. Arrivato al piano terra raggiungo il grande portone in ferro e plastica ed esco. È già buio, fortunatamente l'ospedale ha delle luci esterne. Sento delle urla venire dall'alto che mi fanno raggelare il sangue. Risalgo le scale di corsa e ritorno in quella maledetta stanza.È stata l'infermiera a gridare ed aveva tutti i buoni motivi per farlo. Quando sono entrato l'ho vista a terra col cranio fracassato e col muro sporco del suo sangue. Come per istinto mi avvicino e le giro la testa. Non respira più, è stata una cosa molto veloce. La guardo negli occhi, in quei bellissimi occhi scuri adesso blu come il mare in un caldo giorno d'estate.

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