Capitolo 12 - Solo un arrivederci

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Clara

Sono incinta. Aspetto un bambino, non uno qualsiasi, quello di Alberti.

"Congratulazioni" ripetè il dottore, ma né, io né lui aprimmo bocca per dire qualcosa.

C'era solo silenzio di tomba nella sala, il ramo di un albero batteva contro il vetro della finestra.
Non c'era gioia, niente che testimoni questa scoperta.
Gli occhi asciutti, inespressivi.

So che sto per diventare madre, che darò alla luce un bambino, ma neppure di fronte all'evidenza mi sento tale, perché una volta che uscirà fuori, io sarò solo una sconosciuta. Quel che c'è stato fra di noi, questa simbiosi, questo legame è solo una cazzata, e quando sarà svanito, sciolto per sempre resterà il vuoto. Non lo faccio per capriccio, quel che sto facendo non mi rende fiera.
Non ho scelto di partorire per il gusto di farlo, e quando penso al dolore che patirò per darlo alla luce, mi sembra di non respirare. Non avrei mai voluto scegliere questa strada, ma era il modo più veloce per ottenere la cifra.
O questo o aspettare la morte senza poter fare niente per evitarlo.

Chinai lo sguardo per osservare il ventre, ma non notai protuberanza, anche se sapevo che c'era, aspettava di venire fuori col passare dei mesi. E quel qualcosa
- pensai, portando una mano allo stomaco- cresceva di più, si nutreva dei miei pasti, giocava, si muoveva o dormiva.

"Facciamo un controllo per vedere come procede ..." disse il dottore, e Max annuii.

La sua mano mi afferrò un braccio. Distolsi il viso dalla pancia e lo alzai per incrociare i suoi occhi per la prima volta da quando avevo scoperto di essere incinta.
Un sorriso spuntò sulle sue labbra.
Lo seguii in quella stanza, dove il dottore mi aiutò a stendermi sul lettino, come se avessi già il peso della pancia ad impedirmelo.
Non ero una totale incapace, ero ancora agile e ... incinta.
"Dovrebbe calarsi un po' i jeans." mi ordinò, e con imbarazzo, armeggiai con due bottoni, sfilandolo.

Max si posizionò accanto a me senza stringermi la mano, con lo sguardo puntato al monitor. Il dottore spremette del liquido su una sonda e la inserì senza troppi indugi all'interno per monitorare la situazione.

Nei suoi occhiali scorrevano immagini distorte, nero ovunque.

"Eccolo qua. Non so se riuscite a vedere qualcosa ..."
Spostò il monitor verso di noi, e con un dito indicò a Max il punto esatto dove si trovava suo figlio.

"Vi presento il vostro bambino." sottolineò, e a questa parola ci guardiamo un attimo negli occhi.

Poi tornammo a fissare quell'esserino come se nulla fosse.

Max non si lasciò sfuggire l'occasione di fare domande abbastanza mirate: che cibi assumere nei primi mesi, quali attività, quali emozioni evitare, e altre curiosità che a me non interessavano. Guardavo lui, -o lei-, che viveva dentro il mio utero, cercando di trattenere le lacrime che volevano uscire.

Il medico mi fece scendere e segnò la nuova visita per il prossimo mese.
Questa era la vita di una donna incinta. Visite e check-up mensili.


Erano trascorsi due mesi da quando avevo scoperto di essere incinta. Io e Max non avevamo smesso di tenerci in contatto, più che altro era lui che chiamava tutti i giorni e mi veniva a fare visita un giorno sì e l'altro pure.
Era talmente premuroso da non concedermi più spazio. Ogni volta mi chiedeva se stessi male, se avessi qualche particolare voglia, se stavo riposando o mangiavo.
Era diventato insopportabile!
Si trattava di suo figlio, ma non ero così stupida da mettere a repentaglio la sua vita, salendo su una scaletta o prendendo borse pesanti.

 PATTO DI SANGUE (Completa) #Wattys2018Where stories live. Discover now