Il Signore delle Argentee Fonti

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"Qualcuno può dirmi che sta facendo?" chiese Dwalin sommessamente, dall'interno di una botte.
"Parla con qualcuno" rispose Bilbo nello stesso tono di voce, sbirciando attraverso il piccolo foro di una botte adiacente in cui era nascosto.
"E che succede?".
"Sta puntando il dito verso di noi!".
May avvertiva chiaramente la tensione dei compagni. A differenza sua, essi ignoravano cos'avesse in mente Bard che, arrestando la chiatta nei pressi del porto della Città, aveva ordinato loro di intrufolarsi velocemente nei barili vuoti e aspettare, con la raccomandazione di non fare rumore. Aveva preteso il pagamento anticipato, cosa che non garbò affatto ai Nani, sempre più sospettosi nei suoi riguardi ad eccezione dello Hobbit. Tuttavia non avevano scelta e furono costretti a concedere nuova fiducia al chiattaiolo, quando lui accennò vagamente ad un piano per farli entrare a Pontelagolungo eludendo la sorveglianza delle guardie, senza però specificare di quale piano si trattasse.
"Ora si stringono la mano!" riferì ancora Bilbo, vedendo Bard allungare il braccio verso il suo interlocutore.
"Cosa?!" domandò Thorin, trattenendosi dal gridare.
"Che canaglia!" esclamò Dwalin incollerito, "ci ha traditi!".
"E lo ha fatto per bene!" interloquì Kili, rincarando la dose.
"Io non credo, ragazzi! E' un tipo onesto, vi dico". May aveva ritenuto opportuno rassicurarli – conoscendo la lealtà dell'uomo che aveva in mano il loro denaro – ma non poté aggiungere altro, poiché un rumore proveniente dall'alto la zittì all'istante, rammentandole cosa sarebbe accaduto in quella parte del viaggio: una strana "valanga" si abbatté all'improvviso dentro ciascun barile a cominciare dal suo ed ella si ritrovò sepolta sotto un mucchio di pesci morti.
"Tu guarda cosa mi tocca sopportare per riconquistare una Montagna che neanche mi appartiene!" disse tra sé e sé, disgustata da quella puzza tremenda che pareva contaminare persino i suoi pensieri; non sarebbe stato facile scrollarsela di dosso, una volta fuori di lì. L'unico aspetto incoraggiante della situazione consisteva nel sapere che il piano di Bard per entrare a Pontelagolungo era ben studiato: coi soldi (o parte di questi) avuti dai quindici stranieri, egli aveva comperato il pesce per riempire le botti e tenerli così ben nascosti. La chiatta riprese a muoversi lentamente; si avvicinava all'ingresso della Città. Un calcio vibrato dal chiattaiolo contro uno dei barili fece soffocare a May una risata: Dwalin, o forse Kili, si stava agitando un po' troppo nel suo nascondiglio, imprecando malamente.
"Silenzio!", intimò Bard, "siamo alla barriera per il pedaggio".
Fermò l'imbarcazione e andò incontro ad un certo Percy, a cui consegnò i documenti per la consueta ispezione delle merci. Le voci dei due, che scambiavano qualche parola circa il freddo e la voglia di casa, giungevano ovattate eppur distinte alle orecchie attente di May; ma la voce di un terzo uomo le fece digrignare i denti dalla rabbia. Le carte erano regolari e Bard avrebbe proseguito senza intoppi se non fosse stato per lui, Alfrid, il fedele consigliere del Governatore di Pontelagolungo: un uomo opportunista, codardo, crudele e arrogante. In sostanza, riuniva in sé i difetti peggiori. La fanciulla lo detestava e, sentendolo definire "illegale" la merce sulla chiatta, arrivò a considerarlo più viscido e insopportabile del pesce che la ricopriva fin sopra i capelli.
"Svuotate i barili fuori dalla barca!" ordinò Alfrid, palesemente determinato ad ostacolare l'onesto concittadino; Bard, infatti, era odiato tanto da lui quanto dal Governatore, il quale lo riteneva un personaggio scomodo, responsabile dell'insofferenza che gli abitanti di Pontelagolungo nutrivano nei suoi confronti. Diverse paia di mani si mossero per obbedire agli ordini e una di queste afferrò la botte di May inclinandola da un lato; il panico s'impossessò di lei mentre i primi pesci cominciavano a scivolare fuori per poi cadere in acqua.
"Non possono scoprirci! Non è così che deve andare!", pensò la giovane mordendosi le labbra fino a farle sanguinare. Ma la fortuna si dimostrò ancora una volta dalla parte della compagnia: Alfrid gridò "fermi!" e la botte tornò repentinamente in posizione eretta. May, sospirando rilassata, capì che l'arciere aveva avuto la meglio sul subdolo consigliere.
"Sempre il campione del popolo, eh Bard?" mormorò quest'ultimo, sprezzante. "Il protettore della gente comune. Avrai anche il loro favore come chiattaiolo, ma non durerà!".
"Sei tu che non durerai, finché continuerai a comportarti come un infido verme", rifletté May con una smorfia.
Percy diede l'ordine di alzare la chiusa e il barcone ripartì con grande sollievo degli intrusi, che udirono Alfrid rivolgersi di nuovo all'arciere prima di voltargli le spalle.
"Il Governatore ti tiene sott'occhio, farai bene a ricordartelo. Noi sappiamo dove vivi!".
"E' una piccola Città", replicò Bard remando, "tutti sanno dove vivono tutti!".

Pontelagolungo, situata a Sud della Montagna Solitaria, era una Città degli Uomini costruita su palafitte in legno poste sul Lago Lungo. Grazie alla sua posizione favorevole, era divenuta un centro dedicato al commercio di alimenti, oro e altri materiali; gli abitanti, tramite il Fiume Selva, commerciavano soprattutto con gli Elfi Silvani di Bosco Atro.
May stava incominciando ad abituarsi al nauseante odore del pesce quando Bard vuotò i barili uno dopo l'altro, liberando lei e gli amici. D'un tratto si ritrovò a pancia in su e chiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni l'aria fresca del mattino; riaprendoli vide Fili chino su di lei, sorridente, pronto ad afferrarle le mani per tirarla su. Era ricoperta da capo a piedi di viscere dei pesci e si vergognò delle sue condizioni indecenti, benché lui non fosse conciato meglio. Ad ogni modo, lo sguardo ammirato e sognante che il suo Principe le rivolse bastò a scacciare via l'imbarazzo e May si sentì la donna più affascinante di tutti i mondi che conosceva, persino in quello stato.
"Stai sanguinando dalla bocca!" notò lui teso, lasciando scorrere due dita sulle labbra di lei. "Come ti sei procurata questa ferita?".
"Oh non badarci, mi sono morsa le...".
"Seguitemi!" disse Bard, interrompendo la conversazione tra i due, "statemi vicino, testa bassa e muovetevi!".
May obbedì preceduta dagli altri, con la mano di Fili nella propria. Attraversando la Città finse di non vedere le occhiate sospette e indiscrete, talune addirittura malevole, provenienti dai cittadini che incrociavano lungo il tragitto scelto dalla loro guida al fine di evitare le guardie. Svoltato un angolo, un giovincello corse verso di loro ed ella riconobbe Bain, il figlio maggiore di Bard.
"Pà! La nostra casa è sorvegliata!".


-s-s-s-


I Nani osservavano perplessi il buco sopra le loro teste dal quale sarebbero passati; si trovavano sotto casa di Bard, pronti (o quasi) a mettere in atto un piano che lui stesso aveva ideato per farli entrare in casa senza essere scoperti.
"Oh, per piacere! Non possiamo farlo davvero...", si lamentò Kili. L'acqua del Lago sul quale erano costruite le abitazioni gli arrivava al petto – per non parlare del povero Bilbo, che l'aveva alla gola – e non appariva convinto, né contento, di procedere. May si accorse che il pallore sul volto del Nano si faceva via via più marcato e la preoccupazione per lui rimpiazzò il senso di disgusto che provava all'idea di... No, non poteva nemmeno pensarci senza avvertire il voltastomaco.
"Non possiamo farlo Kili, dobbiamo!" rispose decisa, nell'esatto momento in cui udiva battere tre colpi dall'alto: era il segnale di via libera di Bain. Fu Dwalin and andare per primo; si aggrappò ad uno dei pali di legno e si arrampicò, mugugnando qualcosa di incomprensibile, fino a fare la sua apparizione nella dimora del chiattaiolo, sbucando fuori dal bagno. Quindi Fili prese May per i fianchi e la sollevò per aiutarla a salire attraverso il buco; giunta a destinazione, ella seguì Dwalin su per le scale e d'improvviso due ragazzine dagli occhietti vispi e intelligenti le si presentarono davanti.
"Pà, perché un Nano e una donna escono dal nostro gabinetto?!" domandò la maggiore, allibita.
"Ci porteranno fortuna?" aggiunse la figlia minore di Bard, una bimba sugli otto anni.
May si avvicinò a lei e approfittando della confusione creata dai Nani – che uno per uno si introducevano rumorosamente nella stanza – le rivolse la parola sorridendo.
"Ti porteremo fortuna se lo desideri".
Lo stupore e l'eccitazione della bambina si tramutarono in una candida diffidenza.
"Tu chi sei?", fu la sua legittima domanda.
"Il mio nome è May ed ora proverò ad indovinare il tuo. Vediamo... Tu devi essere Tilda".
La piccola batté le mani e un gridolino di sorpresa le scappò di bocca. "Come hai fatto?!".
"Ho dei poteri magici" asserì May in tono importante, "ma non dirlo a nessuno", soggiunse sottovoce con fare complice. "Sarà il nostro segreto!".
Tilda annuì guardandola con ammirazione, dopodiché la prese per mano trascinandola in un angolo; aprì una cassapanca e ne trasse due graziose bambole di stoffa.
"Ti presento le mie migliori amiche: Mila e Sami. Sono gemelle, sai?".
May le studiò con femminile curiosità, riscontrando quanto diverse fossero dai giocattoli del suo mondo ormai lontano, finché non sentì una mano cingerle con dolcezza il fianco sinistro.
"Ci sai fare coi bambini... Una ragione in più per amarti!".
Fili aveva accostato le labbra al suo orecchio per sussurrarle quelle parole con voce flautata, facendola sobbalzare; il suo cuore saltò un battito, per poi riprendere a pulsare più forte e più in fretta del consueto.
"Sigrid, Tilda: i nostri ospiti hanno bisogno di vestiti. Coraggio!".
Le ragazzine ubbidirono al padre e corsero ad aprire un vecchio armadio, dal quale tirarono fuori una montagna di indumenti asciutti e puliti – di vari tessuti e misure – che consegnarono ai nuovi arrivati, completamente fradici ed intirizziti. May, preso posto accanto al focolare, guardava gli altri togliersi i vestiti bagnati per indossare i nuovi, chiedendosi come avrebbe fatto lei a cambiarsi dinanzi a tutti, una donna in mezzo ad un gruppo di signori. Si guardò attorno battendo i denti. Non era certa che la casa di Bard contasse altri locali oltre al gabinetto al piano inferiore, in ogni caso le fu risparmiato l'incomodo di esporre il problema: Sigrid, che era una giovinetta sveglia, sembrò leggerle nel pensiero e si offrì di accompagnarla in uno stanzino attiguo, una sorta di ripostiglio la cui entrata era situata nella parete dietro l'armadio.
"Come mai la nostra guerriera non si cambia qui con noi?" ridacchiò Kili, vedendo l'amica allontanarsi.
"Donne...", commentò un ammiccante e brioso Bofur.
May udì le loro risate dopo che Sigrid se ne fu andata – con la raccomandazione di chiamarla se avesse avuto bisogno di qualcosa – ma nel giro di pochi attimi la porticina si aprì e Fili s'introdusse nel ripostiglio senza chiedere il permesso.
"C-cosa ci fai tu qui?!" domandò la fanciulla sussultando, "non sai che devo cambiarmi d'abito?". Il tono di voce si era fatto leggermente più alto, ma lui non ci badò.
"Certo che lo so" rispose Fili pacatamente, chiudendo la porta dietro di sé. "Sono venuto a portarti la camicetta che hai dimenticato sulla sedia vicino al fuoco".
May prese la camicia pulita e lo ringraziò fissando il pavimento. Si sentiva a disagio per la reazione esagerata, tuttavia era troppo nervosa per scusarsi; sapendo del discorso importante che il giovane avrebbe presto affrontato, non sopportava l'idea di restare sola con lui. Era pressoché sicura di doversi preparare al peggio, sicché avrebbe preferito continuare a rimandare quel momento tanto temuto e fingere che niente stava per cambiare tra loro. Avrebbe volentieri liberato tutte le lacrime invisibili in cui annegavano le sue speranze di vivere una vita felice col Nano che amava.
Ma quel giorno, in quello stanzino, decise di farsi forza e porre fine al tormento.
"Ora che siamo s-soltanto noi due potresti... Approfittarne p-per dirmi ciò che devi... Dirmi..." farfugliò con angoscia. "Non so se ci saranno altre occasioni...".
Fili sorrise, impudente e malizioso. "Se devo essere sincero, preferisco approfittare di questa occasione per fare altro".
Sollevò il mento di lei con l'indice per costringerla a guardarlo e l'attirò a sé, sfiorandole le labbra con le proprie. May sentì le membra vibrare al comando irruente di quel bacio che, per un interminabile istante, le fece scordare chi era e da dove veniva. Quando infine si staccò da lui, compiendo uno sforzo quasi sovrumano, aveva il fiato corto e la mente annebbiata.
"Penso che adesso dovresti..." disse Fili, ansimante.
"Cambiarmi?" terminò May.
Lui assentì.
"Allora tu dovresti..." riprese lei, col respiro ancora affannoso.
"Voltarmi? Subito!".
Fili si girò garbatamente di spalle per consentire alla sua innamorata di sfilarsi i vestiti bagnati e sostituirli con quelli asciutti.
"Fatto. Grazie!" mormorò May col volto in fiamme, sistemandosi la cintura sopra la camicia di lana decisamente troppo grande per lei. Per smorzare l'imbarazzo che si era venuto a creare, ella ruppe il silenzio riformulando la fatidica domanda.
"Dunque, perché ora non mi accenni di quella co...".
Fili non le concesse mezza parola in più: avido di lei, catturò di nuovo le sue labbra e le loro bocche s'incontrarono in un bacio più impetuoso del precedente, nel quale tenerezza e passione si fondevano in un'unica, ardente emozione. May si lasciò condurre dai seducenti movimenti dell'amato, ritrovandosi inaspettatamente con la schiena contro il muro. Il suo corpo fremeva incontrollato, mentre spingeva prepotente contro quello di lui; i suoi sensi impazziti bramavano disperatamente il calore e il sapore del suo Principe. Desiderava un contatto ancora maggiore. Non sapeva resistergli. Non voleva.
"Ti amo come un pazzo..." bisbigliò Fili con voce roca e passionale, nascondendo il viso nel collo di lei.
La porta si aprì con un tonfo secco e assordante, facendoli schizzare come molle.
"May, sei pronta?".
Tilda era ferma sulla soglia e li guardava confusa; i due innamorati si staccarono in un batter d'occhio l'uno dall'altra, sorridendole goffamente.
"Prontissima. Andiamo!", dichiarò May ostentando sicurezza; aveva bisogno di recuperare il suo abituale autocontrollo. Porse la mano alla bambina che, afferrandola festosa e saltellante come un coniglietto, si sentì libera di manifestare la sua infantile curiosità.
"Lui è il tuo sposo?" chiese ingenuamente indicando Fili che, precedendole fuori dallo sgabuzzino, tornava dagli altri.
"Ehm... S-sì, può darsi" balbettò la donna, alzando gli occhi al cielo con fare ironico.


-s-s-s-


"Faceva molto caldo di là, non è vero sorellina?" le sussurrò Kili all'orecchio, alludendo al vivo rossore di cui si erano tinte le gote di lei. May però non rispose; aveva ripreso il suo posto davanti al fuoco e non si curò della burlesca irriverenza dell'amico, seduto accanto a lei. Era immersa in pensieri angosciosi che riguardavano proprio lui. L'aspetto del suo fratellino le piaceva sempre meno e per di più nessuno, in quella stanza, sospettava la gravità della sua ferita; nessuno sembrava accorgersi delle sue sofferenze. Sarebbe voluta uscire a cercare la Foglia di Re, l'unica erba medicinale in grado di salvare Kili; sapeva che l'avrebbe trovata nel recinto dei maiali, in cortile. Ma come giustificare un'azione del genere senza essere scambiata per pazza? Giusto Oin – il medico della compagnia – avrebbe potuto prestarle ascolto, fino ad un certo punto però. Non le restava quindi che attendere Tauriel; prima o poi sarebbe venuta a salvarlo. Ma sarebbe davvero giunta fin lì? E chi avrebbe guarito il suo amico, se l'Elfa non si fosse fatta vedere? May non sapeva più cosa aspettarsi; dopotutto, la storia che stava vivendo era un po' diversa da quella che conosceva. Doveva ancora una volta assistere impotente agli eventi?
La conversazione che si stava svolgendo tra il capo della compagnia e il padrone di casa la costrinse, almeno per il momento, ad abbandonare le proprie considerazioni.
"Se la mira degli Uomini fosse andata a segno, molte cose sarebbero cambiate" mormorò Thorin assorto, con una punta di amarezza. May lo vide contemplare qualcosa oltre la finestra e capì che aveva avvistato la "Lancia del Vento": una balista montata su una torre vedetta collocata al centro della Città, ideata in passato dai Nani di Erebor per difendersi dagli attacchi del drago.
"Parli come se ci fossi stato" esclamò Bard, sorpreso.
"I Nani conoscono il racconto", precisò Thorin.
"Allora saprai che Girion colpì il drago!", s'intromise Bain con fervore. "Gli allentò una squama sotto l'ala destra... Ancora un colpo e avrebbe ucciso la bestia!".
Dwalin rise beffardo. "Quella è una favola, giovanotto. Niente di più!".
Tutti in quella stanza, ad eccezione di Bilbo, conoscevano la leggenda del Signore di Dale che molti anni prima aveva opposto l'ultima resistenza contro Smaug e che, prima di scagliare l'ultima freccia, era stato annientato dal fuoco dello stesso; tuttavia, Balin si lanciò in una dettagliata descrizione dei fatti e May – con Tilda sulle ginocchia – si mostrò interessata, come pure lo Hobbit, finché Scudodiquercia non chiuse l'argomento richiamando l'attenzione sulla questione principale.
"Hai preso il nostro denaro, dove sono le armi?".
Bard ordinò loro di aspettare e imboccò le scale che portavano al bagno.
"Domani comincia l'ultimo giorno d'autunno" disse Thorin ai compagni che, alzatisi in piedi, attendevano il ritorno del loro anfitrione.
"Il dì di Durin comincia dopodomani", comunicò Balin. "Dobbiamo raggiungere la Montagna prima di allora!""!!".
"E se non ci riusciamo?" dubitò Kili, "se falliamo a trovare la porta prima di quel momento? Allora...".
"L'impresa sarà stata inutile" dedusse Fili, pensieroso.
"Questo non succederà, ne ho la certezza!", intervenne May d'istinto. Tutti i presenti si voltarono stupiti verso di lei e l'occhiata di Thorin che diceva "cosa ne puoi sapere, tu?" le valse come risposta. Si sentì sciocca e avventata, ma il ritorno di Bard la distolse dalle sue sconsolate riflessioni.
Le armi, che il chiattaiolo espose sul tavolo srotolando il fagotto di cuoio in cui erano avvolte, non soddisfecero minimamente le esigenze degli ospiti, i quali non esitarono ad esprimere la loro indignazione di fronte a quegli strani attrezzi poco maneggevoli; nonostante Bard avesse assicurato che per la difesa personale sarebbero stati più utili di niente, i Nani si sentirono presi in giro. Ma di armi migliori forgiate in ferro ne avrebbero trovate soltanto nell'armeria del posto e, date le circostanze, l'unica scelta era adattarsi. In fondo, si erano arrangiati con meno. Balin propose a Thorin di accettare l'offerta e togliere il disturbo, ma Bard gli sbatté in faccia la realtà.
"Non andrete da nessuna parte. Spie sorvegliano questa casa, e forse ogni molo e banchina della Città", li avvertì. "Attenderete il calare della notte!".
Detto ciò, uscì svelto come se lo attendesse una faccenda urgente da sbrigare e May sapeva quale: l'uomo avrebbe chiesto al figlio di trattenere gli stranieri in casa il più a lungo possibile, per poi correre a cercare qualcosa. Udendo il nome di Thorin pronunciato da Balin, il chiattaiolo era infatti stato colto da un sospetto che a breve avrebbe trovato conferma in un vecchio arazzo raffigurante l'albero genealogico della stirpe di Durin, scovato da qualche parte in Città. Così, Bard non avrebbe più avuto dubbi sull'identità di Scudodiquercia e sul motivo del suo arrivo a Pontelagolungo. L'antica profezia rischiava di avversarsi: "Il Signore delle Argentee Fonti, il Re delle Rocce Scavate, il Re che sta sotto il Monte riavrà le cose a lui strappate, e la campana suonerà di allegrezza quando il Re della Montagna tornerà; ma tutto si disferà con tristezza, e il Lago brillerà e brucerà".

Un leggero grugnito spazzò via quei pensieri dalla mente affollata di May, facendola voltare di scatto: si era quasi dimenticata di Kili, che ora sedeva in un angolo nella semioscurità, dando le spalle ai compagni. Quando Tilda fu scivolata via dalle sue ginocchia per andare a dormire, May si avvicinò a lui e Fili sopraggiunse un attimo dopo; lo videro afferrare febbrilmente la gamba e soffocare un grido di dolore, mentre improvvisava una fasciatura nuova con un lungo pezzo di stoffa pulito fornitogli dalla brava Sigrid.
"La ferita aveva bisogno di essere medicata, perché devi sempre fare di testa tua?!" lo rimproverò il fratello maggiore, già pronto a chiamare Oin, che intanto fumava placido la sua pipa seduto sulla panca vicino al caminetto acceso.
"Questa non è una ferita grave, perciò ti conviene lasciare in pace il nostro medico" replicò Kili, irritato. "E ti prego di abbassare la voce: sei fastidioso come uno sputo nell'orecchio!".
Fili aprì la bocca per ribattere, ma Thorin pose fine a quello che stava manifestamente diventando un battibecco tra fratelli.
"Fili, Kili, May, muovetevi: è ora di andare!".


-s-s-s-


Lesti e silenziosi, i quindici forestieri sgusciarono via dalla casa di Bard per dirigersi verso l'armeria. L'oscurità del crepuscolo li celava alla vista degli abitanti di Pontelagolungo, sebbene nessuno di questi si trovasse in giro a quell'ora, salvo le guardie che sorvegliavano le strade. Thorin aveva ordinato di arraffare le armi e puntare dritti alla Montagna, un'impresa più rischiosa di quanto egli non avesse considerato, pensò May, che strofinandosi gli occhi e sbadigliando assonnata guardava intorno a sé, domandandosi quanto tempo sarebbe trascorso prima di essere catturati. Con la schiena rivolta al muro, immobile e muta, attendeva angosciosamente il ritorno di una buona metà dei compagni, intrufolatisi nell'armeria attraverso una finestra aperta; per saltare all'interno si erano serviti degli amici restanti che, impilati gli uni sugli altri, avevano fatto da scala agli scassinatori. Il piano procedette nel migliore dei modi, fino a che un rumore tremendo non avvisò May che si era verificato quanto temeva: Kili era inciampato mentre scendeva dalle scale interne portando in braccio un bel mucchietto di armi, troppe per lui. Immediatamente apparve un gruppo di guardie: i Nani che aspettavano fuori dall'edificio si ritrovarono in trappola, allo stesso modo degli altri bloccati dentro.
"Ci risiamo!" sbuffò May, noncurante della spada che le veniva puntata alla gola.

Gli ospiti di Bard, ormai prigionieri, furono trascinati in uno spiazzo davanti ad un'abitazione più grande rispetto alle altre; il Governatore in persona – seguito dal devoto Alfrid – ne uscì seccato e infreddolito, chiedendo spiegazioni alle guardie. Nel frattempo, una discreta folla di curiosi si era radunata attorno alla scena: cittadini vecchi e giovani, uomini, donne e bambini che bisbigliavano fra loro osservando May, Bilbo e i Nani con meraviglia. Le voci su di un possibile adempimento della profezia della gente di Durin avevano fatto rapidamente il giro della Città.
"Sorpresi a rubare armi... Nemici dello Stato, eh?" esclamò il Governatore, in piedi in cima alle scale dell'ingresso. Vedendolo dal vivo, May provò un senso di repulsione: si presentava come un uomo grasso dai lunghi – e certamente non folti – capelli unti, l'aria ottusa e l'espressione avida, ma questo era niente in confronto ad Alfrid, un individuo dall'aspetto raccapricciante con un paio di spesse sopracciglia nere che si univano per formare un'unica linea sulla fronte. Egli non esitò ad alzare la testa, di solito tenuta bassa, e vomitare addosso ai ladri tutto il suo disprezzo.
"Frena quella lingua!" lo zittì Dwalin facendo un passo avanti, sempre pronto a prendere le difese del suo capo. "Tu non sai con chi parli. Lui non è un criminale qualunque. Lui è Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror!".
La folla, il cui cicaleccio si era bruscamente interrotto non appena il Signore della Città aveva messo il naso fuori dalla porta, ricominciò a parlare in tono sommesso.
"Noi siamo i Nani di Erebor" proclamò Thorin con fierezza, posando una mano sulla spalla di Dwalin. "Siamo venuti a reclamare la nostra terra natìa!".
Il Governatore lo fissava a bocca aperta, incredulo e sbigottito.
May cercò lo sguardo di Fili, che come lei aveva le mani di una guardia ben salde sulle spalle. Lui sorrise, rassicurante, e in quel mentre qualcosa di piccolo e bianco si posò sul suo baffo sinistro. Entrambi guardarono in alto: i primi fiocchi di neve della stagione cadevano giù per dare il benvenuto alla compagnia.
"Ricordo questa Città al tempo della sua grandezza" disse Thorin, avanzando verso il centro del piazzale. "Flotte di navi attraccate al porto, colme di sete e gemme preziose... Questa non era una Città abbandonata sul Lago, questo era il centro di tutto il commercio del Nord!".
I cittadini annuirono, riconoscendo la veridicità di quelle memorie.
"Io garantirei il ritorno di quei giorni" seguitò Scudodiquercia voltandosi verso il Governatore, "riaccenderei le grandi fornaci dei Nani, e farei fluire benessere e ricchezza di nuovo dalle sale di Erebor!".
Gli abitanti di Pontelagolungo esultarono, ma c'era qualcuno tra loro che non condivideva lo stesso entusiasmo. May, per esempio. E non solo lei.
"Morte! Ecco che cosa ci porterai!", disse una voce.
Il popolo tacque. Bard si fece largo tra le guardie fermandosi dinanzi a Thorin. "Fuoco di drago e rovina. Se risveglierai quella bestia, distruggerai tutti noi!".
"Potete dare ascolto a questo oppositore, ma io vi prometto una cosa", insistette Thorin. "Se riusciremo, tutti condivideranno le ricchezze della Montagna. Avrete abbastanza oro" – gridò – "per ricostruire Esgaroth per dieci volte almeno!".
I cittadini esultarono una seconda volta.
"Perché dovremmo crederti sulla parola?" domandò Alfrid, placando l'euforia generale. "Noi non sappiamo niente di te... Chi può garantire per la tua onestà?".
Il silenzio che seguì fu rotto da una timida vocina.
"Io!" proferì Bilbo, alzando incerto la mano come uno scolaretto che richiama l'attenzione del maestro su di sé. "Garantirò per lui. Ho viaggiato a lungo con questi Nani, affrontando gravi pericoli. E se Thorin Scudodiquercia dà la sua parola, la manterrà!".
May vide una commossa riconoscenza brillare negli occhi del capo della compagnia, che ora sorrideva allo Hobbit.
"Tutti voi, ascoltatemi!" gridò Bard infuriato, rivolgendosi alla gente che aveva ripreso a gioire. "Dovete ascoltarmi! Avete dimenticato quello che è successo a Dale?! Dimenticato quelli che sono morti nella tempesta di fuoco?! E per quale motivo? La cieca ambizione di un Re della Montagna, così preso dall'avidità da non riuscire a vedere oltre il proprio desiderio!".
"Suvvia!" gracchiò il Governatore, "non dobbiamo essere troppo frettolosi a dare la colpa! Non dimentichiamo che è stato Girion, Signore di Dale, tuo antenato, che fallì nell'uccidere la bestia!". Puntò il grasso dito contro il chiattaiolo.
"E' vero, signore. Tutti conosciamo la storia", interloquì Alfrid, "freccia dopo freccia ha scoccato, ognuna ha mancato il bersaglio".
Thorin guardò sorpreso il discendente di Girion che si muoveva minaccioso verso di lui.
"Non hai alcun diritto, alcun diritto a entrare in quella Montagna!", mormorò Bard.
"Io sono l'unico ad averlo", rispose Thorin con orgoglio. "Mi rivolgo al Governatore degli Uomini del Lago", continuò. "Vuoi vedere la profezia realizzata? Vuoi condividere la grande ricchezza del nostro popolo?".
Un lungo silenzio cadde su di loro.
"Cosa rispondi?", incalzò Scudodiquercia.
Infine, il Governatore spalancò le braccia e la folla impazzì: "Io dico a te, benvenuto! Benvenuto, tre volte benvenuto, Re sotto la Montagna!".


-s-s-s-


Tilda saltellò battendo le mani, entusiasta.
"Sembri una principessa!".
May le indirizzò un sorriso affettuoso e guardò avanti a sé: l'alto e stretto specchio le rimandava l'immagine di una ragazza molto diversa da quella che, mesi addietro, si era magicamente ritrovata nella Terra di Mezzo. Appariva sciupata e stanca. La sua magrezza, già pronunciata, di quel passo sarebbe diventata eccessiva; ma nelle pupille sfavillava una beatitudine che nessuno specchio le aveva mai rivelato. Si rendeva conto di non essere pronta a rinunciare al Nano dei suoi sogni, a colui che le aveva insegnato ad amare... Eppure, sentiva di doversi separare da lui. Era determinata a farsi da parte. Non lo avrebbe messo in difficoltà con Thorin, non avrebbe intralciato i progetti che lo zio aveva su di lui. Che diritto aveva, lei, di rovinare il futuro dell'erede al trono di Durin? In fin dei conti, la decisione era stata presa prima di lasciare la Contea: avrebbe fatto il possibile per salvare Fili. Era partita per questo, il resto non aveva importanza. Se entrambi fossero riusciti a restare in vita – che lei fosse tornata nel vecchio mondo oppure no (un altro dubbio che l'assillava, questo) – avrebbe dovuto accettare di vivere lontana dal suo amore. Una scelta dolorosa, certo. Ma la felicità e il benessere di Fili valevano molto più dei propri.
"May, qualcosa non va?".
La voce di Sigrid la scosse da quei ragionamenti, rammentandole che si trovava in casa di Bard. Immaginando che lui fosse fuori, May ne aveva approfittato per chiedere aiuto alla figlia maggiore: un'ora più tardi si sarebbero tenuti dei festeggiamenti in Città e lei sapeva bene che l'evento richiedeva un abbigliamento adeguato. Dopo essersi tolta tutta la sporcizia di dosso grazie ad una degna lavata, aveva indossato l'elegante abito rosso che Sigrid aveva recuperato da un grosso baule polveroso; stranamente le calzava alla perfezione, benché la scollatura profonda mettesse in risalto le forme che di solito teneva nascoste. I capelli, legati dietro la nuca con un nastro dello stesso colore del vestito, erano finalmente puliti e in ordine.
"Va tutto benissimo! Stavo pensando che questo abito sembra realizzato apposta per me", replicò May sorridendo con gratitudine.
"Apparteneva a mia madre" disse Sigrid, con un'ombra di tristezza negli occhi vivaci. "Avrà avuto più o meno la tua età quando lo ebbe in dono da mia nonna, la sarta più in gamba del paese. E guarda che combinazione" – proseguì spensieratamente – "ora scopriamo che tu hai le sue stesse misure!".
La moglie di Bard doveva essere stata snella e ben proporzionata da giovane, considerò May mentre si aggiustava la lunga gonna davanti allo specchio.
"Beh... Avrete notato che, pur essendo una donna, la mia altezza è pari a quella di un Nano!".
Tutte e tre esplosero in un'unica, tonante risata che fece tremare i vetri delle finestre.
"Per questo sposerai il biondino con le trecce sui baffi?", la interrogò innocentemente Tilda. "Perché lui è alto quanto te?".
"Io... C-che cosa...?". May avvampò in viso e la giudiziosa Sigrid le risparmiò la seccatura di cambiare discorso.
"Tilda! Quante volte ti ho detto di non rivolgere domande inopportune agli ospiti?!".
La bimba chinò il capo, mortificata.
May le passò amabilmente una mano tra i capelli. "Su, non fare così piccolina: le tue migliori amiche Mila e Sami non vogliono vederti triste!".
Con un salto e un sorriso spumeggiante, Tilda si gettò tra le braccia della donna che quasi cadde all'indietro, inciampando nel vestito. Sigrid rise. In quel momento la porta si aprì e Bain comparve sulla soglia.
"Cosa ci fa lei qui?" chiese, lievemente alterato. L'occhiata che aveva rivolto alla sorella era stata inequivocabile per May, che si sentì in dovere di chiarire la propria posizione.
"E' colpa mia", confessò umilmente ma risolutamente, "sono stata io a venire, avevo bisogno di aiuto e Sigrid me l'ha concesso".
"Se nostro padre rientra e ti trova qui, le cose non si metteranno bene per noi... E neanche per te!" l'avvertì il ragazzo, addolcendo il tono.
"Stavo giusto per andarmene", lo rassicurò lei. Quindi ringraziò Sigrid promettendo che sarebbe tornata presto a restituire l'abito e, dopo aver dato un ultimo abbraccio a Tilda, si affrettò ad uscire.


-s-s-s-


Le voci profonde e allegre dei Nani risuonavano nel salone della principale locanda di Pontelagolungo dove si tenevano i festeggiamenti predisposti dal Governatore in persona, a cui era stato assegnato il posto d'onore nella lunga tavola imbandita con ogni genere di prelibatezza. Il vino scorreva come fosse acqua tra gli invitati e l'odore della carne arrostita si diffondeva appetitoso nell'aria, mescolandosi al fumo della legna che ardeva nell'enorme camino.
May mangiò di gusto fino a sentirsi esplodere la pancia; erano mesi che non gustava appieno il buon cibo degli Uomini e si alzò solo quando un frizzante Bofur la trascinò a ballare al centro della sala, dando una bella scrollata alla sonnolenza che si stava impossessando di lei.
"Il ballo non rientra tra le mie abilità, e poi non mi piace nemmeno!", protestò debolmente la fanciulla mentre il Nano la incoraggiava a muovere le gambe al ritmo dei violini, scatenando l'ilarità dei compagni che dal tavolo osservavano i due ballerini mangiando, sorseggiando bevande o fumando pipe.
"Coraggio, ragazza! Non essere timida!", gridò Balin alzando il suo boccale di birra.
I Nani sghignazzavano, incuriositi e divertiti da quello strambo spettacolo. Thorin, invece, non guardava. Non rideva. Bilbo se ne accorse e sospirò, meditabondo.
"Vediamo se con lui te la cavi meglio". Così Bofur sfidò May curvando le sopracciglia con fare allusivo, per affidarla ad un nuovo ballerino: Fili si era avvicinato silenziosamente a loro, pronto a reclamare il suo turno.
"Stasera sei più bella che mai!", sussurrò il giovane non appena fu rimasto solo con la sua dama in mezzo alle danze. "Cioè, tu sei già bellissima, è solo che... Stasera..." – arrossì violentemente, abbassando lo sguardo – "Ecco, intendo dire che...".
"Smettila di farfugliare e invitami a ballare!" lo interruppe lei provocante, senza riuscire a staccare gli occhi da lui. L'oro intrecciato di quella chioma dominava sfolgorante sulla nuova armatura ricevuta in dono dal Governatore, tuttavia non era soltanto questo; c'era qualcosa, nel suo Principe, che lo rendeva più attraente del solito. Qualcosa che le sfuggiva e che non avrebbe saputo spiegare.
"Ragazzina impertinente!" disse Fili, sfoggiando un sorrisetto ardito. "Meriteresti che ti baciassi proprio qui, in presenza di tutti!". Accostò il volto a quello della donna, poggiando le mani sui suoi esili fianchi. Ma le labbra non si mossero. L'espressione si era fatta inspiegabilmente tesa e nervosa; all'improvviso, egli parve distante.
"May, io... Devi venire con me!".
May si lasciò prendere per mano e condurre fuori dalla stanza attraverso un lungo corridoio illuminato a giorno, fino a che non si trovò di fronte ad una rampa di scale in legno, che Fili prese a salire.
"Si può sapere dove mi stai portando?! Cosa vuoi fare?" si permise di domandare lei, fermandosi di botto. Sentiva il cuore in gola e il battito le rimbombava impazzito nella testa. Il momento della verità era arrivato.

"Non so bene dove sto andando", rispose Fili, "ma so esattamente cosa voglio fare!".

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