16. Non glielo permetto

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Entrando nell'atrio del palazzo, noto che alla portineria c'è un signore sulla cinquantina dietro una scrivania. Dalla sua espressione corrucciata capisco che si sta annoiando tantissimo e che a quest'ora della notte preferirebbe dormire piuttosto che stare in questo palazzo a girarsi i pollici.
«Buona sera.» dice il portinaio.
«Buona sera a lei» rispondo io con troppo entusiasmo dettato forse da tutto l'alcol che mi circola in corpo.
Heden è sorpreso quanto me del calore emanato dalla mia voce, ma non saluta l'uomo ugualmente.
Entriamo nel ascensore e lui schiaccia il pulsante 3. Abita al terzo piano.
«Perché non hai salutato il portinaio?» chiedo a gran voce.
«Perché no.»
«In che senso?»
«Nel senso che devi farti i fatti tuoi.» taglia corto lui.
«Scusa...» mormoro.
Restiamo qualche secondo in silenzio.
«Perché ti sei ubriacata?» incastra i suoi bellissimi occhi nei miei.
«Non volevo ubriacarmi.» dico con convinzione.«Non è andata secondo i piani.» aggiungo con voce più bassa.
«L'unica cosa che va secondo i piani qui è l'ascensore» a quelle parole mi metto a ridere e lui con me.
Le porte del ascensore si aprono e noi ci avviamo nel corridoio. Heden estrae dalla tasca del jeans una chiave priva di portachiavi, ciondoli o pupazzetti di tutti i colori come ce l'ho io.
Questa differenza mi fa pensare a quanto siamo diversi anche nel portare delle chiavi. Lui una chiave senza neanche un ciondolo. Io una chiave con dei campanellini, dei ciondoli e persino dei portachiavi.
Gira la chiave nella serratura e apre la porta. Entriamo nel salotto immerso nel buio, l'unica luce che c'è è quella che filtra dalla stoffa delle tende sulla bellissima vetrata del salotto. Appena Heden accende le luci rimango senza fiato.
È bellissimo questo salotto. Ha uno stile moderno ed i colori dominanti sono il bianco e il nero.
«Che c'è?» chiede lui.
«Niente. Solo non credevo avessi così tanto gusto.» ammetto arrossendo. Lui non fa una piega e dopo una manciata di secondi si incammina nel corridoio situato alla mia destra.
Sono tentata di seguirlo ma le mie gambe si rifiutano e la mia coordinazione motoria fa paura, perciò decido di non muovere neanche un solo passo.
Mi giro lasciando i piedi incollati al pavimento e noto una bella pianta ricca di foglie verdi. Aspetta... sono due? O forse tre? Non capisco nulla e mi gira la testa.
In men che non si dica mi ritrovo con il sedere sul parquet e il mio cervello non connette. Così perdo completamente i sensi.

***

Quando riapro gli occhi ci metto un momento per riuscire a capire dove sono. Mi guardo intorno e vedo Heden al mio fianco che mi fissa in attesa di una mia parola. Solo in quel momento realizzo che abbiamo dormito nello stesso letto.
«Noi non abbiamo...» chiedo avendo paura della risposta.
«No.» dice in tono freddo e distaccato. Distoglie lo sguardo da me, si alza dal letto e aggiunge: «Perché dovremmo? Non sei il mio tipo. Non sei la ragazza adatta a stare nel mio letto.» dice come fosse un ovvietà.
L'ha detto sul serio? Mi ha appena detto che non sono il suo tipo. Non sente niente per me. Come io non sento niente per lui d'altronde.
Allora perché fa così male? Mi ha appena investita, e dopo avermi calpestata con la ruota di un camion ha fatto retromarcia e si è assicurato di avermi fatto veramente male. Di aver portato la mia autostima sotto zero. Di avermi riempito il cuore di ghiaccio.
E ho anche il coraggio di dire a me stessa che non provo nulla per lui? Sono davvero patetica.
«Che c'è? perché quella faccia? La cosa ti stupisce cara Astrid?» mi chiede lui in tono di sfida.
Non riesco a credere che lui, la persona che mi massaggiava la schiena e mi teneva i capelli mentre io svuotavo ripetutamente il contenuto del mio stomaco nel water questa notte, sia la stessa persona che ora mi sta dicendo queste cose orribili.
Non voglio crederci. Devo, comunque sia, farmi forza.
«No, non mi stupisce per niente e sai perché? Perché sei acido e cattivo con le persone che ti stanno intorno.» le mie parole sembrano fare breccia in lui. Comincio a radunare le mie cose. Mi accorgo che non ho più la giacca e le scarpe, non ricordo di essermele tolte e spero vivamente che abbia tenuto le mani lontano da me mentre io dormivo.
«O forse sono le persone che ho intorno a farmi diventare così.» dice alzando la voce e il mal di testa si insinua di nuovo.
Arrivo in salotto, davanti alla porta d'ingresso, e dico: «Credimi, sei tu che le fai allontanare da te e non permetti loro di aiutarti.»
«Non ho bisogno di...» non gli lascio finire la frase perché gli sbatto la porta in faccia.
Entro in ascensore e premo il pulsante 0 per tornare nell'atrio d'ingresso.
Appena le porte si chiudono le lacrime cercano di farsi strada sulle mie guance, ma non glielo permetto. Questa volta no.

Spazio autrice
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