Hai visto il mio modo di vedere le cose?

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 Le chiavi, dove cavolo erano le mie chiavi? Cercavo nelle tasche del jeans, del giubbotto, della camicia.. nulla. Tastai ogni parte del mio corpo, inevitabilmente cominciai a pensare a lei. A lei, e a quelle dita sottili e leggere che avevano sfiorato piano il mio petto e il mio viso, pochi minuti prima, per esplorarlo. Aveva un modo particolare per sentirmi e conoscermi, mi piaceva quel suo modo di scoprire com'ero fatto, era diverso. Solitamente le ragazze mi mangiavano con gli occhi, invece lei preferiva sentirmi. Sentirmi in tutti i sensi. Proprio come io sentivo lei. Era vera, era pura, era unica. Ed era perfetta, anche senza la vista.
Scossi la testa, finendo di tastarmi il petto. Quella ragazza mi stava facendo andare fuori di testa.
Tastai la tasca posteriore dei miei jeans, sentendo un rumore. Eccole. Le inserii nella piccola serratura metallica a fatica, il lampione al centro della strada illuminava poco e mamma, ogni sera a mezzanotte, spegneva la luce che illuminava il portone di casa per non consumare troppa energia. Non appena la porta si aprì, trovai la figura di mia madre a braccia conserte. Osservava la porta di casa, con gli occhi chiusi in due fessure. Non appena vide il sorriso sul mio viso, però, si addolcì.

-Dove sei stato?- cominciò con le domande, avvicinandosi.
-Sono stato con una ragazza- le baciai la fronte, per poi sorriderle.
-Fino a quest'ora? E cos'avete fatto? Oh, no, ti prego, non dirmelo. Quasi mi dimentico che sei un ragazzo e che voi ragazzi avete..-
-Abbiamo solo parlato, mamma- la interruppi ridendo, corrugò le sopracciglia facendole scontrare. Era così strano parlare con una ragazza? -Abbiamo parlato per due ore, pensa. Fuori casa sua. Sembra diversa dalle altre- impercettibilmente, arrossii. Già, quella ragazza mi faceva un effetto davvero strano.
-Per far colpo su di te, dev'essere speciale- sorrise mia madre, dandomi conforto.
-Domani mattina ci sentia, cioè, ci vediamo, ci vediamo sì.. più o meno ma ci vediamo- ridacchiai, facendo scontrare di nuovo le sopracciglia della mamma.

Senza darle ulteriori spiegazioni, le baciai piano la fronte e le sorrisi rassicurandola. Ricambiò prontamente il sorriso, donandomi uno di doni più belli che un figlio potesse ricevere, così che salii di sopra in camera mia. La stanchezza si faceva sentire, eccome se si faceva sentire. Mi stesi a letto senza nemmeno spogliarmi, sentii la camicia scoprirmi la schiena ma poco mi interessava, sinceramente. Anastasia. Perché non smetto di pensarti? Portai una mano sul viso e sospirai, non volevo ricadere nello stesso tranello, eppure Anastasia non smetteva di essere la protagonista dei miei pensieri. La conoscevo da poco meno di tre ore, eppure già la sentivo così vicina. Mi stavo illudendo da solo e di nuovo, da stupido e inesperto, ciò che tra l'altro non ero. Però quella ragazza, con la sua spontaneità e la sua semplicità, era riuscita a far battere il mio piccolo e deluso cuore.

-

Quando sentii la sveglia suonare, scattai in piedi. Avevo impostato la sveglia per le otto, così da potermi preparare. Non avevamo piani, a dire il vero non sapevo nemmeno a che ora andare da lei. Sapevo solo che, forse, avrei visto i suoi genitori e non volevo che potessero farsi cattive idee su di me. Le occhiaie, quella mattina, non mi davano problemi: semplicemente non c'erano. Quella notte avevo dormito, eccome se avevo dormito. Certo, erano state meno di sette ore, ma mi sentivo riposato e carico. E sopratutto, desideroso di rivedere quella splendida ragazza che mi aveva già rapito.
Dopo essermi fatto una doccia veloce, mi ritrovai davanti all'armadio. -Adesso cosa metto?- mi chiesi, sentendomi peggio di una ragazzina al suo primo appuntamento.

-Mamma!- uscii dalla mia camera con solo l'accappatoio.
-Justin Drew Bieber, ieri ho lavato a terra e guarda, con i piedi stai bagnando tutto!- incrociò le braccia al petto, alzai le sopracciglia.
-Non importa, dai, adesso ho bisogno di te- la trascinai con me in camera mia, piazzandola davanti all'armadio.
-Devo riordinarti l'armadio?- mi chiese, roteai gli occhi al cielo e abbozzai un sorriso.
-Hei, è già ordinato- alzò le mani in segno di resa, inclinando verso l'alto gli angoli della bocca.
-Allora a cosa ti servo?- mi chiese, spostando tutto il peso del suo corpo su una gamba.
-Mentre io mi asciugo i capelli, sceglieresti per me cosa devo mettere stamattina?- mentre parlavo presi un boxer dal cassetto e feci per metterlo, ma mi bloccai quando notai lo sguardo stranito di mia madre.
-Amore, non è che hai la febbre?- mi tocco la fronte prima con le mani e poi con le labbra. -Non sembra, forse dovremo prendere un termom..-
-Sto bene- la interruppi -Ti prego, non voglio fare brutte figure.
-Hai preso proprio una bella cotta, eh?-

Sì, avrei voluto rispondere. Ma come avrei potuto? Infondo non la conoscevo nemmeno da un giorno, non sapevo quasi nulla di lei a parte il fatto che non vedeva con gli occhi ma usando altri metodi. Indossai i boxer, asciugai i capelli e misi l'accappatoio a lavare, per poi tornare in camera. Mia madre aveva preso una semplice maglia nera che avrei indossato con un pantalone marrone chiaro e le mie Supra nere. Ringraziai mia madre dandole un tenere bacio sulla fronte prima di vestirmi e guardarmi allo specchio. Ero davvero un gran figo. Aggiustai i capelli, spruzzai un po' di profumo e mi guardai ancora una volta allo specchio. Avevo uno strano sorriso quella mattina, un sorriso che non sempre avevo. Era sincero ed esprimeva come mi sentivo: e mi sentivo bene.
Dopo aver indossato una felpa e il cappotto, uscii da camera mia. Cavolo, aveva ragione mia mamma: avevo lasciato le impronte. Prima di andar via, passai una pezza sulle impronte, facendo risultare il pavimento pulito. Mia madre mi guardava ancora più stupita e, sinceramente, anch'io ero abbastanza stupito.

-Devo conoscere questa ragazza- enfatizzò mia madre, sparendo poi in cucina. -Tesoro, fai colazione qui o devi già uscire?-
-Esco mamma, ci vediamo dopo- corsi in cucina dandole un bacio, per poi uscire di casa.

E, ancora una volta, l'aria fresca mattutina mi pizzicò il viso. Erano appena le nove meno dieci, non sapevo se Anastasia stesse ancora dormendo o meno. Non volevo svegliarla, ma allo stesso tempo volevo vederla. Presi la moto, che mi faceva sentire tanto Batman, e sfrecciai via, per le vie di Stratford. Ricordavo perfettamente dov'era casa sua. In un batter d'occhio mi ritrovai fuori la sua abitazione e persi un battito quando mi avvicinai per poter suonare al campanello. Ma non feci in tempo a pigiare il bottoncino banco, perché la porta si aprì.

-Sapevo che eri arrivato- quella splendida ragazza dai capelli ramati, sorrise. Facendo sorridere anche me.
-Come?- le chiesi, dolcemente.
-Ho riconosciuto il rombo della tua bambina- aprì di più la porta, facendomi segno d'entrare. -Prego, entra. Hai già fatto colazione?- si chiuse la porta alle spalle.
-E tu?- scosse la testa. -Allora ti va di fare colazione fuori?- sul suo viso si accese un sorriso.
-Prendo il cappotto e la borsa- mi strinse la mano, sorridendomi.

Quant'era bella. E quella mattina ancora di più. Indossava un paio di jeans chiari che le fasciavano perfettamente le gambe, un maglioncino grigio con dei richiami in nero e degli stivaletti neri. Con un movimento fluido, prese il giubbotto e lo indossò, così come fece con lo scalda collo e il cappello. Dopodiché prese la borsa e indossò anche gli occhiali da sole neri che aveva anche il giorno prima, provocando un gesto di disappunto da parte mia. Cavolo, era bellissima senza. Perché mai doveva metterli?
Justin, fatti i fattacci tuoi.
Roteai gli occhi al suono della mia amatissima vocina, anche chiamata coscienza, ma che ben presto avrei rinominato rottura di scatole. Menomale che Anastasia non poteva vedermi, così per lo meno non avrei fatto una brutta figura davanti ai suoi occhi.

-Anastasia- una voce interruppe i miei pensieri, mi si gelò il sangue nelle vene non appena vidi un uomo sulla cinquantina scendere le scale di casa sua.
-Papà, ciao- ed era anche il padre, perfetto.
-Non mi presenti il tuo amico?- chiese alla figlia, cingendole le spalle con un braccio.
-Sì, certo. Papà, lui è Justin, il ragazzo che ieri sera mi ha riaccompagnata a casa. Justin..- mi tastò il braccio, fino a scendere alla mia mano che prese dolcemente. -..lui è mio padre, Joseph- accennai un sorriso.
-Piacere di conoscerti, Justin. Dove porti questa mattina la mia donzella?- accarezzò di capelli di sua figlia, facendomi sentire dannatamente invidioso.
-Avevo pensato di fare colazione e fare un giro al parco, sempre se per lei va bene- ammisi, suo padre annuì.
-Certo, basta che non me la porti all'una di notte come ieri sera- suo padre ridacchio, mentre io sbiancai. -Non preoccuparti, so che siete stati qui fuori a parlare- tirai un sospiro di sollievo e sorrisi, stringendo la mano di Anastasia che ancora giocherellava con le mie dita, nonostante avessi i guanti.
-Allora a dopo, papà- Anastasia diede un bacio a suo padre, avvicinandosi a me.
-Arrivederci, signor Mitchell-

Dopo aver dato una stretta di mano a suo padre, uscii di casa, raggiungendo quella splendida ragazza che era riuscita ad ipnotizzarmi. Mentre camminava nel vialetto di casa sua sembrava più sicura, i suoi passi erano più decisi. Mi trasmetteva sicurezza quella ragazza, nonostante tutto quello che aveva passato era riuscita a rialzarsi e a vivere senza una cosa fondamentale: la vista. Era riuscita a combattere, a crearsi nuove abitudini, a vivere nonostante quel grande disagio che era costretta a sopportare. E aveva un sorriso, un sorriso meraviglioso, un sorriso che mi faceva capire che era felice, che nonostante tutto era felice e che aveva coraggio da vendere.
Prima di salire in sella alla mia moto, le presi entrambe le mani e mi soffermai a guardarla. Aveva un'espressione confusa, molto confusa, ma non ci diedi tanto peso. Levai il guanto della mano sinistra, così che potesse sentirmi meglio. Le accarezzai dolcemente il viso, scesi sul collo, tornai su percorrendo con l'indice il suo naso. Mi soffermai sul suo mento, prendendolo tra l'indice e il pollice. -Buongiorno, piccola stella- le sussurrai all'orecchio, prima di sentirmi sprofondare tra le sue braccia sottili.

'Justin, cosa stai facendo?
'La sto abbracciando, non vedi?'
'Ma così ti farai del male.'
'Lo so. '
'E non ti interessa sapere che dopo aver passato quel po' di tempo con te, ti getterà via come una pezza? '
'Sinceramente? No. '
'No? NO? Justin, ti conosco meglio di chiunque altro.'
'Può darsi, ma non cambio idea.'
'Perché vuoi soffrire? '
'Perché sento che lei è diversa dalle altre.'
'Le femmine sono tutte uguali. '
'Lei a differenza delle altre non ci vede con gli occhi'.
'E cosa c'entra? '
'C'entra il fatto che vede col cuore.'

Look in my eyes, what did you se? [COMPLETA] Where stories live. Discover now