Two.

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Eren chiamò un taxi per ritornare in albergo, dopo pranzo.

Domandò a Hanji e Mike di sorvegliare la porta della sua stanza e di non far entrare nessuno.

Senza eccezioni.

Rapidamente si liberò della t-shirt e dei pantaloncini. Si diresse verso il bagno e strada facendo si levò calze e scarpe da ginnastica, sfilò i boxer e, senza nemmeno lasciare che la temperatura dell'acqua si facesse più calda, si buttò sotto il getto freddo.

Lasciò che la scarica ghiacciata investisse il suo corpo senza opporre alcuna resistenza.

Chiuse gli occhi e cercò di ripercorrere l'ultima ora, sperando di capire per quale motivo fosse così arrabbiato.

Non se l'era mai presa davvero per colpa di Levi, mai, ma questo non vuol dire che non gli avesse mai dato motivo di infastidirsi.

Lo insultava continuamente affibbiandogli i nomi più insopportabili, come "moccioso", "ragazzino", "piaga" e molto altri termini più variopinti.

Tuttavia era sempre andato oltre, perché da un lato ci era abituato e dall'altro lo facevano ridere, in qualche modo, e rendevano unica la personalità burberissima del suo manager.

Ma non quella volta, perché di una cosa Eren era certo, ovvero di potersi fidare ciecamente di quattro persone: Armin, Hanji, Mike e Levi, nonostante il suo carattere insopportabile.

Invece quel pomeriggio, a pranzo, Eren si era sentito tradito da una di quelle persone in cui credeva di più.

Non che avesse un vero motivo per considerarlo un tradimento, Levi non gli aveva mai giurato che sarebbe rimasto con lui per sempre e d'altra parte sapeva che quel suo prendersi cura di lui era pur sempre un lavoro.

"Ho ricevuto un'offerta di lavoro a Yokohama," gli aveva detto Levi. "Ed è perché non voglio mentirti che ti dico che la sto seriamente valutando. Ma ho pensato di parlarne con te, prima di prendere qualsiasi decisione. Alla fine io sono strettamente legato anche al tuo lavoro, quindi è giusto che tu ne sia informato."

E, a pensarci bene, Levi aveva tutto il diritto di farlo. Era la sua rabbia, a dire il vero, quella a non essere giustificata.

Eppure non riusciva a calmarsi e più ci pensava più gli veniva voglia di andare da Levi e urlargli contro quanto l'avesse deluso.

Senza contare che fino a un'ora prima gli aveva rifilato la cazzata del "devo farti arrivare al concerto in ottima forma, è questo il mio dovere" e poi gli aveva dato un'ulteriore batosta subito dopo. La coerenza, Levi, pensò Eren, è la coerenza che ti manca.

Fece pressione sulla leva di fronte a sé e il getto d'acqua si bloccò. Uscì dalla doccia e, indossando solamente un asciugamano attorno alla vita, si lasciò cadere contro il materasso.

"Vaffanculo, Levi," sussurrò, prima di chiudere gli occhi.

***

Eren

Era buio. Totalmente buio. Era tutto così nero che gli sembrò che i colori non fossero mai esistiti.

Eren.

E poi eccola. Proprio lì, in mezzo al vuoto totale, una luce. Scintillava da sola e sembrava che nessuno potesse avvicinarla. Ma questo non gli importò; provò a fare un passo in avanti e tese la mano.

Eren...

La luce smise di splendere e impercettibilmente cominciò a prendere forma. Ad Eren fu sufficiente una manciata di secondi per fare mente locale.

Born to be a starWhere stories live. Discover now