Capitolo 1 - La Scelta - (1/3)

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Ero seduto per terra. Il fuoco ardeva fragorosamente fuori la tenda e i corpi dei miei probabili genitori giacevano qui dentro. Non ero intenzionato a credere a una specie d'apparizione mistica utile solo per complicarmi la vita, ma utile almeno nel spiegarmi la mia incredibile fortuna con la morte. Li vedevo lì, stesi al suolo. Nessuna parola, nessun falso movimento. Solo il sangue colato per terra. E gli occhi rivolti verso la porta. Come se attendessero di dirmi qualcosa, ma non la potrò mai più sapere: loro non c'erano più, con me.
Invece mi sbagliavo. E pure di grosso, perché seppi cosa vollero dirmi, ma il messaggio si riferiva a un qualcosa di cui ero già sicuro.
Sarebbe stato meglio confermare.
Mi domandavo come avrei dovuto verificare chi li avesse uccisi. Non avevo alcun sospetto, anche se il cacciatore di prima avrebbe potuto benissimo passare per di qui, lo esclusi proprio perché non incontrai altre persone nel circondario e quindi non avevo nessuno da controllare.
Per quanto riguarda il moncherino, della mano destra, lo fissai per qualche secondo e notai che la mano si stava rigenerando da sola. Come sempre e come ogni ferita infertami per cercare di capire il perché fossi sempre così fortunato. Era già da un po' che riflettevo sul perché riuscissi a poter fare che ad altri miei simili non avrebbero potuto fare: combattere con orsi a mani nude, resistere nei laghi ghiacciati per quanto tempo avessi voluto o anche semplicemente, per così dire, lo scottarsi con una torcia e sentire solo un breve e intenso odore di carne bruciata. La mia. Come in quel minuto, in cui rimasi a contemplare il simbolo della mia possibile rinascita: una mano monca, che si stava rigenerando, ma che c'avrebbe messo del tempo. Ma in quel momento, stava per calare la notte e avrei dovuto anche provvedere per le esequie dei miei genitori e non avrei avuto molto tempo prima che i lupi venissero a reclamare la loro carne.
Mi preparai.
Mi tolsi la maglia, rimanendo a torso nudo. Rimasi, dunque, con il pantalone e a piedi scalzi. La mia rabbia non s'era minimamente affievolita. E con tutto il corpo in tensione, mi recai nella rimessa per prendere qualcosa per spalare la terra e già decisi che il posto ove li avrei seppelliti sarebbe stato dietro la tenda: in fondo, l'avevano costruita da giovani per ripararsi dalle intemperie. Così mi raccontò mio padre, ma aggiunse che erano stati cacciati dalla loro patria originaria perché l'uomo bianco bramava l'isola che non c'era. Proprio queste parole usò: l'isola che non c'era. Non avrei potuto fare altrimenti, che dargli una degna sepoltura.
Per rendergli l'onore che non avrei mai avuto io: avrei dovuto difenderli.
Loro per me c'erano sempre stati, sopratutto nelle difficoltà.
Io no.
Uscì dall'ingresso della tenda, determinato nel voler esprimere per loro le loro ultime volontà, ma la strana sensazione che la mia giornata non sarebbe dovuta ancora finire con un solo addio fece capolino nel mio cervello. Come un tarlo di pura e folle paranoia, mentre calava lentamente la notte e l'aria fredda era già pronta per avvolgermi con il suo abbraccio, ma presi la via della rimessa e vi entrai dopo circa un minuto. Dopotutto, era vicino. Non pensavo ad altro. Feci soltanto la cernita degli attrezzi. E presi la maledetta vanga e uscii, nel mentre la imbracciai, sentii dei strani rumori. In lontananza. Non me ne importai.
Presi a scavare.
Diedi il primo colpo di vanga – riuscii a crearla con un bastone, una pietra pomice e anche qualche corda – al terreno innevato. Aveva nevicato la sera prima. Ma presi la decisione di continuare a scavare, a qualsiasi costo.
Continuai a scavare.
Diedi una decina di colpi, arrivando al metro di profondità e larga poco più della larghezza della stessa vanga. Pensavo soltanto a dargli una degna sepoltura. La colpa era la mia e io ero il solo e unico a dover pagare questa colpa. Il nervoso e il rimorso s'erano presi gioco del mio cuore. Strinsi il legno della vanga con tutte le mie forze, per gli ovvi motivi, del tipo che la fossa non si sarebbe mai scavata da sola se mai l'avessi lasciata perdere.
Sudore, rabbia e anche il rimorso caratterizzarono tutto il calvario per scavare una fossa larga soli due metri e profonda soli tre metri. Avrei dovuto impedirlo, ma non ero abbastanza forte da riuscirci e in quel momento, ne volli soltanto pagare ogni responsabilità e vendicarli. Il punto era che non avevo la più pallida idea di chi li avesse uccisi. Anche se m'avesse reciso tutti e quattro gli arti, non mi sarei arreso e avrei continuato a combatterlo, quel bastardo: non aveva senso prendersela con persone che non si sarebbero potute difendere.
Mi ritrovavo tra le mani, ormai rigenerate, anche se non ci feci subito caso, perché ero troppo concentrato nel flagellarmi addosso, il sudore mesto al mio sangue e a quello dei miei genitori adottivi e l'unica cosa che avevo in mente era quella di terminare questo mio strazio.
Il momento era giunto.

The Chroniches of a Hero - Atlas "Versione Lite"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora