Imladris

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May sedette sul soffice materasso, lasciando scorrere le dita sul candido lenzuolo di pura seta. Era il primo letto elfico che ammirava, e il primo vero letto che vedeva dopo giorni di estenuante cammino. La giornata, che volgeva al tramonto, era stata alquanto movimentata...
La compagnia aveva fatto un curioso incontro quella mattina: Radagast il Bruno, membro del Bianco Consiglio della Terra di Mezzo (un ordine che oltre a lui comprendeva Gandalf, Saruman il Bianco e altri due maghi che May non conosceva – e di cui lo stesso Gandalf non rammentava i nomi).Radagast era un personaggio buffo e stravagante che viaggiava su una slitta trainata da conigli, esperto in arti magiche e amante degli animali; si trovava nel bosco alla ricerca di Gandalf, suo grande amico, quando si era imbattuto nella compagnia di Thorin Scudodiquercia. May sapeva che Radagast aveva delle pessime notizie da comunicare allo stregone; aveva scoperto che la vecchia fortezza di Dol Guldur non era più disabitata in quanto un mago umano, noto come il Negromante, vi aveva stabilito dimora. Ella sapeva altresì che Gandalf, esaminando la lama Morgul che Radagast aveva portato da quel luogo nefando, avrebbe presto realizzato che il Negromante altri non era che Sauron.

Mentre i due maghi parlavano in privato, un po' distanti dal gruppo, May ne aveva approfittato per accarezzare i coniglietti di Rhosgobel. Avrebbe fatto volentieri un giretto sulla slitta, ma non osava chiedere e in ogni caso non ne avrebbe avuto il tempo: subito dopo erano stati attaccati da un gruppo di orchi a cavallo di mannari ricognitori provenienti dal monte Gundabad. La conversazione tra i due stregoni era stata interrotta. Per la fanciulla non era un mistero che quelle creature malvagie fossero state inviate da Azog il Profanatore, tuttavia aveva ritenuto saggio tacere; non spettava a lei rivelare che l'Orco Pallido era ancora in vita. Thorin era, infatti, convinto che Azog fosse morto in seguito alle ferite riportate nella battaglia di Nanduhirion, di fronte ai cancelli est di Moria. La compagnia era riuscita a respingere l'attacco improvviso uccidendo gli orchi, ma molti altri li inseguivano e Radagast si era offerto di depistarli montando sulla sua slitta, permettendo così a tutti loro di fuggire.
May aveva corso fino a non sentire più forza nelle gambe.
Fili e Kili le erano rimasti accanto, e mentre correvano – l'uno con la spada sguainata e l'altro con l'arco ben saldo nel pugno – si voltavano continuamente per assicurarsi che nessun orco si gettasse su di lei, e che nessuna freccia la colpisse. May era inciampata più volte e quando era caduta, più o meno nel momento in cui gli orchi avevano circondato la compagnia, Gandalf l'aveva immediatamente sollevata in braccio e sistemata al sicuro all'interno di un profondo buco nel terreno, di fronte ad una roccia. La giovane non ricordava di essersi mai sentita tanto sollevata come quando, qualche istante più tardi, aveva visto accanto a lei tutti i compagni sani e salvi, dopo aver ucciso un discreto numero di orchi e mannari.
La cava in cui avevano trovato rifugio era in realtà un passaggio segreto attraverso cui Gandalf li aveva condotti, in modo da raggiungere il prima possibile – e senza ulteriori pericoli – nella Valle di Imladris, o Gran Burrone nel linguaggio corrente. Era lì che ora la compagnia si trovava.
Al loro arrivo, Thorin e i suoi amici non erano sembrati particolarmente contenti di fermarsi lì. Malgrado avessero bisogno di cibo (in abbondanza) e di un letto, non li entusiasmava granché l'idea di ricevere entrambe le cose da gente a loro poco gradita; ormai da tempo, infatti, i nani non erano in buoni rapporti con gli elfi. May era a conoscenza del fatto che Thorin si era opposto con tutte le forze a quella tappa del viaggio, e in parte comprendeva le sue ragioni: quando anni prima Smaug il drago aveva attaccato Erebor, nessun aiuto era giunto dagli elfi e il principe dei nani non aveva mai perdonato il popolo che aveva tradito la sua stirpe. Ad ogni modo, re Elrond era stato così gentile quando aveva detto che avrebbe offerto loro del cibo, che i nani avevano accettato di buon grado: tutto sommato, gli elfi non erano gente cattiva.

L'Ultima Casa Accogliente ad est del mare, dimora di re Elrond mezzoelfo, era situata in una Valle Nascosta ai piedi delle Montagne Nebbiose.
Quando May poté ammirarla dal vivo, si sentì parte di un sogno dal quale non avrebbe desiderato svegliarsi. Ogni piccola cosa, in quel regno, infondeva pace e tranquillità; dalla stanza che le era stata assegnata, elegante e sobria, la giovane donna poteva udire la rilassante musica delle cascate. Quando fu stanca di riposare si alzò dal letto e si affacciò sulla veranda a colonne intarsiate di mosaici elfici; guardando in basso vide nel fondo della Valle il fiume Bruinen, che scorreva brioso e limpido nel suo letto roccioso. Respirò a pieni polmoni l'aria fresca della sera che le accarezzava il viso, dopodiché fece un meritato bagno caldo. Gli elfi si erano offerti di lavare i suoi abiti sporchi, con la promessa di restituirli puliti e asciutti prima della partenza; ne avevano sistemati di nuovi nell'armadio, della giusta misura. "Devono appartenere a qualche piccola damigella elfica", pensò May.
Ne scelse uno dello stesso colore dei suoi occhi: un vestito in velluto leggero e comodo, non troppo ricercato né scollato.

"Hey sorellina, sei pronta per...". Kili irruppe nella stanza come un tornado.
"Kili! Ma insomma, non ti hanno insegnato a bussare?!".
May era davanti allo specchio e aveva appena infilato il vestito: c'era mancato poco che il nano la vedesse quasi interamente nuda!
"Chiedo... Ehm... venia..." farfugliò il giovane, visibilmente imbarazzato.
"Suvvia, ti perdono... Per questa volta!". May gli indirizzò una linguaccia impertinente.
"Potrei venire a prenderti con la slitta di Radagast. Allora sì che avrei il tuo perdono completo e immediato!" disse Kili ridendo, mentre lasciava la stanza insieme a lei.
"Mi piacerebbe sapere cosa spinge uno stregone a scegliere dei conigli al posto dei cavalli quale mezzo di trasporto", s'interrogò May ad alta voce.
"Chi può dirlo. Magari i conigli sanno essere più agili e veloci nel bosco", commentò lui chiudendo la porta.
Si guardarono negli occhi e una risata sonora pose fine a quella bizzarra conversazione.

Kili condusse May attraverso parecchi corridoi, giù per un certo numero di gradini – smarrendo la via ben tre volte – ed infine all'aperto, in un'ampia terrazza che si affacciava sul Bruinen. Mentre la fanciulla scendeva gli ultimi scalini vide Fili, che attendeva il loro arrivo in piedi accanto alla ringhiera.
Lui le andò incontro sorridendo e, quando fu davanti a lei, la guardò estasiato. Gli occhi di May, come l'abito che indossava, gli ricordavano i prati di montagna illuminati dal sole; i folti capelli scuri, mossi da una leggera brezza, incorniciavano un viso minuto dai lineamenti fini e delicati che la facevano assomigliare ad una dama elfica; la carnagione di perla metteva in risalto il rossore che le imporporava le gote; la veste, semplice nella sua eleganza, rivelava una figura esile dalle forme armoniose. Sembrava la piccola principessa di un regno obliato.

"Sei... Bellissima!" mormorò Fili prima di abbassare lo sguardo, leggermente rosso in viso.
"Grazie" replicò lei, col cuore che batteva impazzito come se volesse farsi sentire da lui.
In quell'istante Kili, che si era tenuto un po' indietro, tossì in modo significativo. "Vado a vedere se è pronta la cena: sto morendo di fame!". Così dicendo, si allontanò verso uno dei portici con un sorriso compiaciuto sulle labbra.
Fili e May si appoggiarono alla ringhiera della terrazza, l'uno accanto all'altra, per godere del magnifico panorama. Le ombre si allungavano nella Valle ai loro piedi, ma le vette dei monti erano ancora illuminate dai raggi del sole. L'aria profumava di fiori appena sbocciati.
Guardandosi intorno, May aveva l'impressione di trovarsi nel magico mondo di un canto elfico, dove il tempo aveva smesso di scorrere; sentiva che quel reame non era stato minimamente sfiorato dal male, sebbene fosse abitato da persone che avevano visto abbastanza inverni da ricordare eventi tragici e tristi.
D'un tratto, Fili si chinò per cogliere una grossa margherita e la porse a lei.
"Re Elrond mi perdonerà, se rubo un fiore per omaggiare la sua ospite" disse, con voce tremante.
Il timido, dolce sorriso che accompagnò quel gesto scosse May fin nel profondo dell'anima; ella sistemò la margherita tra i capelli, dietro l'orecchio, e gli sorrise con tenera gratitudine.
"Attento, rischi di essere rinchiuso nelle segrete degli elfi!", lo provocò con ironia.
"Sono pronto a correre il rischio".
Fili la guardò intensamente negli occhi e la fanciulla sentì le guance prendere fuoco. "Rimani calma, May!", supplicò se stessa mentalmente. Ma le gambe tremavano, mentre sentiva gli occhi del nano dolcemente fissi su di lei. Lasciò vagare lo sguardo nella Valle e all'improvviso fu colta dal desiderio di sapere cosa pensasse Fili di Gran Burrone, un posto così diverso da quello in cui era nato e cresciuto.
"E' tutto splendido qui, non trovi?" domandò contemplando gli ultimi raggi del sole, che tramontava a occidente.
"Sì, non è affatto male" rispose il giovane, ammirando il paesaggio circostante.
"Stavo pensando... Dev'essere strano, per te, riconquistare una montagna che non hai mai visto". May esitò, pronunciando quelle parole.
"Oh no, sei in errore!" replicò Fili sorridendo, con una strana luce nello sguardo. "Erebor è dinanzi ai miei occhi ogni giorno, da prima ancora che imparassi a camminare. Non vi ho mai messo piede, è vero, tuttavia posso affermare di conoscerla quasi quanto la mia dimora nelle Montagne Azzurre. Sai, uno dei ricordi più belli della mia infanzia è legato alle storie che lo zio Thorin narrava davanti al fuoco, seduto sulla sua poltrona preferita; mio fratello si accomodava sulle sue ginocchia, mentre io mi accoccolavo ai suoi piedi. Ascoltavamo rapiti i racconti che parlavano della Montagna Solitaria, dei suoi tempi di gloria, delle sue inestimabili ricchezze divenute leggenda... Ciò accadeva quasi ogni sera. Vedi, non ho mai dimorato ad Erebor, eppure Erebor dimora nel mio cuore da sempre. Posso provare a descrivertela, se ti fa piacere!".
May annuì. Lo guardava affascinata: gli occhi blu profondo del nano scintillavano di fiera gioia velata di commozione.
Mentre Fili parlava, nella mente di lei prendeva forma l'immagine di Erebor come non l'aveva mai vista... Immensi e sontuosi saloni che decantavano il trionfo della ricchezza e dell'abilità naniche; imponenti colonne di marmo che, sorgendo da pavimenti dai mille colori, si elevavano verso il cielo, impreziosite da gemme e cristalli il cui scintillio si rifletteva sulle scure pareti lucide; superbe scalinate scolpite nella pietra, che si allungavano fino a sfiorare gli sfavillanti soffitti; maestose stanze dorate che interminabili, una dopo l'altra, conducevano al cuore della montagna.
May provò l'impellente desiderio di visitare quei luoghi: quasi una necessità. Era riuscita a vedere Erebor attraverso gli occhi di Fili e ora sentiva che avrebbe voluto far parte di quella storia, di quei ricordi.
"Ti chiedo scusa" s'interruppe lui, notando l'espressione assorta della giovane. "Non intendevo annoiarti con le mie chiacchiere".
"Oh no, al contrario!", si affrettò a spiegare lei. "Trovo splendido tutto ciò che ho udito. Assolutamente splendido! Credo che potrei ascoltare i tuoi racconti per ore!".

Kili e Dwalin, seduti sotto il portico laterale, osservavano da lontano i due giovani che parlavano e sorridevano.
"Non ricordo di aver mai visto mio fratello così felice", proferì Kili.
Dwalin gli lanciò un'occhiata pensierosa. "Hum, dubito che lui approverebbe".

La cena fu servita all'estremità ovest della grande terrazza; i menestrelli elfici intrattenevano gli ospiti con le loro soavi melodie che prendevano vita attraverso arpe e flauti, suonati con nobile maestria. L'atmosfera era suggestiva e la tavola assai ricca, eppure i nani non sembravano soddisfatti: troppa roba "verde", per i loro gusti. Quando Dwalin domandò dove fosse la carne e Ori si lagnò con Dori dell'assenza di patate fritte tra le pietanze, May soffocò una risata che poco dopo esplose incontrollata: Bofur era salito in piedi sul tavolo, intonando una vivace e grottesca canzoncina. Il vino degli elfi gli aveva dato alla testa, pensò. Quanto a lei, si accontentò di assaggiare qualche frutto di Imladris, dolce e succoso. Frattanto, alcuni dei nani – colti da un impeto d'inarrestabile allegria – si divertivano a far volare il cibo, che finiva con l'atterrare inevitabilmente sul pavimento e sulle statue tutt'intorno, con notevole disappunto degli elfi.
Mentre May osservava divertita i compagni, Fili – che sedeva di fronte a lei – le versò dell'idromele, la bevanda preferita dagli elfi; nel porgerle il calice, i suoi occhi indugiarono sul volto della donna, pensando che quel sorriso superava in bellezza tutte le meraviglie della Terra di Mezzo messe insieme.

Dopo cena, i nani scelsero un posto tranquillo dove accendere un fuoco per cuocere del vero cibo, come lo definirono mentre gustavano grosse salsicce che avevano fatto un po' di strada insieme a loro, con le altre provviste. Avevano pianificato di passare lì la notte; le camere che gli erano state offerte dagli elfi non si confacevano alle loro esigenze e abitudini.
May aveva trangugiato la sua porzione di carne e ora sedeva in un angolo con Fili e Kili, osservando i compagni che consumavano il loro pasto; molti di loro non avevano toccato cibo alla mensa di Elrond, sicché erano affamati. Alcuni avevano già acceso le pipe e fumavano tranquilli, chiacchierando e ridendo. Bilbo, Thorin e Balin non erano tra i presenti; Gandalf li aveva condotti da re Elrond, per mostrargli la mappa e discutere dei loro piani. May aveva una mezza idea di alzarsi e fare due passi, quando sentì un liquido caldo solleticarle la gamba: sollevò i lembi del vestito e vide un rivolo di sangue che scorreva dal ginocchio sinistro.
Fili, che le sedeva vicino, balzò in piedi. "Tu sanguini! Perché non ce lo hai detto?!".
Immediatamente, si inginocchiò davanti a lei per esaminare la ferita.
"L'avevo scordato, ma è solo un piccolo taglio, non preoccuparti! Devo essermelo fatto stamattina, quando sono caduta prima che fossimo circondati dagli orchi", chiarì May con noncuranza.
Fili sembrò non prestare attenzione alle sue parole; si alzò, andò dagli altri e scambiò con Oin qualche parola sottovoce. Quando tornò, aveva delle bende e una scatolina in mano.
"Anche il più piccolo taglio può infettarsi", dichiarò con apprensione. Si inginocchiò di nuovo e sfiorò con una mano la gamba nuda di lei, mentre con l'altra disinfettava la ferita servendosi di uno strano unguento marrone; May sentì uno sfarfallio allo stomaco e un calore improvviso invase il suo corpo. La gamba tremò. Fili se ne accorse e si arrestò, alzando gli occhi su di lei.
"Brucia un pochino, ma passerà presto" disse, in un tenero bisbiglio.
Il fuoco scoppiettava allegro, e le fiamme proiettavano sul giovane nano la loro vivida luce che scintillava tra i suoi capelli d'oro; May lo avrebbe ammirato per ore intere, senza stancarsi.
"Hey, guardate: mio fratello è arrossito! Sembra un pomodoro maturo!". Kili scoppiò in una risata rumorosa che echeggiò per tutto il balcone, imitato dai compagni.
"Suvvia ragazzo, non canzonarlo!" commentò Bofur, senza smettere di ridere. "Non capita tutti i giorni di trovarsi in ginocchio dinanzi ad una bella signora!". May non sapeva più da che parte guardare; avrebbe volentieri preso Kili per le orecchie, se avesse potuto. Fili le stava fasciando la ferita ed ella notò che, effettivamente, le sue guance si erano tinte d'un certo rossore.
"Ecco fatto!", disse lui rialzandosi. "Non rimuovere la benda fino a domani sera e non bagnarla, intesi?".
"Ai tuoi ordini, mio signore!" rispose lei, sorridendogli con affettuosa riconoscenza.

"Cos'è questo baccano?".
May si girò e vide che Thorin era tornato, seguito da Balin e Bilbo; aveva un'aria cupa, mentre rispondeva alle domande impazienti dei compagni.
"Elrond è riuscito a leggere la mappa: rune lunari", spiegò il capo della spedizione a Dwalin, il quale chiedeva come fosse andato l'incontro col re. "Dobbiamo trovare la porta segreta entro il dì di Durin".
"L'estate sta passando!", osservò Dwalin preoccupato.
"Abbiamo ancora tempo", fece notare Balin.
"Tempo? Per cosa?", domandò Bofur.
"Per trovare l'entrata nascosta", precisò il nano dalla barba bianca. "Dovremo trovarci esattamente nel posto giusto, al momento giusto. Allora, e solo allora, la porta potrà essere aperta".

Stà accanto alla pietra grigia quando il tordo picchia, e il sole che scende col suo risolutivo raggio nel dì di Durin splenderà sul buco della serratura.

Erano queste le parole segrete della mappa. May le conosceva bene; si trattava di rune lunari scritte in nanico antico in una vigilia di mezza estate, circa 200 anni prima, al chiaro di una luna crescente.
La giovane sapeva che il dì di Durin corrispondeva all'inizio dell'anno nuovo per i nani: quando l'ultima luna d'autunno e il primo sole d'inverno fossero apparsi insieme nel cielo, la porta nascosta si sarebbe rivelata.
"Questo vuol dire che non abbiamo tempo da perdere. Lasceremo questo posto non più tardi di domani sera", annunciò Thorin chiudendo la questione. Sedette vicino al fuoco, ormai quasi spento. "Partiremo non appena farà buio, e lo faremo di nascosto".
Dwalin lo guardò perplesso.
"Com'era da aspettarsi, gli elfi non incoraggiano la missione e tenteranno di fermarci" riprese Thorin, "Ma noi non lo permetteremo. Gandalf non lo permetterà. Egli mi ha assicurato che li terrà occupati durante la riunione del Consiglio, mentre noi lasceremo la Valle in silenzio e senza dare nell'occhio".

I nani tacquero. Avevano abbastanza informazioni su cui riflettere, ma il tutto poteva essere rimandato all'indomani. Molti di loro – incapaci di tenere gli occhi aperti – estrassero le coperte da viaggio dalle grosse bisacce, mentre alcuni tra i più anziani rimasero svegli ancora un po', fumando le loro pipe in silenzio.
Dopo aver augurato la buonanotte, May si avviò verso la sua stanza seguita da Bilbo, al quale era stato assegnato un alloggio non lontano dal suo; nemmeno lui era entusiasta all'idea di dormire sul pavimento in pietra del balcone che i nani avevano occupato per la notte.
Era stata una giornata spossante. May aveva ancora dolore alle gambe a causa della lunga corsa mattutina per sfuggire agli orchi; non appena poggiò la testa sul cuscino cadde in un sonno profondo e senza sogni, stringendo in mano la margherita avuta in dono da Fili.







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