Testimoni inconsapevoli

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Quella sera, Eleonora pedalava senza pensieri. Sulla stradina che costeggiava il torrente, in sella alla sua bicicletta pensava alla giornata appena trascorsa. Le labbra disegnavano un sorriso incorniciato da un viso dolce e semplice, con il contorno occhi appena sottolineato da un tratto leggero di rimmel. Aveva scelto di lasciare sciolti i capelli, lunghi fin oltre le spalle e ancora luminosi nonostante le ore di lavoro scivolate via.

L'occasione che aspettava da mesi finalmente sembrava essere prossima a diventare realtà. Solo una firma, una formalità da mettere nero su bianco la separava da quello che professionalmente sentiva di meritare. Una promozione, un ruolo di assoluta responsabilità e di privilegio nell'azienda in cui era cresciuta, si era affermata e della quale adesso si sentiva un punto di forza, una risorsa importante, un leader. Sapeva alla perfezione quanto fosse stato complicato affermarsi in una società prettamente maschilista quale quella italiana, così il fatto di poter riuscire ad affermarsi davanti a molti dei suoi colleghi maschi, che ambivano al suo stesso ruolo, senza peraltro ricorrere a scorciatoie fin troppo conosciuti in quegli ambienti, la rendeva orgogliosa di se stessa come non mai.

Era bella, Eleonora. All'alba dei trent'anni non aveva ancora pensato di abbandonare la casa dei genitori, in quella villetta a schiera tanto in voga nella prima cintura di Torino nei primi anni novanta che l'aveva vista crescere. Non si era mai preoccupata più di tanto di apparire e forse anche per questo motivo non aveva ancora trovato una persona che le facesse battere davvero il cuore nel modo in cui lei sognava fin da quando era soltanto una dolce bimba. Non aveva fretta, del resto. Tutto, diceva sempre, sarebbe arrivato a tempo debito.

L'aveva vista arrivare da lontano. Una sagoma ogni istante più definita, accompagnata dal rumore del motore. A Eleonora piacevano molto le automobili, anche se non aveva mai smaniato per averne una di sua proprietà. Si accontentava sorridendo della vecchia Fiat Uno grigio fumo e mezza scassata del padre, ribattezzata Brontolo per gli innumerevoli scricchiolii dovuti all'usura del tempo, rimandando a tempi migliori l'acquisto di una nuova vettura. Chissà che proprio l'imminente nuovo ruolo in azienda non potesse essere l'occasione per avere in dono qualche benefit accessorio.

Sorrideva mentre quei pensieri le facevano compagnia, senza accorgersi del gatto spuntato da chissà dove, proprio davanti a lei, fermo sulla carreggiata e intento a leccarsi una zampa e ad annusare un po' di mondo. La sagoma dell'automobile ormai era fin troppo definita, tanto da riuscire a leggere abbastanza chiaramente la targa e riconoscere il modello. Una Seat Ibiza nera.

Era successo tutto troppo velocemente. Come riscossa da una mano invisibile, Eleonora aveva provato ad evitare il micio sterzando d'istinto il manubrio della bicicletta. Così facendo, aveva perso il controllo invadendo la carreggiata proprio nel momento in cui la sua traiettoria incrociava quella dell'automobile.

Una frenata disperata non era stata sufficiente a evitare l'impatto. Eleonora si era ritrovata distesa sull'asfalto, mentre il sangue le sgorgava copioso da un sopracciglio e dal naso. Era rimasta cosciente, ma non riusciva a capire con esattezza dove si trovasse e cosa le fosse successo.

"Porca putt...Ehi, ehi tu! Mi senti? Oh, cazzo! Ehi, riesci a sentirmi?... Come ti senti?...Non muoverti, chiamo un'ambulanza, ok? Cazzo! Qualcuno mi aiuti!"

Claudio era sconvolto. Si era ritrovato quella ragazza praticamente sul cofano, accorgendosi del gatto fermo quasi in mezzo alla strada e della bicicletta senza controllo solo all'ultimo istante. L'istinto lo aveva portato a schiacciare con forza il pedale del freno, cercando a sua volta di allargare la traiettoria verso destra, riuscendo solamente a diminuire la velocità e a ridurre l'angolo d'impatto. Un attimo di esitazione in più e le conseguenze avrebbero potuto certamente essere peggiori, forse fatali.

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