L'eroe del ventunesimo secolo

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<<La vita è completamente diversa, adesso. La mia vita. Voglio dire che... questo è il luogo in cui volevo essere. Il posto in cui avrei voluto trovarmi fin dalla nascita. Oh, sì, accidenti.>>

La giornalista seguì con lo sguardo gli occhi di Desmond, poi si rivolse alla telecamera che li stava inquadrando.

<<Eh, già. A quanto pare il nostro Desmond ha trovato l'angolo di paradiso che stava cercando>> disse, mentre due ragazze in bikini, alte e con un fisico da modelle, passavano loro di fronte.

Osservai Des dallo schermo del televisore nella hall della locanda. Sì, ormai era diventata un vero e proprio hotel, ma per me continuava ad essere la vecchia locanda di Jackson.
Suo nipote, invece, durante quei sei mesi era cambiato radicalmente, ed io facevo fatica a capire che cosa provassi nei suoi confronti.

Mi avvicinai alla sua immagine nello schermo, superando alcuni clienti, mentre lo Sconosciuto mi stringeva la mano.

<<Credi davvero che la California possa essere adatta a te, Desmond? Le tue ammiratrici di Los Angeles e dintorni non potranno che essere felici per questa tua decisone, non trovi?>>

Lui abbassò gli occhi per un istante, mentre la regia riprendeva i suoi muscoli lucidi, abbronzati, che spiccavano dalla maglietta senza maniche che indossava.

<<Non lo so>> rispose <<oggi è così. Domani è un altro giorno, no? Non ho progetti. Voglio soltanto comparire in qualche altra pubblicità, incassare ancora qualche centinaia di migliaia di dollari e poi essere libero di non lavorare mai più nella vita. Davvero, non ho altri piani. Sto bene così.>>

Lo guardai, sempre più sconvolta. Aveva già rilasciato altre interviste di quel tipo, ma ero seriamente preoccupata per lui. Di giorno in giorno sembrava soltanto peggiorare. Come se il ragazzo che avevo conosciuto io si fosse improvvisamente perso da qualche parte. Da un lato provavo tenerezza per lui, perché tutta quell'incredibile ondata di fama gli era piombata addosso da un attimo all'altro. Capivo che poteva essere difficile da gestire, soprattuto perché la sua bellezza aveva soltanto contribuito a peggiorare la situazione. O a migliorarla, dal punto di vista di lui. Le ragazzine lo idolatravano davvero al pari di una pop star o di un attore del cinema, ed io non riuscivo a capacitarmene. Io e nessun altro.

<<Desmond, questo successo che ti ha raggiunto all'improvviso... è dovuto al fatto che, agli occhi di tutti, tu sei diventato una sorta di... di eroe. Hai raccontato al mondo intero di come, con coraggio estremo, sei riuscito a far esplodere ciò che si trovava sotto la superficie del lago della tua città natale, Saint Claire. Cosa ricordi adesso, a distanza di sei mesi, di quel momento? Che cosa ci puoi dire che ancora non sappiamo? Hai qualche altro dettaglio da svelarci?>>

Lui esitò. Fece un passo indietro, scosse la testa. Per una frazione di secondo mi sembrò di riconoscere il ragazzo schivo che, in una notte d'estate, si era preso cura di me nel cuore del bosco di Saint Claire.

<<Non ho nulla da dire al riguardo, mi dispiace. E adesso dovrei davvero andare. Ci sono alcune centinaia di ragazze che mi aspettano, su una di queste spiagge. O su tutte.>>

La giornalista gli sorrise calorosamente. Tornò a rivolgersi alla telecamera.

<<Bene, bene. Ringraziamo Desmond Black, l'eroe del ventunesimo secolo, per averci concesso un po' del proprio tempo. Ciao, Desmond. Alla prossima, e buona fortuna con quelle centinaia di ragazze. Anche se sappiamo che, senza dubbio, non ne avrai biso..>>

Mi voltai e mi allontanai dallo schermo del televisore. Lo Sconosciuto, senza dire nulla, mi seguì fuori dalla locanda.

Avevamo comperato un paio di bici. Due Mountain Bike colorate, davvero belle. Avevo scoperto che, con mia grande sorpresa, pedalare mi piaceva. Mi rilassava. Serviva a distrarmi da tutto il caos che non avevo mai smesso di portarmi dentro.

Slegai la mia, montai sopra e lo Sconosciuto fece lo stesso con la sua.

<<Dove vuoi andare?>> mi chiese.

Non risposi. C'era soltanto un posto in cui, in quel momento, avevo bisogno di andare.

Incominciai a pedalare, e lui mi seguì.

Veloce. Veloce.

Sempre più veloce.

Pedalavo tendendo gli occhi chiusi.

Durante quei sei mesi, il mio essere una degli ibridi - per metà umana e per metà aliena- aveva fatto sì che il mio corpo e la mia mente mutassero. Avevo acquisto abilità che, gradualmente, erano diventate sempre più intense. Ero molto più forte fisicamente e riuscivo a compiere azioni impensabili per qualunque essere umano.

Come, ad esempio, pedalare ad occhi chiusi a quella velocità, senza provare alcuna fatica.

Era bello e strano al tempo stesso. Cercavo di vivere la mia vita in modo normale, e se ci stavo riuscendo era soltanto grazie all'amore che lo Sconosciuto, ogni singolo giorno, continuava a regalarmi.

Per questo il sogno di Notre-Dame e quello di Parigi mi avevano sconvolta così tanto.

Chiusi gli occhi con più forza ancora, come per allontanare quei pensieri da me, mentre la mia bici sfrecciava a una velocità incredibile.

Poi, all'improvviso, frenai inclinando il manubrio, in una sgommata che, oltre a farmi sentire per un attimo un maschiaccio, sollevò un enorme polverone.

Scesi dalla mountain bike e lo Sconosciuto fece lo stesso.

Rimasi immobile.

<<Perché siamo venuti qui?>> mi domandò.

Scossi la testa, infilai le mani nelle tasche dei jeans.

<<Non lo so. Ne avevo bisogno, in qualche modo.>>

Lui annuì, rimanendo in silenzio.

Osservai il grande cancello in metallo del cimitero di Saint Claire.

Lo aprii, ed entrammo.

Percorremmo diversi metri, calpestando la ghiaia a terra, senza dire nulla.

Alcuni minuti dopo, eravamo di fronte alle tombe di Joey e Susan.

Joey, l'ex ragazza di Des, era morta insieme a Susan da circa un anno oramai, eppure non mi ero mai dimenticata di loro.

Pensavo a quelle due ragazze ogni giorno.

Se ne erano andate soltanto perché assomigliavano in un certo senso a me.

Forse era anche perché io mi sentivo così in colpa che non riuscivo a capire in nessun modo il comportamento del nuovo Desmond.

Lo Sconosciuto mi guardò, scuotendo la testa. Non voleva che mi sentissi in quella maniera. Era qualcosa che lo faceva soffrire. Mi ripeteva ogni giorno che non era colpa mia. Eppure era così difficile da accettare. Non avevo ancora imparato a convivere con quella sensazione di sconforto. Gli ultimi sei mesi erano trascorsi in modo tranquillo, e forse proprio quella calma ritrovata e inattesa mi aveva permesso di riscoprire dei sensi di colpa che in precedenza non avevo avuto il tempo di provare.

Mi inginocchiai di fronte alla tomba di Joey e a quella di Susan e chiusi gli occhi.

Come sempre quando andavo a trovarle, una lacrima scese giù, facendomi male.

<<Ciao, ragazze. Come state?>>

Rose e lo Sconosciuto -Il Ritorno-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora