chapter three.

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Mi manchi gli aveva detto. Non che bella giornata, non il caldo è veramente afoso oggi, non cosa ne pensi del locale?

Lo aveva guardato dritto negli occhi e gli aveva detto un chiaro e sonoro mi manchi.

Claudio era ancora seduto sulla sedia, spalle dritte, volto perso nel nulla, e nella sua testa echeggiavano quelle due parole che allo stesso tempo gli trafiggevano il cuore e gli bucavano lo stomaco. Sentiva un peso, una pressione all'altezza del torace, era insopportabile. La sua mente continuava a fare rumore, a confondergli le idee. Sospirò e poi deglutì e cercò la forza di alzarsi da quella sedia e entrare in quella stanza. Mario non aveva il diritto di comportarsi in questo modo, non poteva dire quella cosa e poi pretendere di sparire nel nulla senza affrontarlo. Fissò intensamente quella porta, e mettendosi le mani sulle cosce si alzò. Sembrava avere le gambe di piombo: ogni passo era tortura, era dolore e sembrava durare all'infinito. Si avvicinò alla porta con sopra il cartellino bianco "entrata privata", poi bussò.

Il silenzio.

Bussò ancora ma dall'altra parte ricevette il più totale silenzio. Si guardò intorno e senza farsi vedere abbassò la maniglia, si stupì che fosse aperta e non chiusa a chiave. Poi entrò, col cuore in gola. Non aveva un discorso da fargli, voleva solo delle spiegazioni. Il locale era piccolo, stretto, colmo di scaffali pieni di alimentari. Al centro della stanza vi era una piccola scaletta, sopra ci era seduto Mario, le spalle curve e il viso rivolto verso il muro. Gli dava le spalle, ma dalla postura Claudio poteva ben intuire quanto quella situazione lo turbasse.

Non disse niente, nessuno dei due disse nulla. Mario sapeva, sapeva che in quella stanza era entrato Claudio. Forse per sesto senso, forse perché se lo aspettava o forse perché, nonostante siano passati degli anni, continuava ad avere il suo solito profumo che gli inebriava ancora tutt'ora i sensi. Sospirò, Mario, poi si passò la lingua sulle labbra e cercò di trovare il coraggio di dire qualcosa.

-Mi dispiace- disse semplicemente, la voce tremolante.

Non seppe mordersi la lingua e diede voce ai suoi più grandi pensieri. Gli mancava Claudio, non poteva prendersi più in giro. Gli mancava talmente tanto che gli era bastato vederlo per pochi minuti per poter precipitare profondamente nel baratro. Ma perché, poi, gli doveva mancare? Per sette anni non ha fatto altro che cercare di dimenticarlo, e per un periodo della sua vita ci era anche riuscito: aveva conosciuto Lorenzo, si era fidanzato con lui, avevano preso casa, avevano acquistato il locale e soprattutto avevano adottato dei figli. Si sentì male a quel pensiero, i suoi figli erano la cosa più importante di tutta la sua vita e in quel momento, dopo aver detto quelle due parole, sentiva di averli traditi, e sentiva di aver tradito anche il fidanzato.

-Perché?- rispose Claudio appoggiandosi alla porta chiusa alle sue spalle.

L'aria in quella stanza iniziava ad impregnarsi di sentimenti repressi, iniziava a stare stretta ad entrambi. Mario ancora di spalle, sospirò e tirò su col naso.

-Non se lo meritano, nessuno lo merita- sussurrò, più a se stesso che a Claudio, poi arrivarono le lacrime e singhiozzi silenziosi.

Mario era completamente nel pallone, non sapeva che cosa gli stesse succedendo, non sapeva il perché di quel suo comportamento. Continuava ad avere una lotta interna tra i sentimenti riaffiorati e la vergogna di aver tradito le persone a se care, tra l'aver ritrovato l'amore all'aver scoperto che ciò che provava per Lorenzo, probabilmente, era solo finzione.

Le gambe di Claudio ebbero un tremolio, voleva attraversare la stanza e abbracciarlo ma sapeva che sicuramente Mario l'avrebbe respinto o si sarebbe irrigidito ancora di più. Gli faceva male al cuore, quella situazione, andava sistemata immediatamente.

Sette anni.Where stories live. Discover now